NOTA: qui di seguito riporto un estratto del mio libro Interpretare Mass Effect: venticinque concetti per viaggiare nella fantascienza.

Uno dei venticinque “concetti” del titolo è proprio quello che riguarda disabilità e malattia.

Ho pensato di riportarlo qui, sul mio sito, per renderlo disponibile a tutti quanti.

Peraltro nel 2024 avevo avviato un piccolo progettino legato a disabilità e videogiochi, tra rappresentazione e accessibilità. Era nato in seguito a diverse tesi di laurea più o meno legate all’argomento che ho seguito nel corso dell’anno.

Il progetto è momentaneamente fermo. Però, chissà, questa condivisione potrebbe essere uno spunto per farlo ripartire.

Staremo a vedere. Nel frattempo, buona lettura.

Joker di Mass Effect

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Disabilità e malattia

In che modo Mass Effect parla di disabilità?

Per quanto non sia certo il primo argomento che viene in mente quando si pensa a questa serie, la rappresentazione della disabilità tocca nel profondo anche Mass Effect. Se ci si ferma un attimo a riflettere, gli esempi sono effettivamente molteplici e, nel corso del tempo, hanno ricevuto un gran numero di apprezzamenti, insieme a qualche perplessità. Come si vedrà a breve, molte voci differenti considerano Mass Effect un grandissimo esempio di rappresentazione e inclusività, quando si parla di persone diversamente abili. Lo è soprattutto perché questi individui presenti nella serie sono figure complesse, sfaccettate, a tutto tondo, piene di interessi e di tratti caratteriali differenti. In mezzo a questo ricco quadro di caratteristiche c’è anche la loro disabilità. Niente tokenism, dunque: non sono inseriti solo per spuntare una casella e indicare l’inserimento di una persona diversamente abile, cosa che avviene in numerose storie che propongono una inclusività di facciata. Un personaggio token è facilmente riconoscibile perché quasi tutta la sua personalità è costruita intorno a quello. Come un personaggio queer che parla esclusivamente del suo essere queer, senza avere alcun altro tratto che possa renderlo interessante, memorabile e, in ultima istanza, umano.

Ragionando su Mass Effect, si parla di disabilità su due differenti livelli: uno legato ai singoli individui e uno alle specie. Cominciando dal primo punto, è possibile segnalare diversi personaggi, tra cui il pilota Joker, l’assassino Thane Krios e lo stesso Shepard. C’è però anche chi (per esempio Gumeny, 2021) allarga di molto la lista, inserendo anche personaggi come Liara T’Soni, che rappresenterebbe una persona neurodivergente per la sua hyperfixation. Senza allargarsi troppo, vale qui la pena osservare almeno i personaggi più frequentemente nominati quando viene affrontato l’argomento, partendo da Joker, il pilota della Normandy.

Joker ha la sindrome di Vrolik, o osteogenesi imperfetta, che rende le sue ossa estremamente fragili. Anche con la futuristica tecnologia mostrata nel gioco, sembra non esistere una cura completa per la sua condizione, per cui cammina a fatica. Il suo stato di salute viene sottolineato più volte nel corso della trilogia e, come è possibile leggere in The Art of Mass Effect (Aa. Vv., 2007), inizialmente avrebbe dovuto avere un aspetto malaticcio e sofferente. Nella versione definitiva del gioco, invece, l’accenno alla sua condizione fisica è accompagnato da altrettanto continui rimandi alle sue abilità. Viene precisato fin da subito che Joker è un abilissimo pilota e questo rimane il suo tratto distintivo. Oltre a questo, deve aver ricevuto un addestramento militare di base, visto che è anche capace di utilizzare con una certa efficacia un fucile d’assalto. Per quanto sia molto raro vederlo combattere, nel finale di Mass Effect 2 lo si vede mentre spara ai Collettori, coprendo la ritirata di Shepard.

Sempre in Mass Effect 2, ci si trova anche davanti a una brevissima sequenza in cui si controlla Joker al posto di Shepard, quando la Normandy viene presa d’assalto dai Collettori mentre la squadra del comandante è in missione. Qui Joker, disarmato, deve attraversare la Normandy evitando i nemici, fino a raggiungere il sistema di controllo che permetterà a IDA, l’intelligenza artificiale dell’astronave, di assumere il pieno controllo della Normandy per spazzare via gli invasori.

