Parlare di dusiologia videoludica è un problema, sotto vari punti di vista.
C’è, in primo luogo, una questione definitoria che deve essere affrontata, prima ancora di arrivare alle specificità dei videogiochi.
Il più grande – e forse unico – esperto al mondo di dusiologia è Marco Carrara, anche noto come Duca di Baionette, il quale intende dimostrare l’importanza delle elfe e la possibilità di fondare un mondo fantasy con tutti i cliché delle storie harem, basato sulle suddette elfe, sensuali e vogliose. La dusiologia è la disciplina che si occupa di studiare tutto ciò.
Però la questione non riguarda solo le elfe. Non è mia intenzione, qui, contrastare apertamente l’auctoritas. Mi permetto semmai di indossare i panni del chiosatore, per andare a postillare e chiarire meglio quanto si dirà in seguito. Perché noi non parleremo di elfe, ma di demoniette. E lo faremo applicando il tutto ai videogiochi. Ma partiamo dall’inizio.
Da dove deriva il termine dusiologia?
La storia di un nome
La dusiologia prende il suo nome da Dusios, una creatura della mitologia dei Galli che venne accostata sia ai fauni sia ai demoni. Sant’Agostino, per esempio, scriveva «daemones, quos Dusios Galli nuncupant» (De civitate Dei, XV, 23,). Faccio notare che, in ogni caso, si sta qui parlando di entità maschili, in merito alle quali si discute delle loro possibili unioni con donne mortali. Le parole di Sant’Agostino vennero riprese, tra gli altri, da Benedetto Bonelli nel 1751, all’interno del suo Animavversioni critiche sopra il notturno congresso delle lammie, per modo di lettera indiritte ad un letterato.
Ci si chiedeva se i fauni, i dusii, gli incubi e altri ancora fossero in realtà la stessa cosa espressa con termini differenti, oppure qualcosa di effettivamente differenziato. Ci si trovava tra l’altro all’interno di una polemica che contrapponeva Bonelli al Tartarotti, per l’appunto autore di Del congresso notturno delle Lammie, nel quale intendeva smontare le credenze relative alle streghe. Non che fosse una novità assoluta, anzi. Già nel Decretum di Burcardo, vescovo di Worms, si leggeva che:
«hai forse creduto anche tu all’esistenza di una donna che la superstizione popolare chiama “strega”? Di notte, a sentire quanto van dicendo alcune indemoniate che sono sospinte a far altrettanto, questa donna, con frequenze periodiche, in compagnia di una caterva di demoni trasformati in donne, cavalca alcune bestie, tanto da essere annoverata tra la schiera degli stessi demoni. Se l’hai creduto, farai un anno di penitenza nei giorni stabiliti» (Picasso, Piana e Motta, 1986, p. 84).
Oppure, più avanti nello stesso testo: «anche tu, come alcune donne, hai creduto d’avere il potere, insieme ad altre adepte di Satana e nel silenzio di una notte tutta particolare, e malgrado le porte chiuse, di sollevarti fino alle nubi e lì combattere contro altre donne con reciproche ferite? Se vi hai creduto, due anni di penitenza nei giorni stabiliti» (Picasso, Piana e Motta, 1986, p. 101).
Si veniva quindi puniti non perché si praticava la stregoneria, ma perché si credeva a quella baggianata della stregoneria. Questo però avveniva nel medioevo, cioè – cosa che in molti tendono a dimenticare – prima che iniziasse il periodo dell’effettiva caccia alle streghe. In tal senso è allora comprensibile che, ancora a metà del 1700, ci fosse chi si combatteva a colpi di trattati e opuscoli in merito alle streghe. Detto ciò, anche il medioevo non era ovviamente monolitico, in merito a certe posizioni, per cui ci furono alternanze fra coloro che ritenevano voli notturni e sabba solo delle allucinazioni demoniache, e coloro che invece li ritenevano reali. Per una prima ed essenziale panoramica sul tema si può vedere Parri (2018, pp. 127-135). Sempre in termini generali, si ricorda che è grosso modo nella seconda metà del Quattrocento che il sabba non è più solo «un sogno ingannevole ispirato dal diavolo [perché ora si crede che] le streghe ci vanno realmente per le vie dell’aere, vi rendono omaggio a Satana e si uniscono carnalmente con lui» (Schmitt, 2004, p. 140).
