Una prima serie di riflessioni “a caldo” sul significato di Stellar Blade. Detto fin da subito, per quanto non sia certo il più interessante dei videogiochi, in ottica interpretativa, ha comunque molto da dire.

Prima ancora del suo effettivo arrivo, è stato da molti etichettato come un mero guscio vuoto, tutta esteriorità e privo di sostanza. Posizione che ha indirizzato lo sguardo di diverse persone, nel momento dell’effettivo approccio.

Per quanto sia innegabile che ci sia molta “forma”, nondimeno ci sono diverse questioni degne di interesse, se ci si ferma a osservare la storia che Stellar Blade va a raccontare.

Potenzialmente, in futuro, tornerò a parlarne, qui o altrove. Consideratelo l’inizio di una riflessione e non un punto di arrivo.

NOTA: ovviamente, l’articolo contiene spoiler sull’intero Stellar Blade.

INDICE

NieR: Automata

Eden e Genesi

Esseri umani

Macchina

La carne

Angels e marionette

Canoni estetici

Le rovine

Stellar Blade

NieR: Automata

Prima di iniziare qualsiasi altro discorso, bisogna ricordare che Stellar Blade ha un profondo legame con NieR: Automata (2017). I punti di contatto sono moltissimi e in più di una occasione si scivola in un palese e continuo citazionismo. Del resto, i creatori di Stellar Blade non hanno certo nascosto che l’opera di Yoko Taro sia ben presente, tra le loro fonti di ispirazione.

La sequenza stessa degli eventi procede talvolta quasi di pari passo. Il disastroso sbarco finale sul pianeta della protagonista, l’entrata in scena dell’alleato maschile, l’esplorazione delle rovine di una antica città, lo spostamento in un ambiente desertico, la rivelazione in un “bunker” sotterraneo, ecc.

A parte questo, ciò che tornano sono i temi. Questo legame tra le due opere va infatti tenuto a mente perché molti discorsi che – nel corso degli anni – sono stati fatti su NieR: Automata possono trovare una loro applicazione anche su Stellar Blade. Al tempo stesso, va anche ricordato che in molti casi (non in tutti) ciò che propone Stellar Blade è una versione annacquata e ridotta.

Pensiamo, tanto per fare un esempio, alla lettura ecocritica delle due opere. Su NieR: Automata c’è molto da poter dire, in proposito. Ne ho parlato in un lungo articolo su questo sito («Everything that lives is designed to end». Une lecture écocritique de NieR : Automata) e più di un contributo del testo miscellaneo Natura in pixel: un libro sui videogiochi per la beneficenza ambientale andava proprio ad analizzare l’opera di Yoko Taro.

NieR Automata
Il discorso ecocritico in NieR: Automata può prendere molte strade differenti

In Stellar Blade, la devastazione dell’ambiente rimane comunque ben visibile, come del resto ci si aspetterebbe da un mondo post-apocalittico, senza però quella varietà di temi e approcci leggibili sotto la superficie di NieR: Automata. Nonostante ciò non è certo inutile ricordare un paio di elementi presenti nella storia di Stellar Blade. Il primo è che, in passato, gli esseri umani resero sé stessi dei cyborg per poter sopravvivere all’inquinamento e alla devastazione ambientale che loro stessi avevano prodotto.

Il secondo è che, come emerge a un certo punto, l’attuale devastazione del pianeta non dipende da loro. Anzi, facendo riferimento alla vista della città in rovina, viene ricordato che in passato era piena di vita, non solo umana. Per cui, evidentemente, il mondo si era almeno in parte ripreso. Questo fino all’intervento di Mother Sphere, che viene indicata come la responsabile della devastazione attuale, quando fece precipitare sulla Terra le basi orbitali per impedire ai Naytiba di raggiungere lo spazio.

Anche in merito all’eterno ritorno di Nietzsche, si è detto molto a proposito del suo recupero in NieR: Automata (si veda per esempio Jaćević, 2017). Qualche traccia se ne può trovare anche in Stellar Blade, senza però un particolare focus. L’idea di fondo è che, salvo soluzioni, gli Angels inviati dal cielo e i Naytiba continueranno ad affrontarsi in una guerra eterna. NieR: Automata andava decisamente più in là.

Sotto altri aspetti, invece, Stellar Blade offre molto di più da dire, pur restando sempre in un solco già percorso da NieR: Automata. Tra questi punti (che saranno presentati qui sotto) si possono perlomeno citare la riflessione sulla natura degli esseri umani e il rapporto con religione e spiritualità.

Cominciamo con quest’ultimo. C’è molto da poter dire, prendendo NieR Automata (ne avevo parlato in Seregni e Toniolo, 2023), ma anche Stellar Blade è piuttosto ricco di spunti.

