Quarta parte della storia sul survival horror, dedicata ad Amnesia e Slender Man

Riassumiamo in estrema sintesi quanto indicato nella parte 3 (alla cui lettura si rimanda per una panoramica più ampia). Negli anni immediatamente precedenti all’affermazione di YouTube, i videogiochi horror hanno assistito a una progressiva virata verso l’action, soprattutto (ma non solo) nelle produzioni occidentali. Alcune saghe horror giapponesi rimangono più vicine ai modelli del periodo precedente, ma sono relegate nei confini di una determinata nicchia. In questo quadro emergono tuttavia dei “nuovi” survival horror, indipendenti, prodotti in occidente, che abbandonano l’action, ottengono un grandissimo successo e divengono una presenza costante su YouTube.

Vengono di seguito presentati, singolarmente, vista l’importanza che hanno rivestito, i tre “apripista” che in tempi diversi hanno maggiormente sospinto questa nuova ondata: Amnesia: The Dark Descent (Frictional Games, 2010) e Slender: The Eight Pages (Parsec Productions, 2012). A essi, nella quinta parte, si aggiungerà Five Nights at Freddy’s (Scott Cawthon, 2014) come ultimo elemento del terzetto.

Nel loro periodo di uscita, l’affermazione del gaming sulla piattaforma è un processo in corso, e diversi youtubers hanno raggiunto l’effettiva notorietà proprio grazie a uno o più di questi videogiochi. Amnesia: The Dark Descent, in particolare, è strettamente legato alla carriera di PewDiePie (Smith T., Obrist, Wright, 2013), Markiplier (Youtubers First Videos | Youtubers First Time! ™, 2015) e Favij (NiKyBoX, 2012a).

Una breve annotazione: alcuni dei discorsi che saranno trattati qui e nella quinta parte li ho anche affrontati in Evolution of The YouTube Personas Related to Survival Horror Games (un mio articolo accademico, in inglese, pubblicato su «Persona Studies») e, in misura minore, in altri miei articoli dedicati a YouTube. Rinvio alla pagina delle pubblicazioni per i vari link agli articoli.

Amnesia: The Dark Descent (e Penumbra): la relazione simbiotica

Amnesia: The Dark Descent non è stato il primo survival horror realizzato da Frictional Games (un team indipendente svedese fondato nel 2007), e già i suoi predecessori rivelano alcuni elementi di interesse per il presente discorso. Il videogioco è stato preceduto dalla trilogia Penumbra: Overture (Frictional Games, 2007), Penumbra: Black Plague (Frictional Games, 2008) e Penumbra: Requiem (Frictional Games, 2009). Quest’ultimo, in realtà, è un’espansione del suo predecessore, ma viene ugualmente considerato come un terzo episodio. In ogni caso sono tutti e tre ascrivibili a questo genere.

Il primo Penumbra era nato come tech demo per mostrare le capacità dell’HPL Engine 1 (palese riferimento a Howard Phillips Lovecraft) sviluppato dal team, ma osservando i pareri positivi sulla demo gli sviluppatori hanno poi deciso di portarne avanti lo sviluppo, per rilasciarlo come prodotto compiuto. Il videogioco è ambientato in una miniera popolata da creature mostruose, la storia viene raccontata tramite le pagine di un diario disseminate per l’ambiente, ha una visuale in prima persona, contiene al suo interno alcuni enigmi, consente di trascinare o afferrare un gran numero di oggetti (quest’ultimo aspetto deve molto all’origine del gioco come tech demo, nata per mostrare il funzionamento dell’engine, compresa la fisica degli oggetti). Prevede inoltre l’utilizzo di una torcia con durata limitata e include dei farraginosi combattimenti corpo a corpo.

Non è uno sparatutto (non sono presenti armi da fuoco), anche se condivide con gli FPS la visuale, racchiude diversi elementi ricorrenti del survival horror (il diario, gli enigmi, l’impiego della torcia…). Al tempo stesso, però, sembra seguire un filone evolutivo differente sia rispetto allo sviluppo action di Resident Evil 4 e Dead Space, sia ai videogiochi come Deadly Premonition e Cursed Mountain.

La differenziazione, qui intuibile soprattutto osservando il videogioco a posteriori, diventa progressivamente più evidente con i successivi videogiochi di Frictional Games. Un’importante differenza è riscontrabile già nel successivo Penumbra: Black Plague, in cui i combattimenti (il cui funzionamento era stato largamente criticato, in Penumbra: Overture) sono stati completamente rimossi. Non è più possibile affrontare i nemici, è possibile solo nascondersi e fuggire. Aumentano inoltre i jump scares, alternati da fasi più o meno lunghe volte a far crescere la tensione.

Durante il periodo di uscita della trilogia di Penumbra, il gaming su YouTube si trova ancora in uno stadio di formazione. Stanno nascendo canali specificamente dedicati ai let’s play e i video sull’argomento sono in crescita, ma ancora non è stata raggiunta la massa critica, e la piattaforma è dominata da altre tipologie di video, come il vlogging.