Comunque sia, la questione qui non riguarda tanto le streghe, ma questi dusii e la loro eventuale parentela con satiri, ‘scimmioni’, incubi e quant’altro. C’è anche la questione della bestialità, dei rapporti con gli animali, come intuibile già da alcuni di questi termini. Perlomeno in alcuni contesti, legati soprattutto a una dimensione popolare, i rapporti coi demoni e il sabba vengono progressivamente bestializzati, ma al tempo stesso anche la bestialità viene demonizzata (Liliequist, 2006).
Vediamo anche meglio cosa fosse questo Dusios, originariamente, con le parole di Lecouteux, che ci fornisce una ricostruzione piuttosto dettagliata:
«Dusius comes from the Indo-European root *dheuos-/*dhus-, which is also that of “god” (theos, deus). In Sanskrit, the closest term to this root means “demon,” a meaning that we find likewise in the Westphalian dûs. In the early Middle Ages, dus-appeared in England in the form –tesse in the compound word haegtesse, and in that of –zussa (Old High German) in hagazussa. These two Germanic terms are feminine, and they are used to gloss “Erynies, Eumenides, Furies, Parcae, pythonesses,” and “daughters of the night.” In the thirteenth century, the term is attested in the Netherlands in the form haghedisse, which has the meaning of “witch”» (Lecouteux, 2018, edizione digitale).
Si prendono insomma semidei, spiriti silvestri e creature boschive e li si demonizza, accostandoli agli incubi, i demoni maschili che di notte farebbero visita alle donne, o ad analoghe creature femminili. Tra parentesi, ci sarebbe anche da ricordare che gli incubi latini erano un po’ diversi, ma non complichiamo ulteriormente le cose.
Vorrei partire da questo punto per porre in risalto l’oculata scelta di Marco Carrara nell’atto fondativo della dusiologia, in quanto ha saputo scegliere una figura che si pone a cavallo fra numerose tradizioni differenti, e attraverso questo sarà anche possibile comprendere meglio la questione delle elfe. Andiamo con ordine.
Si è detto che Dusios apparteneva alla tradizione celtica. Ma si è anche detto che fu ben presto inserito in discorsi cristiani riguardanti i demoni, e non solo. Sant’Agostino, nel suo già citato passaggio del De Civitate Dei, cita infatti i dusii per parlare di Genesi 6, in cui sono presenti queste entità che si uniscono alle «figlie degli uomini» (Gn 6,2). Qui si aprirebbe tutta un’ampia questione su chi o cosa fossero esattamente i «figli di Dio» che si unirono a queste donne, perché emergono giganti, angeli caduti e tanto altro, ma ci interessa sottolineare il termine nefilim (o nephilim), con cui sono identificati nella Torah. Ed è un termine su cui avremo modo di ritornare. Poi, ancora, ci sono fauni, satiri, silvani e dintorni, legati da più di un autore sia agli incubi sia ai dusii.
È per esempio il caso degli Otia Imperialia del 1214: «Siluanos et Panes, quos incubos nominant, Galli vero Dusios dicunt» (Gervasio di Tilbury, 2010, p. 256). C’è inoltre il già citato legame con il mondo demoniaco, al quale si unisce anche un’importante questione di genere: i dusii sono cioè accostati sia a figure maschili sia a figure femminili. Sebbene infatti i dusii appaiano più come degli spiriti maschili, essi sono anche accostati a strigae, lamiae, geniciales feminae e figure analoghe (Schmitt, 2004, p. 48). Un doppio legame che prosegue anche sul piano onirico, dove, «in un’ulteriore sovrapposizione di modelli culturali – l’incubo cristiano (o, piuttosto, nella sua versione femminile, la succube), ossia la figura mitologica del sogno erotico demonizzata dal cristianesimo» (Barucci, 2012, p. 116).