Eden e Genesi

Almeno in superficie, non occorre uno sguardo particolarmente approfondito per cogliere i rimandi religiosi di Stellar Blade e, in particolare, i riferimenti alla Genesi. La protagonista del gioco si chiama Eve e incontra un uomo di nome Adam. Aggiungiamo che il terzo personaggio principale che va ad accompagnarli è Lily. E, considerando il contesto di riferimento, potrebbe facilmente essere un riferimento a Lilith, un personaggio che – a ben vedere – non compare da nessuna parte nel libro della Genesi, ma che ha finito per entrarvi attraverso vari commentatori.

Se, all’inizio della Genesi, sta scritto che «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gn 1,27), perché poco dopo viene detto che Dio creò prima l’uomo e poi, partendo da lui, la donna? In un caso si sottolinea una contemporaneità, mentre nell’altro ci sono due momenti diversi e un rapporto di subordinazione. Per ragioni differenti, alcuni commentatori si trovarono a riflettere su questo, ipotizzando cosa sarebbe successo se Dio avesse creato un’altra donna, prima di Eva e in concomitanza con Adamo. Questa donna era Lilith e, secondo varie tradizioni, entrò subito in contrasto con Adamo e poi fuggì dall’Eden. Poi, nella cultura popolare, Lilith è stata più e più volte ripresa, spesso come diavolessa, succube o vampira.

È difficile trovare in Lily un corrispettivo esatto di Lilith e probabilmente non va nemmeno cercato. Nonostante le suggestioni religiose, Stellar Blade non mira a ricostruire la Genesi (e le sue aggiunte successive). Nell’ottica della prima compagna di Adamo, il parallelismo in Stellar Blade dovrebbe semmai essere fatto con Raven, che viene “scelta” da Adam prima di Eve. Se, invece, si considerasse Lilith come l’incarnazione della tentazione, allora Lily potrebbe andare in questa direzione. La “tentazione” che lei propone a Eve è quella di non andare contro al volere di Mother Sphere. L’unione con Adam sarebbe blasfema. Bisogna avere fiducia nella loro dea.

Tanto più, può essere utile ricordare le sovrapposizioni tra la figura di Lilith e quella del serpente tentatore. Secondo una leggenda, «Lilith era un Serpente dai tratti femminili e Adamo ne fece la sua prima sposa. Fu poi Lilith, gelosa di Eva, che spinse la nostra progenitrice alla perdizione. Per questo nell’iconologia più avveduta, la Serpe seduttrice non è maschio, ma metà donna, metà rettile» (Porcarelli, 2018, p. 12).

Anche qui, siamo a metà strada tra Lily e Raven. La seconda, prima “sposa” di Adam, è un ibrido, seppur con un volatile e non con un serpente. La prima, la “tentatrice” di Eve, si presenta alla battaglia finale ibridata con un mech. Di nuovo, niente di serpentino, ma non è superfluo sottolineare che, in uno dei finali, di Lily rimanga solo il busto, privo di gambe. È un modo per dire che è rimasta la sua metà di donna, perdendo l’altra metà (idealmente) “serpentina”, quella che aveva tentato Eve? In ogni caso, la contrapposizione tra ibridazione meccanica e ibridazione animale è un punto importante e verrà ripreso in seguito.

Tornando su un legame un po’ più chiaro e meno legato a vaghe interpretazioni, l’unione finale di Adam ed Eve è un elemento piuttosto chiaro.

Per prima cosa, non è certo la prima volta che si assiste a qualcosa di simile, anche nei videogiochi. Come esempio, è sufficiente prendere Mass Effect 3, nel finale Sintesi, quello in cui si sceglie di rendere un po’ sintetici tutti gli organici della galassia e viceversa. In questo finale, Joker e Ida (il pilota dell’astronave Normandy e la piattaforma robotica dell’IA di quella stessa nave) si abbracciano mentre osservano un pianeta misterioso, dalla vegetazione lussureggiante. Sono la chiara immagine di un ipotetico “nuovo Eden” di cui loro rappresentano Adamo ed Eva, i progenitori, in qualità di ideale prima coppia tra un organico e un sintetico.

Joker e Ida
Joker e Ida nel “nuovo Eden” del finale Sintesi di Mass Effect 3

In Stellar Blade non c’è uno sposalizio tra Adam ed Eve, c’è la fusione di due corpi, ma non c’è nulla di particolarmente strano. È un altro modo per mostrare l’unione di organico e sintetico, tra gli androidi Andro-Eidos e i Naytiba. E il testo stesso della Genesi non ha mancato di essere collegato al mito dell’androgino, in cui gli esseri umani originari vennero divisi in due. Per cui la completezza significa ritrovare una nuova unità, tornando a fondersi con la controparte che ci completa.

Ci sono dunque dei facili punti di contatto con Genesi, ma non mancano i capovolgimenti, con vari elementi che acquisiscono un segno opposto. Si è già detto di Lily che, se dovesse rappresentare la tentazione, sarebbe quella di restare nell’ignoranza e nella vicinanza a Mother Sphere. L’opposto della serpe che propose la conoscenza e allontanò da Dio.