Osservando retroattivamente i video relativi al videogioco, caricati di anno in anno, è possibile individuare il germe del cambiamento che sarebbe giunto a breve con Amnesia: The Dark Descent. Il 2007 presenta, oltre ai trailer, alcuni video riconducibili alla categoria “how to” (come jazzkomp, 2007 e KPIQA, 2007). Entrambi i video mostrano come uccidere i cani presenti nella miniera del primo Penumbra, poiché si tratta di un nemico particolarmente ostico, al punto che alcuni giocatori pensavano fosse impossibile eliminare queste creature.

Poi ci sono video di sostanziale trolling (KirmiZ, 2007) e brevi filmati su determinate parti del gioco (come l3ks1, 2007 e Altraum, 2007). A parte la bassa qualità visiva, ciò che emerge immediatamente è la completa assenza di commentari vocali; quando – non sempre – uno youtuber inserisce pensieri e opinioni lo fa tramite scritte in sovraimpressione o piccoli box. I video reperibili sono inoltre molto pochi, soprattutto escludendo trailer e video rimossi.

Il quadro complessivo di due anni più tardi risulta già molto diverso. I video del 2009, relativi non solo ai due capitoli successivi della saga ma anche al primo Penumbra, sono molto più numerosi e soprattutto presentano impostazioni differenti. Perdurano i video brevi o brevissimi volti a mostrare uno specifico elemento (come un easter egg in VAXIS TAA, 2009, della durata di appena nove secondi), affiancati da gameplay a episodi in cui è presente un commentario audio dello youtuber (come TheScarlettears, 2009, ColdTrix8, 2009 e Helloween4545, 2009a) e altri in cui i commenti rimangono in forma scritta (come Captain Perfect, 2009a). Compaiono inoltre anche contenuti di carattere più creativo che remixano determinati materiali per realizzare nuovi contenuti video. Un esempio è il fake trailer di un ipotetico film su Penumbra, realizzato montando spezzoni di diverse pellicole horror (bloodrunsclear, 2009).

Questa moltiplicazione è già sufficiente a generare un differente livello empatico. Si può fare un breve confronto legato alle prime due comparse del mostro in Penumbra: Black Plague all’inizio del gioco. Nel primo caso si tratta di un piccolo jump scare, in cui il nemico viene intravisto mentre si muove dietro una porta, nel secondo il mostro si mette sulle tracce del protagonista nascosto e, se lo trova, comincia a inseguirlo.

Nel video di Captain Perfect (2009a), fornito solo di pochi commenti scritti, lo youtuber si limitava a scrivere «What the fuck was that!» (minuto 4:03), e fugge poi dal mostro senza scrivere nulla (Captain Perfect, 2009b). Si segnala che, al momento in cui si sta scrivendo ora, quei commenti non sembrano più visualizzabili.

Hellowen4545 inserisce invece un commentario audio, ma in entrambe le situazioni (2009b e 2009c) appare più stupito che spaventato, continuando a ripetere frasi come “what the hell is that?” con un tono perplesso. La maggior parte dei gameplay dedicati agli episodi di Penumbra è però collocabile nel periodo successivo all’uscita di Amnesia: The Dark Descent, tanto che sono rintracciabili commenti ai video in cui i Penumbra vengono considerati dei “cloni” di quest’ultimo gioco, quando ne sono invece i predecessori. Il gameplay di Markiplier del 2012 presenta un commentario audio molto più vivace e variegato, in cui lo youtuber reagisce alla prima apparizione con tono di sfida (2012a), ma alla seconda continua a urlare in maniera scomposta mentre il mostro è sulle sue tracce (2012b).

L’anno successivo giunge invece il gameplay di Favij (FavijTVtm, 2013), in cui viene inserita in un angolo la cam che mostra il busto dello youtuber, così da poter osservare le sue reazioni live. Favij, a inizio video, dice di conoscere già la parte iniziale del videogioco, perché lo aveva giocato l’anno precedente sul canale NiKyBox (2012b) per aprire la sua serie “Giochi nel Buio”, e pertanto premette che non dovrebbe avere «infarti esageratamente incredibili durante questo primo episodio» (FavijTVtm, 2013, minuto 1:42). Alla prima comparsa del mostro ha una moderata reazione, dicendo di non ricordarsi quel momento, mentre alla seconda, pur essendo pronto, comincia a esclamare ad alta voce.

Confrontandolo anzi con il suo precedente gameplay dello stesso gioco (NikYBoX, 2012b, in cui non era presente la cam) le reazioni sono più ‘urlate’ e plateali, nonostante conosca quella parte. Si noti peraltro che, in linea con le imprecazioni più frequenti degli youtubers italiani (Kurpiel, 2016) utilizza spesso l’espressione «cazzo!» (e, in generale, altre forme di intercalare; Fägersten, 2017) e – seguendo un’altra pratica ricorrente – assegna un soprannome al mostro (Kurpiel, 2017), chiamandolo Piff.

Le reactions ai videogiochi horror, come emerge già da questo breve esempio, vengono tendenzialmente sempre più “spettacolarizzate” nel tempo. Una reazione può anche essere in chiave comica, soprattutto se il videogioco consente alcune pratiche differenti rispetto al mero avanzamento lungo il percorso prestabilito. Restando sull’esempio del mostro che compare in Penumbra: Black Plague, già un video del 2008 mostra come sia possibile ‘giocare’ con la fisica del gioco e la capacità del protagonista di spostare oggetti. Nel video (NossX, 2008) viene impilata un’immane quantità di oggetti davanti alla porta che il mostro deve spalancare, e appena l’azione viene compiuta tutti questi oggetti sono improvvisamente spinti via come in un’esplosione.