Più precisamente, i dusii inizialmente erano associati a quegli spiriti (demoniaci) che assumevano le sembianze dei mariti per giacere con le donne, ma in seguito si sarebbe anche visto l’accostamento con i corrispettivi femminili. A meno che non venisse concepita una qualche mostruosità, peraltro, risultava piuttosto difficile decretare con precisione l’effettivo rapporto con un incubo o con una succube (Stephens, 2001). Una polluzione notturna era semplicemente l’effetto di un sogno erotico (ispirato dal demonio, certo, ma non paragonabile a un rapporto con un demone) o testimoniava la visita di una succube? Come prova era un po’ debole.
E le elfe?
Torniamo a Gervasio di Tilbury, il quale utilizza il termine provenzale fadas, fate, nel parlare degli uomini che si congiungono con questi spiriti aerei in vario modo nominati. Uomini che vivrebbero felici, finché restano con tali fate, ma che sono anche destinati a morte prematura. Abbiamo dunque la “fata”, che qui non è tanto un’esponente del Piccolo Popolo, quanto nuovamente un qualcosa che si avvicina alla succube. Ricordiamo del resto che non esiste solo la “fata” di matrice irlandese, ma ci sono anche creature in vario modo ben più vicine alle raffigurazioni demoniache.
Ricordo per esempio quanto scritto da Cesare Catà sulle fate dei Sibillini: «se, al posto delle delicate ali leggiadre delle fairies irlandesi, troviamo nelle fate sibilliniche dei rudi, inquietanti polpacci e piedi pelosi di capra, ciò avviene perché siamo di fronte a differenti “meccanismi di condensazione” che scaturiscono, come ho detto, da diversi processi culturali. Il significato simbolico dell’archetipo della fata rimane tuttavia, al fondo, il medesimo» (2016, p. 118). Inutile sottolineare il legame dei piedi caprini con il demonio. Torniamo, però, alle succubi.
Le succubi si impossessano del seme maschile. Per cui ne impediscono la maturazione. Si parlava infatti di un «seme fecondo, cotto et bene stagionato» (Huarte, 1582, p. 352) in opposizione al seme fiacco di molti uomini maturati che «non guardano mai di maturare il seme» (ivi). Per cui immaginate il dramma, per una persona intenzionata a far maturare il proprio seme, che si trovasse improvvisamente visitato da una succube, pronta a sottrarglielo. Anche la pericolosità della succube, il suo legame con la morte, sta tutto qui, secondo le credenze che legavano lo sperma alla vita:
«Per Shakespeare e i suoi contemporanei, gli spiriti vitali di un uomo sono contenuti nel suo seme, e questo è di quantità finita, così che ogni esborso diminuisce il totale, e quindi la vita rimanente: ogni orgasmo è una piccola morte. in inglese, “morire” e “raggiungere l’orgasmo” erano racchiusi nello stesso verbo: to die» (Cattaneo, 2019, p. 250).
Ma i legami tra fate ed incubi/succubi non si fermano qui. Leggiamo per esempio che «Interestingly, in Alsace the Virgin is honored at a place that has been called Dusenbach recalling Gervase’s dusii since the thirteenth century. Dusenbach might be translated as the River (Bach in German) of the Incubi or, to use another word, fairies» (Walter, 2014, p. 138. Corsivi miei).
Ci sono sovrapposizioni di ogni sorta. Tra cristianesimo e paganesimo, ma anche tra folklore, mito e religione. Come ricordava Giuseppe Cocchiara nel suo vecchio ma sempre degno studio, il famoso Malleus Maleficarum altro non è che «la più ricca enciclopedia, che noi abbiamo intorno ai pregiudizi del secolo XV e non soltanto della Germania» (2016, p. 62). Così come satiri e fauni si mescolano con i demoni, così fanno anche le fate e le altre creature del Piccolo Popolo.