Mother Sphere appare del resto come l’effettivo villain della storia, la quale si configura allora – in due finali su tre – come un atto di ribellione contro la propria divinità. È una dea interessante, va anche detto. In realtà si tratta di un’intelligenza artificiale e, come tale, ha avuto un creatore, di cui peraltro mantiene memoria. Evita così quella paradossale situazione su cui si interrogarono alcuni maestri rabbini: Dio sarebbe triste del fatto di non avere a sua volta un Dio da amare e glorificare? Interrogativo che risolsero rispondendo che Dio prega e glorifica sé stesso. Mother Sphere, avendo un creatore, risolve questo problema.

Proseguendo, non è da trascurare neanche il fatto che sia stata Mother Sphere, a un certo punto, a decidere di annientare gli esseri umani per sostituirli con gli Andro-Eidos. Un elemento ricorrente in numerose tradizioni religiose, in cui la divinità di turno spazza via una prima creazione per sostituirla con un’altra. Nel periodo in cui la paleontologia si affermava e le ossa dei dinosauri erano ormai un numero innegabile, non mancò chi propose simili teorie per spiegare anche loro in una prospettiva cristiana. Quelli erano i resti di una creazione precedente, poi spazzata via e rifatta.

Per quanto gli esseri umani si fossero modificati tecnologicamente, erano una versione “vecchia”, da rottamare. In più occasioni, il filosofo Fabrice Hadjadj ha detto che il superuomo è il dinosauro del domani. Nel senso che, nel momento in cui si comincia a “innalzare” gli esseri umani, modificandoli tecnologicamente, ecco che nasce subito quello che sembrerebbe il suo opposto, ovvero l’uomo-scarto, da buttare via. Perché, con queste modifiche, l’essere umano diventa al pari di uno smartphone: nel momento in cui è disponibile il modello più aggiornato, quello precedente è destinato a essere buttato via.

Per cui, ragionando in quest’ottica, non c’è da stupirsi del fatto che Mother Sphere abbia a un certo punto deciso di “buttare via” tutti gli esseri umani, avendo a disposizione degli androidi ben più funzionali, potenti e operativi.

Gli umani superstiti, abbandonati, decisero allora di cambiare approccio, seguendo un altro percorso evolutivo di ingegneria genetica che li avrebbe portati a diventare i Naytiba.

Ma, in tutto ciò, dove comincia e dove finisce effettivamente un “essere umano”?

Esseri umani

Come scrisse George Bataille in un suo articolo, «l’alluce è la parte più umana del corpo umano, nel senso che nessun altro elemento di questo corpo è così differenziato dall’elemento corrispondente della scimmia antropoide (scimpanzé, gorilla, orangutango o gibbone)» (Bataille, 2022, p. 75. Corsivo dell’autore).

Ci sarebbe allora molto da poter dire, sui piedi che Eve acquisisce e che, nel secret ending, appaiono per un istante in bella vista a schermo.

I piedi di Eve nel finale segreto
I piedi di Eve nel finale segreto, dopo la sua fusione con Adam

Il suo presumibilmente graziosissimo alluce umano è scomparso, sostituito da un grosso artiglio. E se la parte più umana di un essere umano smette di essere tale in una maniera così palese, si potrebbe allora dire che la “nuova” Eve sia qualcosa di differente. La questione è complessa e merita alcune riflessioni.

Per prima cosa, è bene ricordare che Adam non le propone la rinascita degli antichi esseri umani, attraverso la loro unione, ma di diventare i veri successori dell’umanità. Agli Andro-Eidos manca il DNA umano, invece presente nei Naytiba, che però sono regrediti allo stato di bestie. Ci sono due strade, due direzioni evolutive, che dovrebbero idealmente intrecciarsi. Una ha a che fare con la macchina, l’altra con la carne.

La macchina

Partendo dalla prima, i possibili legami nella storia della fantascienza sono molteplici. Come l’inconsapevolezza dei personaggi di Stellar Blade di essere Andro-Eidos, ovvero androidi: robot con sembianze umane. Loro ritengono di essere degli esseri umani con impianti cibernetici che li rendono più forti e più adatti a condizioni ostili. Dei cyborg, insomma.

Certo, verrebbe anche da chiedersi quale sia il grado di “modifica” oltre cui un umano smetterebbe di essere tale. Un po’ come il noto paradosso della nave di Teseo: nel momento in cui quella nave conserva la sua forma originaria ma tutte le parti sono state sostituite, essa è ancora la nave di Teseo?

In Stellar Blade ci si potrebbe porre la questione se Eve fosse stata, originariamente, un’umana che ha man mano sostituito tutte le parti del suo corpo con corrispettivi robotici, mantenendo però inalterato il suo aspetto originario. Ma non è questo il caso. Eve e gli altri Angels nascono già come androidi. Come dice Adam, non hanno alcuna traccia di DNA umano.