Al tempo stesso vengono scientemente ricercati i videogiochi ritenuti più spaventosi e si cerca di giocarli per la prima volta in video, così da non conoscere già i colpi di scena e ottenere reazioni più naturali (o che paiano tali). È uno dei motivi per cui Favij, ai tempi di NikYBoX, (2012b), aveva inaugurato la sua rubrica con Penumbra: Black Plague invece che con il successivo – e molto popolare – Amnesia: The Dark Descent, perché aveva già giocato per intero quest’ultimo. Questa “ricerca della paura”, e soprattutto degli spaventi improvvisi, si accompagna alla felice constatazione che i videogiochi di Frictional Games si fanno progressivamente più paurosi. È quanto sottolinea Markiplier (2012a) già a proposito di Penumbra: Black Plague, che promette di essere molto più spaventoso del predecessore, il quale aveva un solo momento veramente pauroso in tutto il gioco, legato all’improvvisa comparsa di un verme gigante che sfonda un portone.

È in questa fase evolutiva che si è inserito Amnesia: The Dark Descent, il quale ha contribuito a far nascere quel “bisogno di horror” su YouTube, in un momento in cui alcuni vedevano nella virata action l’unico futuro per questo genere. Come hanno sottolineato in molti, a partire dagli stessi creatori del gioco, quella fra YouTube e Amnesia: The Dark Descent è stata una relazione simbiotica particolarmente vantaggiosa per entrambe le parti. Non solo il gioco ha contribuito alla ‘nascita’ di molti youtubers di successo, e ha accresciuto le proprie vendite grazie a loro, ma ha anche contribuito all’evoluzione del survival horror e, al tempo stesso, dei let’s play:

«“I think Amnesia got a lot of free PR because of “Let’s Play” videos, but I also think that Amnesia opened people to a new style of ‘Let’s Play,’” Frictional Games creative director Thomas Grip told me. “Normally, games are very skill-based. You need to be concentrated and play a certain way to play ‘properly.’ But with horror games, the aim is not to win, but rather to get immersed. That gives a lot more space for ‘Let’s Players’ to put on a show, either by being very scared or just fooling about. On top of that it is really fun to see someone scared for some reason”» (Maiberg, 2015. Corsivi miei).

E ancora:

«Speaking to VICE Gaming in October 2014, The Dark Descent’s creative director, Thomas Grip, explained that there’s ‘a lot to be done in making horror more personal and thought-provoking’, and that ‘a game could be terrifying with a bare minimum of features’. And that’s something indies have been doing while the more publicized, more predictable alternatives take their turns at being the open-world game of the moment: maximizing impact while maintaining modest budgets, development mirroring the gameplay of survival-horror games themselves in using few resources but delivering chills aplenty. […] The popularity of horror in the indie-games field owes much to YouTube, to gamers posting footage of themselves getting terrified In the company of these low-budget, one dare say more intimate experiences – the first-person perspective certainly encourages a deeper bond between player and protagonist» (Diver, 2016: 56-57. Corsivi miei).

Al di fuori di una certa retorica relativa al “fare tanto con poco”, i team indipendenti come Frictional Games sono effettivamente riusciti a risolvere il problema sentito nello stesso periodo di tempo dalle cosiddette produzioni Tripla A: col crescere dei costi di produzione occorre puntare su generi più “sicuri”, e il survival horror non sembrava rientrare nel novero. Amnesia: The Dark Descent (e poi altri videogiochi, come Slenderman e Five Nights at Freddy’s) ha però mostrato la possibilità di realizzare profitti con l’horror mantenendo costi accessibili, e questo è avvenuto anche grazie agli youtubers. Osservando il postmortem del gioco (Grip, 2011) e i due articoli che fanno il punto della situazione a distanza, rispettivamente, di uno e due anni dall’uscita (Thomas KL, 2011, 2012a), è possibile tracciare la progressione nelle vendite di Amnesia: The Dark Descent.

Nel postmortem riportano di aver ottenuto un buon risultato, seppur non miracoloso, durante il primo mese dall’uscita, con 34.000 copie, e nei mesi successivi le vendite sono andate in crescendo, anche grazie ad alcune promozioni, fino a raggiungere le 350.000 unità a luglio 2011 (Grip, 2011: 5). Al di fuori dei saldi non vengono però indicate le ragioni dietro alla diffusione e alla longevità dell’interesse per il videogioco, elementi analizzati più nel dettaglio all’interno dell’articolo sul loro blog (Thomas KL, 2011). I fattori citati sono sostanzialmente due, entrambi riconducibili all’user response: creazione di materiali e discorsi sul videogioco e realizzazione di mod per il medesimo.