In linea di massima, le pubblicazioni divulgative (come Gina, 2020; Dax, 2021; Gumeny, 2021) hanno abbondantemente lodato Joker, come esempio positivo di rappresentazione della disabilità. La sua condizione non viene nascosta o taciuta, ma non rappresenta nemmeno l’unico tratto della sua personalità, né gli impedisce di ricoprire un ruolo di grande importanza. Le pubblicazioni accademiche, invece, mostrano una maggiore discrepanza di opinioni sulle scelte rappresentative del videogioco, compreso il caso di Joker. Jerreat-Poole (2020) è tra coloro che, anche su questo versante, lo considerano un esempio virtuoso:

As a disabled person, Joker is not stereotyped or tokenized. His disability, while present, is not centre-stage. He has a distinct personality–he is playful, sarcastic, and witty–and engages with other crew members in casual banter. In ME3, his narrative arc features a romance with the ship’s AI. He is not treated with pity or disgust, or viewed as a charity case, a burden, a freak show exhibit, or asexual (a trope that continues to marginalize both disabled bodies and asexual bodies)» (Jerreat-Poole, 2020).

Il punto forse più interessante da sottolineare, nel suo discorso, è il fatto che Joker non sia asessualizzato. Tra i grandi assenti, quando si parla di rappresentazione dei corpi disabili, c’è infatti proprio la sessualità del personaggio. Soprattutto in ambito videoludico, questo punto è quasi sempre ignorato, tanto che una delle pochissime eccezioni degne di nota è Katawa Shoujo (Four Leaf Studios, 2012), una visual novel realizzata da un gruppo di utenti di 4chan, in cui si parla di un ragazzo delle superiori che finisce in una scuola per persone diversamente abili, dove avrà modo di portare avanti una relazione amorosa con una delle varie ragazze lì presenti. Nonostante la sua origine (per molte persone, 4chan non è un buon biglietto da visita), il consenso generale (Champlin, 2014; Ciesla, 2019, p. 95) è quello di trovarsi davanti a uno dei pochi videogiochi che tratta questo argomento – così complesso, raro e difficile da approcciare – senza ridurre il tutto alla feticizzazione spicciola. Certo, in Mass Effect l’argomento della sessualità di Joker è solo sfiorato e l’oggetto del suo amore è IDA, una intelligenza artificiale dotata di un corpo robotico, per cui resta lontano da Katawa Shoujo, ma sembrerebbe comunque procedere nella direzione giusta.

In altri casi invece, come i contributi di Joyal (2012) e Krampe (2018), viene segnalata la perdita dell’alterità di Joker nel momento in cui ci si trova a controllarlo, durante gli eventi di Mass Effect 2. In questo caso la sua disabilità passa in secondo piano ed egli si avvicina al canone “eroico”. Un “eroismo” sottolineato anche dalla sua corporatura: ora che non è seduto e si ha modo di osservarlo bene, infatti, non ha un fisico poi molto diverso da quello di Shepard. La scena è dunque collocabile su una scala di grigi. Da un lato, l’andatura instabile di Joker può essere un modo per empatizzare meglio – seppur per un istante – con un personaggio diversamente abile, visto che se ne assume il controllo. Dall’altro lato, però, il corpo e le azioni di Joker apparirebbero fin troppo allineate alla “norma” per poter parlare di una effettiva rappresentazione della disabilità. Il termine che viene utilizzato, in particolar modo, è supercrip, che ha due impieghi differenti. Il primo indica una rappresentazione in cui un personaggio diversamente abile compie imprese fuori dall’ordinario o è dotato di veri e propri superpoteri. Nel secondo caso, invece, si parla di un personaggio che appare come una sorta di supereroe, o che viene elogiato e celebrato, per il fatto stesso di vivere la sua vita e raggiungere degli obiettivi, lasciando intendere che ci sia qualcosa di “eroico” nel fare ciò che fanno gli altri. Simili discorsi e rappresentazioni derivano spesso da ottime intenzioni, ma non sono sempre apprezzate dalle persone diversamente abili. Le discussioni sul perché considerare Joker e altri personaggi di Mass Effect (tra cui Kaidan Alenko) dei supercrips sono varie. Tra i vari contributi sull’argomento, ce n’è uno di Simon Ledder (2023) che ritiene Joker un supercrip nella prima accezione del termine per quasi tutto Mass Effect, visto che è uno dei migliori piloti dell’umanità, per cui è un individuo fuori dal comune che, incidentalmente, ha anche la sindrome di Vrolik. Quando però si assume il controllo di Joker, egli sarebbe presentato (sempre secondo Ledder, 2023, p. 61) come un supercrip nella seconda accezione del termine. Verrebbe esaltato per il semplice fatto di aver camminato attraverso la Normandy e per aver fornito il pieno controllo dell’astronave a IDA. Certo, è una situazione molto pericolosa, ma rispetto alle imprese di Shepard e della sua squadra è un gesto quasi ordinario, soprattutto se si esce dalla componente narrativa e si osserva l’interazione con il gioco. Non c’è effettivamente molto da fare, oltre a premere il pulsante o lo stick che fa avanzare il personaggio.