L’inconsapevolezza dell’androide, come accennato, è un tema ricorrente. Lo si trova per esempio nelle opere di Philip K. Dick. Inizia a farsi strada nella sua produzione in racconti come La Formica Elettrica (The Electric Ant, 1969). In questo racconto, Garson Poole si risveglia improvvisamente in un ospedale, scoprendo non solo di esser privo di una mano, ma di essere un androide, mentre fino a quel momento aveva vissuto ritenendosi un essere umano.

Come dirà in seguito, Dick ha inizialmente inserito questi temi senza nemmeno rendersene più di tanto conto, ma poi si è trovato a ragionarci sempre di più. In particolar modo, come scrisse in un testo del 1976:

«Nell’universo esistono cose gelide e crudeli, a cui io ho dato il nome di “macchine”. Il loro comportamento mi spaventa, soprattutto quando imita così bene quello umano da produrre in me la sgradevole sensazione che stiano cercando di farsi passare per umane pur non essendolo. In questo caso le chiamo “androidi”. Per “androide” non intendo il risultato di un onesto tentativo di ricreare in laboratorio un essere umano […]. Mi riferisco invece a una cosa prodotta per ingannarci in modo crudele, spacciandosi con successo per un nostro simile. Queste creature sono tra noi, e morfologicamente non sono diverse: la differenza che noi postuliamo pertiene al comportamento, non all’essenza. Nelle mie opere di fantascienza ne ho parlato continuamente. A volte neppure loro sanno di essere androidi. […] possono essere realmente usciti da un utero umano e addirittura capaci di progettare androidi» (Dick, 1997a, p. 39. Corsivi miei).

Qui di seguito riporto un passaggio di un mio libro in cui avevo già affrontato la questione nel dettaglio, in merito a Philip K. Dick:

«Nel piccolo saggio L’androide e l’umano (The Android and The Human, 1972) lo scrittore si domanda quale aspetto del comportamento caratterizzi realmente l’uomo come tale.

Non è sufficiente, come detto, il dato fisiologico. Si potrebbe parlare di “anima”, o di “libertà”, o “non prevedibilità”, ma è necessario prestare attenzione all’utilizzo dei termini. Una macchina – o un uomo che si comporta come tale – è un mezzo e non un fine. Ci si può trasformare più o meno volontariamente in un mezzo, oppure si può essere «oppressi, manipolati e ridotti a un mezzo inconsapevolmente o contro la propria volontà: il risultato non cambia» (Dick, 1997b, pp. 231-232). Non vi è un percorso univoco, nel divenire androidi-mezzi. Può innanzi tutto essere un effetto del potere, che sia politico o militare o di altra natura, quando smette di essere al servizio dell’uomo (e dunque di avere l’individuo come fine) ma pretende di essere servito da quest’ultimo (individuo come mezzo sfruttabile). È un potere che nei suoi aspetti più eclatanti ben ricorda l’orwelliano Big Brother di 1984. Tuttavia Dick non vede un avvento prossimo di una simile società, nonostante il suo pensiero talvolta paranoico. L’uomo non può essere tramutato in androide fin quando egli si ribella, il che può anche solo significare il compimento di azioni non previste. Gli strumenti tecnici per realizzare un totalitarismo orwelliano sarebbero già presenti, ma Dick ha fiducia nei giovani, i quali guardano al medium e non al suo messaggio, che appare per loro come un insieme di parole di sottofondo. […] Tornando alle sue parole, egli ricorda anche altre strade che possono rendere l’uomo una macchina. Una di esse è la droga. Non solo le droghe comunemente intese, quelle illegali, che pure egli aveva sperimentato, ma anche certi farmaci prescritti negli ospedali psichiatrici. Il mondo del drogato cronico, così come quello dello psicotico, è un mondo totalmente reificato, fatto di incomunicabilità e di fissità, un mondo in cui non esistono eccezioni, così come non ne esistono per l’androide, per il non-umano» (Toniolo, 2017, pp. 129-130).

Gli androidi sono coloro per i quali non esistono eccezioni, a differenza degli esseri umani. Dick ricorda l’esempio di un piccione addestrato a riconoscere i pezzi difettosi di una catena di montaggio. Ogni volta che individuava correttamente un pezzo, riceveva come ricompensa un chicco di grano. Anche quando i chicchi erano esauriti, continuava a svolgere il suo lavoro. Un androide agirebbe proprio come il piccione, mentre un essere umano potrebbe agire diversamente, magari per fame, magari per noia. Chi è un “androide” arriverebbe a lasciarsi morire pur di non fare eccezioni, coerentemente con la sua “programmazione”.

Tornando a Stellar Blade, verrebbe da dire che Eve è allora “umana” in quanto capace di fare eccezioni. A meno che – ma questo sembra difficile da confermare o smentire – Mother Sphere non abbia programmato Eve prevedendo anche la possibilità del tradimento.

L’effettiva differenza, forse, non risiede allora qui.