Per il primo punto citano, come esempio primario, «the Amnesia WTF video that reached 4 million views» (ivi). Per il secondo sottolineano la differenza con Penumbra: in quel caso un solo utente aveva avviato un progetto di modding, mai portato a termine, mentre per Amnesia: The Dark Descent sono presenti almeno trecento progetti in cantiere, di cui una ventina portati a termine. Questi due elementi si rafforzano peraltro a vicenda, generando un circolo virtuoso.

Le mod, oltre a rendere più varia e duratura l’esperienza di gioco, sono a loro volta mostrate nei video di youtubers come PewDiePie e Markiplier. Questa esperienza ha peraltro lasciato tracce nella community di entrambi. Da una partita a una mod del gioco è nata l’avversione di PewDiePie per i barili, che è divenuta un joke ricorrente nei suoi video. Nel caso di Markiplier, invece, si possono ricordare ad esempio alcuni videogiochi fanmade che richiamano le sue partite a quel videogioco, come Darkiplier: The “Mark” Descent (The One: Sayncraft, 2016) il quale, a dispetto del titolo, è in realtà un più ampio collage di riferimenti a molti giochi horror che lo youtuber ha portato sul suo canale.

Tutto ciò, comunque, contribuisce alla diffusione delle mod e spinge nuovi utenti ad acquistare il gioco e – se ne sono in grado – a realizzare a loro volta una mod. I contenuti creati dai fan possono attenersi allo spirito originario dell’opera oppure compiere significative deviazioni. Può trattarsi di inserti comici come in Killings In Altstadt, una mod in cui uno dei mostri del gioco è trasformato in un mercante russo, con annesso colbacco, e nel suo negozio è possibile ascoltare la musica dei negozi di The Legend of Zelda: Ocarina of Time (PewDiePie, 2012; Markiplier, 2012c).

L’articolo approfondisce anche la questione delle vendite. Il conteggio ammonta a quasi 400.000 unità, di cui circa 300.000 vendute in sconto. Si tratta di una percentuale elevata di copie scontate ma, come sottolineato, anche le copie vendute a prezzo pieno sono circa 6000 al mese, un numero che, oltre a essere più che sufficiente per stipendi e costi di mantenimento, risulta in crescita rispetto all’anno precedente (Thomas KL, 2011), ulteriore segnale del ritorno economico prodotto dalla vitalità della community.

Il report del 2012 traccia una situazione ancor più rosea, con 710.000 unità sicure e, in base all’andamento di determinati bundle in corso, un totale effettivo che può oscillare fra 900.000 e 1.300.000 copie (Thomas KL, 2012a). Pure in questo caso sconti e offerte hanno ricoperto un ruolo significativo, ma anche le copie vendute a prezzo pieno sono ulteriormente aumentate, passando a una media di 10.000 unità al mese. Aggiunge inoltre che pure la serie Penumbra, probabilmente anche trainata dal successo di Amnesia: The Dark Descent, registra stabilmente circa 900 copie vendute ogni mese a prezzo pieno (Thomas KL, 2012a). È anche utile ricordare che, su YouTube, la maggior parte dei video relativi a Penumbra è giunta dopo l’uscita del successivo gioco di Frictional Games, il che sembra contribuire a spiegare queste vendite di un gioco ormai datato, persino leggermente in crescita rispetto al passato.

Nel complesso, Frictional Games ha guadagnato oltre il decuplo della cifra spesa per sviluppare il videogioco.

E negli anni successivi gli incassi sono ulteriormente cresciuti. A luglio 2018 oltre 2.600.000 persone avevano avviato almeno una volta Amnesia: The Dark Descent su Steam (Games–achievements–players, 2018), segno che il numero complessivo del venduto è ancor più elevato, contando coloro che l’hanno acquistato senza averci mai giocato e coloro che l’hanno comprato su una diversa piattaforma.

Le ragioni di questo considerevole successo sono molteplici: «This success is due to many factors, some of which are the uniqueness of the game (horror games without combat do not really exist on PC), the large modding community (more on this later) and the steady flood of YouTube clips (which is in turn is fueled by the modding community output)» (ivi. Corsivi miei). Sempre a proposito di YouTube e modding, poco oltre l’articolo aggiunge:

The output of modding community has been quite big as well. Amnesia is as of writing the 2nd most popular game at ModDB and sports 176 finished mods. Not only do this amount of user content lengthen the life of the game, it has also increased the amount of YouTube movies made with an Amnesia theme. There are lots of popular Let’s Play channels that have devoted quite a bit of time with just playing various user-made custom stories. As mentioned earlier this have probably played a large role in keeping our monthly sales up. (ivi. Corsivo mio).

È peraltro in quest’anno che sono nati o cresciuti alcuni canali di gaming molto popolari, e – come detto – questo loro percorso è proprio legato ad Amnesia: The Dark Descent e altri videogiochi horror. È un ulteriore segnale del fatto che non sia stato solo il gioco di Frictional Games a beneficiare degli youtubers, ma anche il contrario.

Slender Man: creepypasta, videocamere e prove di coraggio

Volendo effettuare una semplificazione si potrebbe affermare che, laddove Amnesia: The Dark Descent ha contribuito alla diffusione dei let’s play (soprattutto a tema horror), Slender Man (o Slenderman) li ha resi appetibili per un’audience di bambini e ragazzi.