Passando a Shepard, il discorso è stato principalmente legato alle sue cicatrici, che ottiene in Mass Effect 2 dopo essere stato riportato in vita da Cerberus con il Progetto Lazarus. Mantenendo un approccio paragon, queste cicatrici vanno man mano a scomparire, mentre giocando renegade diventano sempre più evidenti. Da un lato, c’è chi vede questo cambiamento come una scelta potenzialmente abilista, che richiama gli stereotipi del malvagio deforme, con le cicatrici che segnalano la sua crudeltà e la sua perdita di umanità (Ledder, 2023). Dall’altra parte però c’è anche chi legge tutto ciò in modo molto meno monodirezionale, parlando di una rappresentazione almeno parzialmente riuscita, per quanto riguarda i personaggi con le cicatrici (Aroni, 2023). Sempre a proposito di Shepard, è vero che il videogioco tende ad andare in questa direzione, ma offre anche la possibilità di giocare come paragon mantenendo le cicatrici, scelta che va a spezzare l’accostamento con la malvagità. Intorno a Shepard ci sono poi personaggi di vario genere con il volto coperto di cicatrici. Se per l’Uomo Misterioso rappresentano la corruzione, per Garrus Vakarian sono il simbolo del suo eroismo. Non solo: Garrus scherza spesso insieme a Shepard sulle cicatrici che ha sul volto, mostrando un atteggiamento positivo, in cui non si percepisce solo come fisicamente menomato. Certo, bisogna anche riconoscere (come segnala sempre Aroni, 2023), che cicatrici come quella di Garrus non vanno a modificarne profondamente i connotati, non appaiono “disgustose”. Il che è anche comprensibile, visto che il turian rimane pur sempre una delle possibili opzioni romantiche per Shepard, per cui si è voluto mantenere il suo fascino.

Poi c’è Thane Krios, un altro compagno di squadra, reclutabile in Mass Effect 2. Thane è uno dei migliori assassini della galassia, ma è destinato a morire per via della malattia che lo affligge, la sindrome di Kepral. Si tratta di un malessere immaginario che colpisce la sua specie, i drell, ma che ricorda per molti aspetti la fibrosi cistica. Thane è un personaggio molto apprezzato e ha suscitato sentimenti contrastanti, a volte anche in una stessa persona. È per esempio il caso di Elizabeth Rogers (2019) che ha scritto un articolo su «AbleGamers» in cui parla dell’assassino drell, identificandosi in lui per via della sua malattia. Da un lato, Rogers sottolinea il dispiacere per la morte di Thane, che come tanti altri personaggi malati o disabili finisce per essere condannato a una fine prematura. D’altra parte, però, segnala anche gli elementi che rendono apprezzabile la rappresentazione del personaggio. Per cominciare, Thane non muore per la sua malattia, ma compiendo un’azione eroica in cui affronta Kai Leng per difendere il consiglio. Gravemente ferito, viene trasportato in ospedale, dove si spegne davanti al figlio Kolyat e a Shepard. In secondo luogo, Rogers sottolinea che è meglio così, rispetto al classico scenario in cui viene improvvisamente trovata una cura miracolosa. È quel che avviene anche con Joker. Non ci sono missioni (primarie o secondarie) in cui salta fuori una cura per la sindrome di Vrolik o di Kepral. Come detto, l’idea che un personaggio malato esista solo con l’idea di essere curato (e che la cura sia il traguardo ultimo della sua vita) è insidiosa (Rogers, 2023).