Proseguendo con la produzione dickiana, ci sono altre due opere che aiutano a fare un passo in avanti. La prima è il romanzo Androide Abramo Lincoln (1962), a proposito della cui genesi Dick scrisse:

«ero ammaliato dal soggetto del romanzo: un androide (Abe Lincoln), dotato di reali qualità umane, confrontato con un’umana (Pris) che è simile a un automa. […] Definire cosa è reale equivale a definire cosa è umano, se si è interessati agli umani. chi non prova interesse per loro è un soggetto schizoide, simile a Pris e, per come la vedo io, un androide: dunque non umano, e quindi non reale. […] ciò che manca in voi – androidi – è la simpatia, una forma di simpatia essenziale, intesa come sentimento empatico verso la vita altrui, e se non l’avete per noi, non riusciamo a immaginarci come noi potremmo averne nei vostri confronti. È possibile avere questa empatia solo se reciproca» (Dick, 2012, pp. 266-267).

L’androide Lincoln prova “empatia” per gli esseri umani, si preoccupa per loro, afferma che solo gli umani possiedono un’anima. Appare molto più umano di tanti esseri umani, come la fredda Pristine (Pris) o l’imprenditore materialista Barrows, disinteressati nei confronti dei loro simili o pronti a sfruttarli.

Vale la pena riportare, per esempio, questo scambio di battute tra l’androide e Barrows (dall’edizione Fanucci del 2012, p. 126):

«“Allora, signore, che cos’è una macchina?” chiese a Barrows il simulacro.

“Lei è una macchina. Queste persone l’hanno costruita. Appartiene a loro.”

Il volto lungo e scavato, contornato dalla barba scura, si contorse in una smorfia di stanco divertimento mentre il simulacro guardava Barrows. “Allora, signore, anche voi siete una macchina. Perché anche lei ha un Creatore. E, come ‘queste persone’, Egli vi ha creato a Sua immagine e somiglianza. Credo che Spinoza, il grande sapiente ebreo, pensasse la stessa cosa degli animali; ossia che erano macchine astute. Ritengo che il punto critico sia l’anima. Una macchina può fare tutto ciò che fa un uomo… su questo sarete d’accordo. Ma non ha un’anima.”

“L’anima non esiste” disse Barrows. “Si tratta di una semplice fantasia.”

“Allora” disse il simulacro “una macchina è la stessa cosa di un animale […] e un animale è uguale all’uomo. Non è così?”»

Il passaggio successivo si vede in quello che è uno dei più noti testi di Philip K. Dick: il romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968). In un futuristico (per il momento in cui fu scritto il testo) 1992, la Terra è devastata e gli esseri umani che ancora non sono migrati verso le colonie spaziali vivono in metropoli decadenti. Gran parte degli animali sono estinti e quelli rimasti sono uno status symbol che caratterizza i più ricchi.

Chi non può permettersi un animale vero può acquistarne una riproduzione robotica. Nelle colonie spaziali, invece, si fa un largo impiego di androidi, praticamente identici agli umani ma progettati con un’obsolescenza programmata, che garantisce loro circa quattro anni di attività. L’unico modo per distinguere un androide da un umano è il test per l’Empatia di Voigt-Kampff, ma anch’esso sta perdendo la sua efficacia, davanti ai nuovi modelli equipaggiati con l’unità cerebrale Nexus-6.

Per cui, come nel caso dell’Androide Abramo Lincoln, il discrimine sarebbe l’empatia. Eppure ci sono casi in cui gli esseri umani sono ben poco empatici, molto meno di un androide. Questo, comunque, viene visto non tanto come una qualità degli androidi, ma come una decadenza degli esseri umani. L’androide Lincoln simula empatia perché è progettato in questo modo. Gli androidi di Do Androids Dream of Electric Sheep?, alla fine, continuano a eseguire il loro programma, nonostante il tentativo di libertà.

Sono gli esseri umani ad apparire sempre più come androidi. Le uniche eccezioni, che in qualche modo “salvano” l’umanità all’interno del romanzo, sono Isidore e Mercer. Il primo è un cosiddetto “cervello di gallina”, un individuo emarginato a causa del suo basso quoziente intellettivo. Mercer è un santone, fondatore del Mercerismo, basato sull’utilizzo di una scatola empatica. Ma una trasmissione televisiva rivela che, in realtà, Mercer è solo un vecchio attore etilista.

Davanti a questo annuncio, Isidore piomba nello sconforto, eppure in quel momento Mercer appare davanti a lui, resuscitando il ragno che degli androidi avevano ucciso. È un miracolo. Non per il ragno, ma prima ancora perché si è mostrato profondamente umano. L’umanità di Mercer «consiste appunto nell’essere con l’altro, soffrire con lui, rialzarsi sempre con lui […]. La presenza è compresenza originaria e insieme ultima che sta tutta nell’incontro: prima di qualsiasi esercizio intellettivo di comprensione avviene l’incontro» (Chiappetti, 2000, p. 113. Corsivi dell’autore).