Il rapporto fra Slender Man e il gaming su YouTube è scomponibile in due differenti direttrici, una legata al fenomeno delle creepypasta e l’altra ai videogiochi realizzati su questo personaggio. Nel primo caso è possibile parlare di videogiochi come creepypasta, nel secondo di videogiochi sulle creepypasta.

Slender Man è un immenso fenomeno crossmediale bottom up nato praticamente per caso nel 2009, quando un utente di Something Awful posta due immagini modificate in risposta al contest “create paranormal images” (Gerogerigegege, 2009). In queste immagini in bianco e nero, raffiguranti dei bambini, è stata inserita sullo sfondo la sagoma di un uomo alto, magro e senza volto.

La creatura, definita “Slender Man”, si diffonde in brevissimo tempo prima su /x/ (la board di 4chan dedicata al paranormale) e poi in diversi altri siti e piattaforme. Nel frattempo vengono progressivamente definite le caratteristiche di questa creatura, per quanto non si sia formato un canone stringente (Chess, 2015), anche per via della natura fortemente cooperativa e condivisa del progetto (Chess, 2012; Freitas, Amaro, 2016; Smith, 2017) in cui diversi utenti con differenti capacità e punti di vista hanno plasmato la generica idea di fondo.

Quest’idea già nasceva, come ha affermato il suo creatore in un’intervista, da una commistione di vari spunti: «I was mostly influenced by H.P Lovecraft, Stephan [sic] King (specifically his short stories), the surreal imaginings of William S. Burroughs, and couple games of the survival horror genre; Silent Hill and Resident Evil. I feel the most direct influences were Zack Parsons’s “That Insidious Beast”, the Steven [sic] King short story “The Mist”, the SA tale regarding “The Rake”, reports of so-called shadow people, Mothman, and the Mad Gasser of Mattoon» (Tomberry, 2011).

«Users critiqued these performances, discussing what elements made them most effective. Successive performances built upon existing performances and discussions» (Peck, 2017: 35). Vengono prodotte finte immagini d’epoca, documentazioni, programmi radiofonici, mockumentary e molto altro, con narrazioni che mettono in correlazione fra loro questi diversi testi, i quali si citano reciprocamente. Vengono rigettate le produzioni che risultano palesemente inautentiche, ma nonostante questo nascono anche molti testi lontani dall’originaria idea horror, fra cui le numerose fanfic a tema sentimentale su Slender Man (Chess, 2015). Restando nel primario filone horror, invece, le diverse apparizioni della creatura presentano alcune caratteristiche comuni, che è utile riportare perché si relazionano anche con i videogiochi sul tema:

«One dominant theme that materialized is the haunting presence of the creature. The protagonists are almost never in direct contact with Slender Man. They are aware of his presence, rarely through sightings, but most often because of physical reactions to his proximity. They start coughing and wheezing, sometimes they lose consciousness, and they also experience an overpowering desire to sleep. Amnesia plays a big part in the plot, as the protagonist discovers tapes of himself talking to people and being in places that he simply cannot recall» (Boyer, 2013: 251-252. Corsivi miei).

Slender Man si è rapidamente diffuso come nuova entità folklorica. Possiede infatti i tre attributi del folklore: collettività, variabilità e performance (Bauman, 1986, citato in Smith, 2017: 9). Inoltre nella sua figura si uniscono due concetti di particolare rilevanza, identificabili coi termini “weird” e “eerie”, intendendo il primo come la presenza di qualcosa che appare fuori posto, e il secondo come fallimento dell’assenza o fallimento della presenza (Fisher, 2016: 61). Slender Man, grazie al suo statuto ambiguo, può essere inquadrabile in entrambe le prospettive. La sua presenza, intuibile ma quasi mai certa, è legata al mistero e alla riflessione su di esso, tramite gli inquietanti indizi che trapelano. Ma la sua figura è anche, al pari degli orrori lovecraftiani, una “presenza” eccessiva e indicibile propriamente weird. Queste due caratteristiche sono riscontrabili anche nei videogiochi legati a Slender Man e nei numerosi “cloni” derivanti dal loro successo.

Quando è uscito Slender: The Eight Pages (Mark J. Hadley, 2012), inizialmente noto solo come Slender, è stata da più parti sottolineata la sua minimalistica efficacia come videogioco horror. In questo gioco bisogna raccogliere, come suggerisce il titolo, otto pagine disseminate casualmente in determinati punti di un bosco notturno. Col proseguire della raccolta Slender Man si manifesta sempre più spesso e diviene sempre più pericoloso.

Già Amnesia: The Dark Descent si era rivelato un ottimo survival horror con un costo di realizzazione di circa 360.000 dollari, una cifra decisamente lontana dal budget di un “tripla A” ma comunque relativamente elevata. Slender: The Eight Pages è invece un piccolo progetto, amatoriale, con un costo irrisorio, che è stato tuttavia capace di ottenere una considerevole risonanza, in primo luogo grazie ad alcune felici scelte di design. Un’analisi del gioco è stata presentata, fra gli altri, da Frictional Games (Thomas KL, 2012b), poi recuperata e ampliata da Chris Pruett (2012a).