A proposito, il suddetto Malleus Maleficarum ci ricorda che « The reason why demons make themselves into incubi or succubi is not for the sake of pleasure, since a spirit does not have flesh and bones, but the strongest reason is that through the fault of debauchery they may harm the nature of both aspects of man (the body and the soul), so that humans will in this way become more inclined to all faults» (Mackay, 2009, p. 127). I demoni non lo facevano per divertimento, insomma, ma le cose sarebbero cambiate.
Nell’attuale contesto postmoderno la riproposizione dei rapporti carnali coi demoni è in molti casi differente. Non solo: le sopra citate mescolanze hanno raggiunto una nuova dimensione, ed ecco perché Marco Carrara – sapientemente – ha scelto proprio le elfe del fantasy cliché come emblema della dusiologia, sebbene una certa parte della tradizione parrebbe spingere verso altre figure, come le succubi. Questo perché è il nome stesso selezionato, il mitico Dusios con tutte le sue declinazioni, a contenere in sé questa adattabilità poliedrica e proteiforme.
Nel panorama contemporaneo ci sarebbero molti prodotti da analizzare, per il loro legame con la dusiologia. Qui ci limiteremo ad alcune considerazioni sul mondo videoludico, prendendo in analisi un caso di particolare rilevanza.
Helltaker, ovvero il manifesto della dusiologia videoludica
Parliamo subito di quello che può essere considerato il manifesto della dusiologia nei videogiochi. Si tratta di Helltaker, un breve ma significativo videogioco polacco, sviluppato da vanripper e pubblicato nel 2020. L’obiettivo di questo videogioco è quello di scendere agli inferi per creare un harem di sensuali demoniette.
Helltaker, oltre a essere gratuito e debordante di recensioni positive su Steam, offre tutti gli elementi necessari per aiutarci a definire quelle che sono le caratteristiche necessarie a un prodotto dusiologico (non solo videoludico, peraltro: avremo modo di fare almeno un paio di esempi anche esterni). Avremo modo di lanciare varie questioni che riprenderemo poi in una tabella riassuntiva, di potenziale utilità per future tassonomizzazioni dusiologiche. Alla base di tutto c’è l’opposizione tra le elfe e le diavolette, che qui ci limitiamo a citare, sia perché si sono già fatti numerosi discorsi teorici più su, sia perché è chiaro in quale ambito stiamo andando a collocarci, con Helltaker.
Prima di tutto si ha la possibilità di riflettere sulla scelta di campo tra “amore” e “sesso”. In molti casi, come sottolineò Khandaker-Kokoris (2014, p. 112) si tende a sovrapporre i videogiochi legati all’amore e quelli legati al sesso. Il che è un problema. C’è infatti il rischio di depauperare entrambe le componenti chiamate in causa (Tagliaferri, 2015), come succede nei vari giochi con una romance che culmina in un atto sessuale più o meno intravisto. Ciò avviene soprattutto quando tutto ciò è una componente aggiunta a un qualche videogioco più ampio (un GDR, per esempio).
Diversi dating sims, al contrario, sono molto più focalizzati sulla componente amorosa e hanno modo di svilupparla con maggior concretezza, generando un’attrattiva che si fa forte del fatto che, alla fine, è sicuro che si verrà amati se si faranno le giuste azioni (Isbister, 2017, p. 32). Allo stesso modo, sull’altro versante, alcuni dei videogiochi presenti su Nutaku sono molto focalizzati verso un’esperienza erotica videoludica (ma solo alcuni, altri sono un insieme di meccaniche gacha con qualche seno di contorno).
Helltaker è in tal senso interessante. Si apre con una più o meno implicita promessa erotica, legata a questo harem di demoniette. Proseguendo, ci si domanda invece se non sia la componente romantica a prevalere, alla fine di tutto. Magari – spoiler – nel finale segreto con Beelzebub. Ma in realtà, alla fine, il gioco si rivela essere qualcosa di ancora differente. Questa parabola è peraltro seguita anche dal protagonista stesso, che viene presentato come il macho palestrato e nerboruto, perennemente con gli occhiali da sole addosso, solo per ribaltare poi questa immagine. E, su questo, andiamo verso un altro punto.