In Stellar Blade, quindi, avviene l’incontro? Propenderei per il sì.

Perché Adam ha scelto Eve al posto di Raven? Forse perché la prima ha dimostrato maggior empatia rispetto alla seconda. Eve e Raven non sono umane. Sono androidi. Ma per creare il “discendente dell’umanità” la materia prima è evidentemente importante. Non è dato sapere se la maggior empatia di Eve derivi dalla sua programmazione, ma è per certo preferibile. Proprio come l’androide Abramo Lincoln nella storia di Dick. Se, pur simulando, sa mostrare empatia, allora sarebbe comunque preferibile a tante altre alternative.

Le opzioni possibili sono due.

La prima: l’unione di Adam ed Eve dona a quest’ultima il libero arbitrio. In precedenza, stava semplicemente seguendo la sua programmazione (che pure, va ricordato, può prevedere una certa libertà decisionale tra alternative differenti). Adam avrebbe allora scelto lei perché è quella con la programmazione migliore, più vicina ai sentimenti di un essere umano.

In quest’ottica, non è inutile ricordare che questa fusione avviene nel finale. Per tutto il videogioco, Eve è effettivamente eterodiretta. È controllata dal giocatore, che sceglie al posto suo, come se fosse la sua “programmazione”.

La seconda opzione: Eve aveva già il libero arbitrio e/o qualcosa definibile come “anima”, nonostante la sua natura di androide. E allora Adam avrebbe scelto lei in quanto più empatica di Raven (e di altre potenziali candidate).

La carne

Come detto in precedenza, la direzione evolutiva “meccanica” è solo una delle due opzioni che viene presentata in Stellar Blade. L’altra è quella “carnale”, che ha prodotto i Naytiba. Se gli androidi hanno sembianze umane ma sono privi del loro DNA, i Naytiba hanno DNA umano ma un aspetto mostruoso e, salvo poche eccezioni, sono incapaci di ragionare e si affidano all’istinto.

I Naytiba sono la “carne” e gli Andro-Eidos sono lo “spirito”. Perché ciò che conta per loro è far sì che le proprie memorie personali possano tornare alla Mother Sphere. Le loro memorie, che sono la loro “anima”, hanno una priorità sul corpo.

C’è un eccesso in un senso e nell’altro. Ecco perché – di nuovo – il futuro essere umano potrà nascere solo dall’unione di Adam e Eve.

Senza la “carne”, gli Andro-Eidos sono in fondo solo le loro memorie, che finiscono poi tutte insieme dentro l’intelligenza artificiale che ha dato loro la vita. E non a caso, una volta scoperto cosa ha fatto Mother Sphere, c’è chi vuole evitare tutto ciò. Significa non avere un’effettiva individualità, che finirà a diluirsi in un insieme di dati tra gli altri.

La convergenza della “carne” priva dello “spirito” genera però altrettanti pericoli. In tal senso, uno dei casi videoludici più evidenti rimane la trilogia di Dead Space. In quella storia, una misteriosa razza aliena ha disseminato dei manufatti detti Marchi in tutta la galassia. Sono oggetti che funzionano in modo simile ai monoliti di 2001 Odissea nello spazio (il film e, soprattutto, il romanzo): favoriscono l’evoluzione di una specie, lanciano un segnale verso lo spazio e attivano poi una seconda fase evolutiva. Se, in 2001, il prodotto finale sarà uno Star Child, in Dead Space vengono generati i necromorfi, dei mutanti redivivi. Alla fine del processo, questi necromorfi convergeranno tutti insieme per creare una Brethren Moon, un organismo grande quanto una luna.

Brethren Moon
Una Brethren Moon di Dead Space

Se la tecnologia di 2001 sublima lo spirito rispetto alla materia, in Dead Space la tecnologia rimuove lo spirito e mantiene solo la materia, che viene peraltro fusa insieme in un ibrido indistinto e mostruoso. Gli umani del mondo di Dead Space si ingannano ascoltando la Chiesa di Unitology, sempre più popolare, che promette l’avvento ormai prossimo della Convergenza, un mistico processo di morte e rinascita in cui le anime umane saranno fuse insieme. Nella realtà, non c’è nessuna trascendenza. L’unica fusione è quella dei corpi e la Convergenza è solo la nascita di una nuova Brethren Moon.

Occorrono entrambi, la “carne” e lo “spirito”. La bellissima Angel giunta dal cielo, Eve, è stata al centro di un grande interesse per il suo corpo (rimando più sotto ai canoni estetici) ma in realtà le manca proprio la “carne”, che raggiungerà solo nell’unione con Adam.

Gli “angeli” hanno dunque bisogno degli umani?