Thane rappresenta anche un ideale punto di passaggio alla discussione sulle specie. La sindrome di Kepral, infatti, è molto diffusa tra i drell. Questa malattia batterica polmonare è derivata dalla differenza tra il clima desertico di Rakhana, il loro pianeta di origine, e Kahje, il mondo degli hanar su cui alcuni di loro sono andati a vivere. Rakhana era un pianeta ormai morente e sovrappopolato. I drell si sarebbero probabilmente estinti senza l’intervento degli hanar, che hanno portato diversi drell sul loro mondo. Kahje, però, è un pianeta perennemente avvolto dalle nubi e con un oceano che copre il 90% della superficie, con pochissima terra emersa. Un ambiente molto diverso dai deserti di Rakhana, che ha reso necessaria la costruzione di città-cupola con un clima controllato, perché l’umidità del pianeta era troppo elevata per i drell. Nonostante ciò, molti di loro sono stati colpiti dalla sindrome di Kepral.

Oltre ai drell ci sono i quarian e i krogan. I primi sono costretti a vivere nelle loro tute ambientali, perché il lungo periodo trascorso nell’ambiente sterilizzato della flotta migrante ha distrutto il loro sistema immunitario. Una semplice malattia o infezione può rivelarsi facilmente fatale, per loro. Nonostante abbiano un fisico robusto, che li rende più coriacei di umani, asari e salarian, questa condizione li fa apparire estremamente deboli. La tecnologia permette loro di compensare la fragilità del loro sistema immunitario, grazie a tute estremamente avanzate, dotate di numerosi sistemi di sicurezza. Appena un quarian viene ferito, la zona colpita viene isolata per evitare il diffondersi dell’infezione, vengono somministrati antibiotici e si cerca di fermare immediatamente il potenziale pericolo. Senza le loro tute, però, sarebbero destinati a morire in poco tempo o si troverebbero al massimo confinati in ambienti sterilizzati e ipercontrollati. Una condizione che trova facili parallelismi con diverse malattie reali. I krogan, invece, sono stati sterilizzati dalla genofagia, che fa morire la stragrande maggioranza dei nuovi nati. Un’operazione di ingegneria genetica, in questo caso, diversa dalle condizioni ambientali che hanno colpito drell e quarian, ma che ha comunque finito per produrre una intera specie di “malati”.

Per i krogan c’è una possibile cura, se Shepard decide di non sabotarla. I quarian dovrebbero poter togliere le tute col tempo, tornando a vivere sul loro pianeta natale. Per i drell, al momento, non esiste una cura, anche se diversi scienziati ci stanno lavorando. In tutti e tre i casi, scegliendo la Sintesi, malattie e disabilità di ogni sorta scompaiono. Una cura miracolosa, “magica”, valutata in vario modo, come accennato in precedenza. A parte il finale Sintesi, per i quarian la “cura” si abbina a un ideale ritorno alla natura, nel loro pianeta di origine, potendo mettere da parte la tecnologia che li ha tenuti in vita ma che ha anche distrutto il loro sistema immunitario. Per drell e krogan, invece, è la tecnologia a intervenire.

Le loro vicende possono essere un’occasione per ricordare il paradossale e complesso rapporto tra tecnologia e disabilità che si è visto sempre di più, nel mondo reale, a partire dal Novecento. La tecnologia offre sempre più strumenti per curare malattie e per fornire strumenti compensativi ai diversamente abili (si pensi alle varie forme di protesi, sempre più variegate e avanzate). È però la stessa tecnologia a generare sempre più disabilità. Esplosioni, incidenti sul lavoro, radiazioni, pesticidi che colpiscono i feti e moltissimo altro ancora. In questo scenario, «l’atavica paura della disabilità che prima la confinava come “qualcosa dell’altro”, alla luce di questi cambiamenti diventa sempre di più “qualcosa che può riguardare anche me”» (Schianchi, 2012, p. 208).

Anche per questo è bene che ci siano rappresentazioni variegate e non banali nei media, come quelle offerte da Mass Effect. Una storia che ha il suo focus da tutt’altra parte, ma che può facilmente portare a interrogarsi anche sulla disabilità e la malattia, senza cadere nel citato “tokenismo”, nel limitarsi a mettere delle pedine la cui unica caratteristica rilevante è la loro disabilità, per aggiungere una spunta sulla casella dell’inclusività e darsi una pacca sulla spalla. Qui come altrove, Mass Effect ha saputo portarsi avanti sui tempi, senza nemmeno troppi proclami.

Bibliografia

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Schianchi (2012): Matteo Schianchi, Storia della disabilità. Dal castigo degli dèi alla crisi del welfare, Carocci, Roma 2012.