In secondo luogo c’è la decostruzione ironica della mascolinità stereotipica. Il protagonista del gioco ci viene presentato come un macho che vuole solo sottomettere le diavolette per crearsi un harem, ma il finale ci mostra invece una situazione ben diversa, con il nostro eroe intento a offrire i pancakes che ha cucinato alle suddette diavolette. Il tutto dopo che queste ultime hanno scelto di seguirlo spesso per motivi totalmente opposti rispetto ai desiderata del protagonista.
Potrebbe sembrare un elemento casuale, ma è in realtà molto importante. Lo è per Marco Carrara, la massima autorità nel campo della dusiologia, considerando che in molte delle sue recenti live egli ha speso parole legate alla body positivity per gli stereotipati eroi del fantasy, che meriterebbero in tal senso più cura e attenzione, uscendo da certi frusti schemi rappresentativi di machismo alla Conan. Ma c’è anche il legame con i prodotti non videoludici.
L’esempio più importante è probabilmente Ho messo incinta la figlia di Satana di Carlton Mellick III, uno dei romanzi più rappresentativi di questo autore. Il protagonista di quest’opera incarna una figura maschile che soffre per la sua impossibilità nell’adeguarsi al modello che la società e la famiglia gli impongono. Per questo si è rifugiato lontano da entrambe le cose, costruendosi una casa di Lego e avendo come unico amico un lottatore di sumo sempre ubriaco. Eppure egli si ritrova chiamato in modo inatteso alla paternità, dopo aver ingravidato inconsapevolmente una succube, con la quale creerà una famiglia, dopo molte esitazioni e dopo aver maturato una piena consapevolezza di come sia talvolta necessario andare contro ai dettami della società, della religione e della famiglia non per chiudersi in un solipsistico isolamento (come faceva all’inizio), ma per difendere quelli che sono i valori in cui davvero si crede.
Ho messo incinta la figlia di Satana è in tal senso una delle migliori opere di Carlton Mellick III, una delle quali la componente sentimentale raggiunge la sua dimensione più profonda. Un’altra è senz’altro Stacking Doll, ma con quest’ultima ci allontaniamo dalla dusiologia. Un’ampia fetta dei racconti di Mellick è caratterizzata da un rapporto di coppia basato sulla sottomissione del protagonista (maschio e umano) nei confronti della sua compagna (femmina e non umana) (ne parlo in Toniolo, 2021). In queste due opere, invece, la sottomissione più o meno forzata viene sostituita da una accettazione reciproca e da un percorso di crescita che porta comunque lontano dai modelli di mascolinità che la società impone.
C’è però anche una differenza fondamentale tra Ho messo incinta la figlia di Satana ed Helltaker: il primo porta avanti un modello monogamico, mentre il secondo propone un contesto harem. Verrebbe da dire che Helltaker è più vicino alla produzione manga e anime che ruota intorno alle monster girls, dove la componente harem è in effetti piuttosto diffusa. E, a ben vedere, le diavolette di Helltaker si prestano piuttosto bene a essere inserite nel novero delle monster girls, considerando il loro processo di ‘moeficazione’ (Akgün, 2017). Non è tuttavia una caratteristica univoca nemmeno in tal senso. Un manga come Le mie palle – Proteggerò la mia terra? (Shigemitsu Harada, 2006-2010), per esempio, è un ottimo esponente dusiologico, nel quale però il rapporto è con una singola demonietta, che diverrà infine la moglie del protagonista.
Qui si apre allora una terza e importante questione, che riguarda la biforcazione tra “harem” e “waifu”. Non che le due dimensioni siano sempre e comunque mutualmente esclusive, ma di solito una figura che viene eletta a “waifu” è caratterizzata da un investimento affettivo univoco e selettivo, mentre nel modello “harem” si viaggia in una maggiore indeterminatezza oscillatoria. Inutile ricordare che la stessa situazione è riscontrabile anche in un differente rapporto di gender, con il cosiddetto “husbando” che si contrappone a un “harem” maschile (senza contare tutte le ulteriori declinazioni queer). Le controparti sono presenti in molti più casi di quelli che ci si aspetterebbe. Per ogni Crush Crush c’è un Blush Blush (andate a cercarli, se non li conoscete), senza contare i vari Monster Prom e simili, con una forte unione tra ragazze/i mostro e queerness.