Angels e marionette

Riporto un passaggio del libro L’angelo e la marionetta di Giorgio Concato che si presta molto bene per parlare di Stellar Blade:

«Oggi, l’angelo non è più colui che annuncia agli uomini il senso di un destino contenuto nel disegno dell’Intelletto divino; egli stesso, solitario, compiuto e raccolto in sé, nella sua terribile, inavvicinabile bellezza, chiede a noi, che attraverso il corpo patiamo la solitudine, il senso di essa, cosicché noi diventiamo il tramite della domanda angelica, il luogo in cui essa circola per ritornare a se stessa, colma della sofferenza umana. […] L’angelo è così lontano da noi, da farci dubitare che egli possa udire il grido della nostra solitudine e, tanto meno, che egli possa rispondere. Tuttavia egli ha per noi un significato essenziale, è la rappresentazione simbolica e vivente del fatto che la nostra esperienza e la nostra soggettività sono determinati da altro. All’inizio viviamo contenuti in un ventre, poi, dopo la nascita, in uno spazio, interiore ed esterno, da cui veniamo pensati e che pensa attraverso di noi. […] La mancata esperienza dell’eterodeterminazione, fa di noi delle marionette solitarie perché prive della consapevolezza della connessione con l’altro che guida i nostri reciproci movimenti. Le marionette si incontrano sulla scena ma non possono fare esperienza del senso del loro abitarla insieme e questo fatto le condanna alla solitudine» (Concato, 2001, pp. 18-20. Corsivi dell’autore).

Gli Angels, ovvero gli androidi come Eve, di Stellar Blade sono in realtà le “marionette solitarie” che non possono fare esperienza della loro eterodeterminazione. Ciò che sanno è di dover portare a termine la loro missione, anche a costo della vita. Hanno la consapevolezza di questo incarico, ma non del loro reale rapporto con Mother Sphere. Quanto possano effettivamente cogliere il senso dell’“abitare insieme” la scena su cui “recitano” (per conto della loro dea), è da discutere. Servirebbe qualche dettaglio in più sul legame tra Eve e Tachy per poterlo dire.

Non sembrerebbe però sbagliato supporre che, per un’autentica esperienza di incontro con l’altro, un Angel debba entrare in contatto con realtà differenti. Sono le missioni secondarie di Xion, il rapporto con Adam e con Lily, le testimonianze del passato che vengono raccolte. Eve è già un “angelo”, un “angelo” solitario, non ha nessuno sopra di sé a cui rivolgere preghiere e suppliche. Deve scendere sulla Terra per fare esperienza della sofferenza.

Forse tutto ciò dipende anche dalla questione del ventre. Eve e Lily devono essere state costruite, non partorite. Quando giungono alla tana dell’Elder Naytiba, le due si trovano davanti a strane meduse che svolazzano nell’aria e a delle grandi sacche, che sembrano piene di liquido amniotico.

«Everything looks so natural… It makes me wonder… Is this how real life is born, after all?» commenta Eve mentre si guarda in giro. La vera vita, qualcosa da cui lei si sente esclusa, in quanto angelo-marionetta sceso dal cielo.

Eve osserva le meduse
Il commento di Eve nella tana dell’Elder Naytiba

Peraltro, è interessante ricordare chi ha definito Eve una “bambola (sessualizzata)”. In effetti, è proprio ciò che è anche in termini narrativi. Una bambola/marionetta dalla bellezza “angelica”, ma priva della possibilità di fare esperienza concreta.

Canoni estetici

Un altro punto degno di attenzione riguarda la bellezza e i canoni estetici. Sarebbe impossibile non fare almeno un cenno, considerando che la stragrande maggioranza dei discorsi su Stellar Blade si sono soffermati esclusivamente sui glutei di Eve.

scuse IGN
Le scuse di IGN per il commento su IGN France dove Eve era indicata come una bambola sessualizzata realizzata da qualcuno che non ha mai visto una vera donna

Su questo punto, mi limito a segnalare un articolo di Mara Sanvitale, che racchiude già molto bene il nocciolo della questione, parlando del culto della bellezza nella Corea del Sud. L’articolo è Stellar Blade. È solo questione di culo?

Ne riporto giusto un passaggio a titolo d’esempio, invitandovi a leggere il resto di quel contributo:

«Per me, tenere a mente il ‘passaporto’ di Eve è stato fondamentale per affrontare la demo messa a disposizione da Sony con la giusta consapevolezza, così come fu fondamentale farlo per affrontare Lies of P, anch’esso videogioco sudcoreano. Le caratteristiche da k-pop idol di P. erano meno palesi agli occhi del pubblico occidentale, mentre la fisionomia di Eve appare più ‘sfacciata’ nel rispettare i famigerati canoni di bellezza coreani: non è una mera questione di “sbattere la bonazza” in prima pagina, ma è la fotografia perfetta degli enormi problemi socio-culturali che affliggono la Corea del Sud».

Varrebbe anche la pena riflettere maggiormente sul legame con i personaggi di Lies of P, in effetti. Considerando anche che abbiamo definito poco fa Eve una “marionetta”.