Entrambi sottolineano l’importanza di non poter vedere chiaramente Slender Man (fissarlo per troppo tempo fa impazzire il personaggio) e non conoscere – almeno nelle prime partite – le modalità con cui la creatura opera. «The game hides the mechanics that govern how the monster hunts you down and what makes you eventually get killed. I think this was a good move as you are free to make up for yourself what happened» (Thomas KL, 2012b) e «By hiding the core rule set and giving you almost no visual information about the behavior of the game, Slender robs you of the comfort that predictability brings. It forces you to think on your feet, to accept the narrative rather than focus on the mechanic» (Pruett, 2012a).

I due elementi sono collegati: la mancata conoscenza delle meccaniche di gioco rende più difficile rompere l’immersività, e quando il fruitore si trova davanti un “vuoto” tende a riempirlo con qualcosa di più spaventoso di quanto si potrebbe effettivamente presentare (Rouse, 2009: 17). Si tratta di una scelta che contrasta con gli horror di stampo più action, in cui i mostri sono (sovra)esposti, che si ricollega invece alla tradizione di alcuni survival horror precedenti come Fatal Frame e, risalendo più indietro, all’Orrore Cosmico di Lovecraft.

A proposito di Fatal Frame, il direttore della serie Makoto Shibata, durante un’intervista utilizzò le seguenti parole a proposito della modalità con cui avevano introdotto la componente horror nei loro giochi: «I believed that our method to invoke the fear in the player’s own imagination maximizes the recipient’s fear. We do not simply show sacry things, but provide fragmental information and create a situation that forces the player to imagine these horrors. I personally call it, “Subtracting horror”» (Stuart K., 2006, citato in Picard, 2009: 111). A proposito di Lovecraft si possono ricordare le parole dell’autore stesso: «L’unico dato di fatto è questo: se venga stimolato o no nel lettore un senso di terrore e di contatto con sfere e potenze ignote, un atteggiamento indefinibile di timoroso ascolto, come captare il battere di nere ali o lo stridere di forme e entità esterne ai confini dell’universo conosciuto. E, naturalmente, più il racconto riesce a trasmettere questa atmosfera in modo completo e uniforme, migliore è come opera d’arte in quel settore» (Lovecraft, 1993 [1927]: 462).

Questa visione evocata presenta una correlazione anche con gli altri due punti sottolineati sul blog di Frictional games: la «sensory deprivation» (vedendo sempre gli stessi elementi continuamente ripetuti il giocatore crede di scorgere cose che non esistono) e la «tunnel vision» creata dalla torcia, in cui i margini dello schermo restano perennemente avvolti nell’oscurità (Thomas KL, 2012b). A proposito della sensory deprivation ricordiamo anche che «la deprivazione dei normali input visivi può stimolare l’occhio interiore, producendo sogni, immagini vivide o allucinazioni. Esiste perfino un termine specifico per riferirsi alle sequenze di allucinazioni – varie e dai colori brillanti – che confortano o tormentano chi è tenuto nell’isolamento o nell’oscurità: è il “cinema del prigioniero”. Per produrre le allucinazioni non occorre una deprivazione visiva totale: la monotonia degli stimoli visivi può avere lo stesso effetto» (Sacks, 2013 [2012]: 45).

Pruett aggiunge la grande importanza che ricopre il suono all’interno di questo breve videogioco: «I think about 80% of the effectiveness of Slender is the sound. The sound is overwhelming. It demands your attention, forces your blood to pump in spite of the otherwise unremarkable graphics and presentation. The way the sound increases in intensity with each note you find also keeps the tension from falling with repetition» (Pruett, 2012a).

E in un altro articolo, in cui parla di Slender e di Five Night’s at Freddy’s, segnala altri due punti, che risultano peraltro di particolare importanza in relazione al legame con YouTube: «Pop-Out Scare Failure Event» e «Mettle Tests» (Pruett, 2015). Il primo punto riguarda un utilizzo oculato degli scare jumps: «Rather than pop some hideous creature out of a dark corner every few minutes, these titles build tension with the threat of a pop-out scare, which doesn’t actually occur until the player fails and reaches the game over state» (ivi. Corsivo dell’autore). Lo scare jump collocato al vertice di una sequenza atta a generare tensione è un elemento efficace ma non originale, è rintracciabile anche in diversi film horror, ma in altri contesti è seguito da un momento distensivo, mentre in Slender: The Eight Pages il culmine coincide con il game over.

Il secondo punto è invece relativo alla popolarità di questo videogioco fra i più giovani: «The design of Freddy’s and Slender is good, but I think their virality amongst kids has to do with them being tests of mettle. These games are a safe way to prove your courage, both to yourself and your classmates. […] Slender and Freddy’s provide easy-to-reproduce fear challenges that kids can perform without involving adults» (ivi).

Il fattore “prova di coraggio” potrebbe essere una delle caratteristiche che ha contribuito a rendere l’esperienza del videogioco non esauribile con la visione di un let’s play, pur trattandosi di un prodotto semplice e veloce da visionare nella sua interezza. È presente una componente di emulazione e sfida di cui il let’s play costituisce un facile innesco. Rispondendo a un commento relativo ai video su YouTube, Pruett scrive:

«Agreed! The rise of Let’s Play and Twitch has made these games more accessible to teens than ever before. But I would argue that, in this era of dramatically increased visibility amongst teens thanks to YouTube, Freddy’s and Slender are breakout successes because of the way that they are designed. Pewdiepie plays a lot of games, but most of them do not become middle school phenomenons. These titles are structured in a way that allows them much larger success» (ivi. Corsivo mio).