Una quarta, fondamentale, componente è quella del sacrificio. Perlomeno quando la dusiologia appare nella sua declinazione demoniaca, c’è sempre uno scotto da pagare. Helltaker costituisce in tal senso un esempio di particolare interesse, perché trasforma questa componente in una meccanica di gioco. Trovandosi all’inferno, la volontà del protagonista si consuma rapidamente, per cui egli deve ponderare ogni sua azione, o rischia di ritrovarsi prosciugato. Questa è una perfetta trasposizione di ciò che da sempre caratterizza i rapporti con le succibi. Si è detto che le succubi sottraggono lo sperma, e che lo sperma rappresenta la vita: più esso viene consumato e più si accorcia la propria esistenza. Quale premessa migliore per impostare dei livelli che devono essere completati entro un numero definito di mosse, pena l’annientamento del protagonista?
Qualche spunto per il futuro
La dusiologia è una disciplina nuova. Per questo, può essere interessante seminare qualche spunto di riflessione che – chissà – magari qualcun altro andrà a recuperare, man mano che il sapere dusiologico andrà diffondendosi.
Ecco allora, qui di seguito, appunti sparsi e considerazioni. Oltre alla tabella con un breve sunto su quanto detto in precedenza, e che potrà essere di utilità come base di partenza per ulteriori indagini.
I seguenti punti possono combinarsi in vario modo e non sono per forza mutualmente esclusivi. Si può avere, per esempio, una storia harem all’interno della quale finisce tuttavia per emergere una singola waifu. Allo stesso modo, le colonne sottostanti non sono da intendersi come abbinamenti preferenziali. Si tratta semplicemente di andare a visualizzare le principali suddivisioni.
Detto questo, vediamo che altro si potrebbe fare, a proposito della dusiologia videoludica.
C’è in primo luogo da considerare maggiormente le elfe, tramite lo studio di videogiochi come Aisling and the Tavern of Elves.
In secondo luogo sarebbe utile un ampio e accurato studio sulle meccaniche di gioco, su come esse vadano a tradurre in forme coerenti di gameplay quelli che sono i principi della dusiologia. Abbiamo avuto modo di fare un breve esempio, a proposito di Helltaker, con la volontà consumata. Si può e si deve tuttavia estendere il discorso in futuro.
Vale anche la pena ricordare che esistono videogiochi che solo per una parte del loro contenuto rientrano in una prospettiva dusiologica. Un esempio è Mirror di Kagami Works, un misto tra un match 3 e un dating sim erotico. Un po’ come Huniepop, giusto per capirsi. La parte del gioco legata all’elfa oscura ha per certo una forte componente di dusiologia, ma il resto del gioco se ne discosta.
Ci sono poi videogiochi che hanno un potenziale implicito di dusiologia. Come la serie Diablo. Nel libro di Cain si legge dell’amore tra l’angelo Inarius e la demoniessa Lilith (la figlia di Mephisto). Dall’unione di angeli e demoni come loro sarebbero nati i nefilim (ve li ricordate? Li abbiamo citati in precedenza).
Ci sarebbe, infine, da compiere una mappatura di tutte le presenze minori di succubi, demoniesse e simili che compaiono nei videogiochi, visto che tanti prodotti soprattutto fantasy le presentano come nemici. Prendo un singolo esempio di un videogioco poco noto: Rage of Mages 2.
Bibliografia
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Toniolo Francesco, Cacciatrici, amanti, antropofaghe: le figure femminili in Carlton Mellick III, «Polythesis. Filologia, interpretazione e teoria della letteratura», 2, pp. 41-56. Presente nella pagina delle pubblicazioni qui sul sito.
Walter Philippe, Christian Mythology: Revelations of Pagan Origins, translated by Jon E. Graham, Inner Tradition, Rochester, 2014.