Le rovine

Per citare, almeno di passaggio, un altro tema fondamentale su cui altre persone si sono già espresse con grande chiarezza, consiglio la lettura di un articolo di Stefano Caselli: Dentro la catastrofe: gli spazi post-apocalittici nel videogioco.

Non parla di Stellar Blade (l’articolo è stato pubblicato nel 2018) ma è una lettura molto utile per comprendere anche quest’ultimo.

Come nel caso precedente, ne riporto un passaggio:

Troviamo nelle parole di Walter Benjamin un parallelo sorprendentemente efficace di quanto esperienziato qui da un utente-tipo:

«C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo.»

Per quanto la presenza di creature angeliche che minacciano l’incolumità del giocatore possa essere vista come un rimando implicito e forse troppo specifico alla riflessione di Benjamin ci sembra ben più utile riflettere sulla centralità iconografica delle rovine, nella citazione del filosofo tedesco quanto nel Cumulo di rifiuti.

L’osservatore che si erge sulle rovine e si sente come un dio coincide con l’angelo benjaminiano: “vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine”. La sua azione, incapace di soffermarsi a riconoscere i vari elementi che compongono il collasso, non può che votarsi al proseguimento: così come l’Angelus Novus viene spinto al futuro dalla tempesta l’utente non può che proseguire verso il completamento del gioco, lasciandosi alle spalle il marasma della Storia. La sua azione, più che limitarsi al contemplare, mantiene sempre una dimensione teleologica: si esplora e si gioca per giungere al termine dell’esperienza, per esaurirla. Con le rovine dello spazio non si può fare nulla: il giocatore vi slitta all’interno, vi cade, vi combatte e infine si trae in salvo. Il suo viaggio attraversa i resti di un multiverso disastrato eppure le sue azioni sono lucidamente vincolate al suo presente.

Anche nel caso di Stellar Blade, la presenza di “creature angeliche” è un “rimando implicito e forse troppo specifico”, ma che ci conduce comunque al punto in cui si dice che il giocatore, «incapace di soffermarsi a riconoscere i vari elementi che compongono il collasso, non può che votarsi al proseguimento […] lasciandosi alle spalle il marasma della storia».

Un marasma su cui – peraltro – si ergono imponenti e colossali statue tra le rovine della città. Se i grattacieli semidistrutti richiamano facilmente NieR: Automata (e alcuni scorci sono effettivamente molto simili, delle probabili citazioni), quelle statue restano un mistero in larga parte irrisolto.

Qualcosa da lasciarsi alle spalle, che fa parte di quel “marasma” su cui non verranno fornite particolari risposte.

La strada sta davanti a sé. Verso la fine del gioco.

Bibliografia

Bataille (2022): George Bataille, Documents. Corpo, follia, erotismo: la più importante raccolta di scritti, trad. it. Sergio Finzi, Edizioni Dedalo, Bari 2022 (ed. orig. Editions Gallimard, Paris 1970).

Chiappetti (2000): Fabrizio Chiappetti, Visioni dal futuro. Il caso di Philip K. Dick, Fara Editore, Santarcangelo di Romagna 2000.

Concato (2001): Giorgio Concato, L’angelo e la marionetta. Il mito del mondo artificiale da Baudelaire al Cyberspazio, Moretti&Vitali, Bergamo 2001 (1996).

Dick (1997a): Philip K. Dick, Uomo, androide e macchina (1976), in Se vi pare che questo mondo sia brutto, trad. it. di G. Pannofino, Feltrinelli, Milano 1997.

Dick (1997b): Philip K. Dick, Mutazioni. Scritti inediti, filosofici, letterari e autobiografici, L. Sutin (a cura di), trad. it. di G. Pannofino, Feltrinelli, Milano 1997 (ed orig. The Shifting Realities of Philip K. Dick: Selected Literary and Philosophical Writings, Boror International Inc, New York 1995).

Dick (2012): Philip K. Dick, L’evoluzione di un amore vitale, trad. it. di A. Ricci, in Id, L’androide Abramo Lincoln, Fanucci Editore, Roma 2012 [2005], pp. 265-278.

Jaćević (2017): Milan Jaćević, This. Cannot. Continue. – Ludoethical Tension in NieR: Automata, «The Philosophy of Computer Games Conference», Kraków 2017, 2017, p. 1-15.

Porcarelli (2018): Franco Porcarelli, Fantaenciclopedia. Il fantastico in letteratura, Manifestolibri, Roma 2018.

Seregni e Toniolo: Marco Seregni e Francesco Toniolo, Religion and Spirituality in NieR: Automata, in L. Marcato and F. Schniz (edited by), Fictional Practices of Spirituality I. Interactive Media, de Gruyter, Berlin 2023, pp. 373-394.

Toniolo (2017): Francesco Toniolo, Effetto di massa. Fantascienza e robot in Mass Effect, Unicopli, Milano 2017 (2014).