Slender: The Eight Pages è peraltro solo uno dei numerosi videogiochi fanmade che sono stati realizzati su Slender Man, per quanto sia stato quello che ha impresso una certa direzione a molti degli altri giochi realizzati successivamente, considerando il successo della sua formula su YouTube e fra i ragazzi. Molti di questi videogiochi presentano cambiamenti prevalentemente grafici, con ambientazioni differenti rispetto al bosco di Slender: The Eight Pages, ma con la stessa struttura basata sulla raccolta di un certo numero di oggetti e lo “stalking” di Slender Man.

Fra questi si ricordano Slender Man’s Shadow (Marc Steene, Wray Burgess, 2012), Slender Space, Slender Rising (Michael Hegemann, 2013) e Slender Rising 2 (Michael Hegemann, 2014), SlenderMod (Tim Spaninks, Marco van den Oever, 2012), Slender: Flashlight (Triggered Games, 2013), Slender Nightmare Camp (fortunacus, 2013), Slender: Anxiety (the_adc, 2014) e molti altri. La maggior parte di questi videogiochi è presente su YouTube in numerosi video, alcuni dei quali (per esempio quelli di PewDiePie e Markiplier) con un numero di visualizzazioni molto elevato. Nessuno di essi è disponibile su Steam, sono tutti scaricabili o giocabili su siti come Game Jolt – in cui la ricerca del termine “slender” genera oltre duecento risultati – Newgrounds o Dark Horror Games.

Al tempo stesso sono estremamente diffusi i videogiochi che mantengono la stessa struttura di Slender: The Eight Pages modificando però i personaggi coinvolti e inserendo differenti inseguitori rispetto a Slender Man. Fra gli “stalker” inseriti in questi videogiochi si possono ricordare, a titolo d’esempio, una donna fantasma (Dream of the Blood Moon, The Unbeholden, 2013), Babbo Natale (Darth Santa, jaekkl, 2015), il windigo (The Wendigo, warka, 2017), Tinky–Winky dei Teletubbies (Slendytubbies, Sean Toman, 2012), Slender Man in versione pony (Derp Till Dawn, Donitz, 2013) e altri.

Anche per questa categoria, i video reperibili su YouTube sono spesso numerosi e molto visualizzati. Sono stati inoltre realizzati un vasto numero di videogiochi di differenti tipologie, incentrati su Slender Man o comunque in cui compare come personaggio. In linea di massima è possibile affermare che l’operazione svolta consiste nell’ibridazione fra Slender Man e un popolare videogioco del momento, come nel caso di Slendertale (Khamelot, 2016), il quale unisce meccaniche e personaggi di Slender Man e Undertale (Toby Fox, 2015).

Mentre era in corso il flusso di videogiochi fanmade relativi a Slender Man è uscito, nel 2013, Slender: The Arrival (Blue Isle Studios, 2013), il videogioco ufficiale dedicato al personaggio, nonché l’unico in vendita su Steam e su console. Molti degli elementi che lo compongono sono una versione ampliata di quanto già visto in Slender: The Eight Pages e altri videogiochi realizzati dai fan. L’inserimento di una trama più o meno vaga, per esempio, era stato già compiuto in giochi come Slender’s Woods (ZykovEddy, 2012) e Haunt: The Real Slender Game (poi rinominato semplicemente Haunt, ParanormalDev, 2012).

Almeno uno di questi elementi merita una menzione a parte: l’utilizzo di una telecamera da parte del protagonista. Anche in questo caso non costituisce una novità nel panorama dei videogiochi su Slender Man, e tantomeno nei videogiochi in generale. Si ricorda per esempio il particolare precedente di The Fear (Digital Frontier, 2001), videogioco full motion rilasciato solo in Giappone in cui il protagonista è un cameraman.

La sua presenza nel gioco ufficiale su Slender Man, però, non è priva di interesse. Già in Slender: The Eight Pages la presenza di una telecamera era intuibile per almeno due ragioni, relative alla lore del personaggio: Slender Man sarebbe visibile solo attraverso una telecamera, e la sua comparsa provoca dei disturbi (visibili nel videogioco) negli apparecchi di registrazione. È un esempio di glitch horror (Crawford, 2017), in cui l’ansia è legata al malfunzionamento e alla fallibilità della tecnologia, come riscontrabile in The Ring o nel videogioco Eternal Darkness: Sanity’s Requiem. In Slender: The Eight Pages questo malfunzionamento è però percepito in prima persona, e si lega strettamente alla visione (tramite telecamera). Una presenza digitale che, in Slender: The Arrival, è resa esplicita tramite diversi indicatori a schermo, sempre attivi, fra cui l’icona REC.

L’importanza della telecamera può essere sintetizzata in tre parole, ciascuna delle quali fornisce una immagine di sintesi sulle componenti coinvolte: immersività, incertezza e mediazione.

Immersività: tendenzialmente, nei videogiochi, le informazioni visualizzate a schermo (definite HUD, Head–Up Display) sono percepite come un elemento capace di ridurre o annullare l’immersività, perché rivelano immediatamente la finzionalità del mondo di gioco, mostrandone alcune statistiche (i punti vita del personaggio, il punteggio, la mappa di gioco, lo stato di degradamento degli oggetti equipaggiati…). Alcuni videogiochi, come quelli legati alle corse automobilistiche, consentono di inserire con una certa naturalezza numerose informazioni, ponendole nel cruscotto dell’automobile, ma si tratta di casi specifici.

La presenza di una telecamera costituisce un altro di questi specifici casi, come ha sottolineato fra gli altri Thomas Grip di Frictional Games in un suo commento su Slender: The Arrival (Thomas KL, 2013). È uno di quei casi, dice, in cui la presenza di HUD non solo non danneggia l’immersività, ma al contrario contribuisce a rinforzarla. Un altro esempio da lui citato è il visore di Samus Aran in Metroid Prime (Retro Studios, 2002). Trattandosi del visore di una futuristica tuta da battaglia può credibilmente mostrare un gran numero di informazioni, ed è inoltre influenzato dagli elementi esterni come gocce di pioggia, attacchi elettrici e bava dei mostri. Nello specifico caso di Slender Man, inoltre, l’immersività di questo oggetto è accresciuta anche dalla lore sul personaggio che, come detto in precedenza, è legata all’impiego di apparecchiature tecnologiche (e ai loro malfunzionamenti).

Incertezza: il tremolio nella videocamera non è solo un mero effetto grafico che omaggia i mockumentary su Slender Man, poiché costituisce anche di un elemento di gioco, in quanto indicatore di prossimità del nemico. Un indicatore che risulta però volutamente vago: «How near is the Slenderman in Slender?» domanda Chris Pruett in un suo articolo (2012b) sull’importanza dell’incertezza nei videogiochi horror. Secondo Pruett limitare o rimuovere le indicazioni a schermo, in un videogioco horror, non contribuisce solo all’immersività, ma aiuta a offuscare i dettagli per rendere più spaventosa l’esperienza di gioco.

Pruett cita, come esempio in negativo, Dead Space (Visceral Games, 2008). Sotto il punto di vista dell’immersività questo gioco ha integrato piuttosto bene l’HUD, inserendo i diversi indicatori nella tecnologica tuta del protagonista, ma i dati forniti sarebbero, secondo Pruett, troppi, andando a ridimensionare la componente orrorifica del gioco: «Isaac’s life bar is attached to his back, his gun prominently displays the number of shots remaining, and he has a special gadget that shows him where to go whenever he is lost. This information is reassuring. In the heat of battle, we can rest easy if Isaac has full health; even a couple of direct hits aren’t likely to kill him. We know where we’re going, and how much ammo and health we have, at all times» (2012b).

Questa logica è applicabile a numerosi elementi di gioco (la salute dei nemici e quella del personaggio, il numero di colpi in canna, l’esatta efficacia di un oggetto di cura…), ma si rivela di particolare interesse soprattutto in relazione al rilevamento dei nemici. Tendenzialmente, in un buon gioco horror, la presenza del nemico deve essere suggerita ma non esplicitata, fino al momento della comparsa del mostro. I versi di uno zombie in Resident Evil, la radio gracchiante in Silent Hill e il tremolio nella telecamera di Slender Man sono tutti elementi visivi o sonori che lasciano intuire senza rivelare troppo. Un’interferenza indica la vicinanza di Slender Man, ma non indica quanto sia vicino, né da quale direzione stia arrivando.

Mediazione: laddove, in ogni attività videoludica, è presente la mediazione di uno schermo collocato fra il videogiocatore e il mondo di gioco, la fruizione di un let’s play su YouTube costituisce una sorta di mediazione schermica al quadrato. Con la presenza di una telecamera interna la mediazione diviene cubica: uno schermo separa avatar e mondo di gioco, un secondo separa il giocatore/youtuber dal proprio avatar e un terzo il fruitore del video dal giocatore/youtuber. Ma la “mediazione” è anche quella fra visione e nascondimento, i due poli su cui giocano molti survival horror, qui negoziata dalla telecamera.

Seguendo la logica dei filmati su Slender Man (i quali attingono a loro volta da una lunga tradizione di found footage) la creatura non può essere vista o registrata, se non di sfuggita (a causa della pazzia e dei disturbi nelle riprese), ma al tempo stesso si cerca di registrare tutto, per provare la sua esistenza o anche solo aver salva la vita. Una «Scan-and-search visuality» (Soderman, 2015: 313) in cui bisogna osservare (registrando) ovunque in cerca delle pagine disperse, evitando al tempo stesso di guardare Slender Man. Una “mediazione” che trova infine un corrispettivo nell’azione contemporanea dello youtuber, il quale con una differente videocamera osserva e registra, mosso da due spinte contrastanti: evitare il mostro per proseguire nel gioco ed essere inseguito da quest’ultimo per generare reactions da mostrare in video.

Continua nella quinta parte.

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