Nella parte 4 della storia dei survival horror videoludici ci eravamo soffermati su due cose in particolare: Amnesia: The Dark Descent da un lato e i videogiochi di Slender Man dall’altro. In entrambi i casi abbiamo un fortissimo legame con il mondo del gaming su YouTube. Un mondo che in quegli stessi anni si stava strutturando anche grazie a questi prodotti. Si prosegue ora con questo sguardo sull’horror tra indie e youtuber, passando a un’altra serie che ha avuto una grande importanza: Five Nights at Freddy’s. Si parlerà poi anche di Gone Home, perché apparve ad alcuni come una operazione mimetica nei confronti dei survival horror.
Five Nights at Freddy’s: bambini, youtubers e vigilanza
Amnesia: The Dark Descent era nato come progetto interno a un team che già si occupava di videogiochi horror, in quello che è forse considerabile l’effettivo momento di nascita dei grandi canali di gaming, di cui ha accompagnato e in parte indirizzato la crescita. I videogiochi di Slender Man si erano sviluppati come una naturale evoluzione di quel crescente universo crossmediale legato a questo personaggio. Le centinaia di “cloni” e variazioni sul tema da loro generati sono stati in grado di fornire un abbondante materiale agli youtubers. Five Nights at Freddy’s (Scott Cawthon, 2014) è nato invece praticamente per caso dall’incontro fra un videogioco per bambini e uno youtuber, e grazie a YouTube si è diffuso poi con estrema rapidità nonostante le ridotte dimensioni del progetto.
Nel maggio 2014, il critico e youtuber Jim Sterling pubblica un video (2014) in cui analizza il trailer di un videogioco presente su Steam Greenlight. In questo caso il videogioco è Chipper & Sons Lumber Co. (Scott Cawthon, 2013), un gioco per bambini con protagonista un castoro, già rilasciato in versione mobile. Sterling critica aspramente la grafica del gioco e soprattutto il design dei personaggi, i quali dovrebbero risultare carini e attraenti, ma appaiono invece uncanny, inquietanti. Probabilmente, ironizza il critico, si tratta in realtà di uno strano e spaventoso mondo post apocalittico in cui sono rimasti solo dei robot. Sul momento, al di fuori di questo video, nessuno presta troppa attenzione a quello che sembra soltanto l’ennesimo progetto di scarso interesse presente sul Greenlight, realizzato da uno sviluppatore con già molti videogiochi all’attivo, ma nessuno di successo.
Ad agosto dello stesso anno viene però pubblicato Five Nights at Freddy’s, sempre realizzato da Scott Cawthon. Il videogioco, che ottiene un ampio e immediato successo, presenta come nemici degli spaventosi animatronics assassini. Queste figure iconiche costituiscono uno degli elementi di maggior interesse del videogioco, anche grazie alle reactions degli youtubers dinnanzi agli improvvisi assalti delle creature. In un’intervista, alla domanda sull’origine di questa idea degli animatronics, Scott Cawthon ha fornito la seguente risposta:
«I’d made a family friendly game about a beaver before this, but when I tried to put it online it got torn apart by a few prominent reviewers. People said that the main character looked like a scary animatronic animal. I was heartbroken and was ready to give up on game-making. Then one night something just snapped in me, and I thought to myself- I bet I can make something a lot scarier than that». (in Couture, 2014. Corsivi miei).
Cawthon è riuscito a trasformare le critiche rivolte a un suo videogioco nel punto di forza di un differente prodotto. Laddove un personaggio uncanny può rovinare un videogioco per bambini, lo stesso design può contribuire alla riuscita di un horror. Cawthon non cita Jim Sterling, nell’intervista, ma molto probabilmente ha in mente (anche) il noto critico, trattandosi forse della persona con la maggior notorietà che aveva parlato di Chipper & Sons Lumber Co. prima dell’uscita di Five Nights at Freddy’s, criticando peraltro l’aspetto inquietante e “robotico” dei personaggi.
L’anno seguente Cawthon ha commentato «Jim, I love you man! ;)» nel video di Jim Sterling (2015) su Five Nights at Freddy’s 3 (Scott Cawthon, 2015). Il commento è stato percepito come ulteriore prova della primaria rilevanza di Sterling fra le voci critiche rivolte al precedente gioco dello sviluppatore. Jim Sterling, tornato due anni più tardi sulla vicenda per commentarla (2016), si è detto felice per l’inaspettato andamento della situazione. Il critico ha anche definito Cawthon un esempio per tutti gli sviluppatori indipendenti.
L’episodio ha un valore tutto sommato aneddotico, ma contiene al suo interno buona parte dei fattori che hanno determinato il successo di Five Nights at Freddy’s: gli animatronics, i bambini, gli youtubers.
Five Nights at Freddy’s, in primo luogo, è considerabile un horror per bambini. Non dal punto di vista dei sistemi di classificazione o dei genitori, ma il fatto stesso che molti si siano interrogati sull’opportunità di lasciar giocare i propri figli a questo videogioco ne suggerisce la popolarità fra i giovanissimi. Osservando per esempio la parental guide di Imdb il gioco è sconsigliato ai minori di dodici anni. Secondo i vari sistemi di classificazione il videogioco è consigliato per bambini con più di dieci o quindici anni, a seconda del territorio considerato.
Inoltre il commento più popolare al video di Jim Sterling dedicato a Five Nights at Freddy’s 3, scritto da TotalBiscuit, sottolinea ulteriormente questo successo: «5 Nights is a weird one. I was surprised when I heard my 11 year old talking about it. Apparently, that’s all the kids play on the school bus. They all get out their phones and play 5 Nights then discuss the strange lore theories that people have about it. I think it’s one of the first times I’ve felt completely left behind by something in gaming» (2015).
Questo successo è correlabile a diversi fattori, fra cui la presenza degli youtubers e l’elemento della “prova di coraggio”. Di questo si era già parlato nella parte 4 a proposito di Slender Man (Pruett, 2015). I bambini parlano fra loro del gioco e lo provano per dimostrarsi coraggiosi. È del resto un videogioco facilmente accessibile ed economico, di cui esistono anche delle versioni gratuite (come nel caso di Slender Man). Un bambino troppo spaventato per giocarci, o impossibilitato a farlo, può comunque conoscerne il mondo di gioco attraverso i filmati degli youtubers (Hernandez, 2015). Così contribuisce ugualmente a diffondere la popolarità del gioco tramite pratiche discorsive (come, nuovamente, nel caso di Slender Man).
Ciò che Five Nights at Freddy’s aggiunge, rispetto a Slender Man, sono gli animatronics. Osservando anche le discussioni online (si veda per esempio questa discussione su Reddit: u/FruityPebblesAndHam, 2016) sulla popolarità di Five Nights at Freddy’s fra i giovanissimi sono più che altro questi gli elementi citati, youtubers e animatronics.
Slender Man presenta una ricchissima lore, facilmente espandibile, ma è un singolo personaggio. Gli animatronics sono invece numerosi e tutti diversi per aspetto e personalità, immediatamente riconoscibili e distinguibili fra loro, iconici al pari di diversi mostri cinematografici (Bycer, 2015). Sono inoltre riconducibili alle logiche collezionistiche di molti reali giocattoli che hanno riscosso grande successo negli ultimi decenni, come He–Man, i Pokémon e i Gormiti.
Il loro aspetto uncanny li rende inoltre collocati a metà fra due pratiche che possono entrambe essere facilmente sviluppate: renderli più spaventosi o amichevoli. Sono anche facilmente rintracciabili le loro versioni sessualizzate, anche su piattaforme come YouTube o DeviantArt, senza addentrarsi in siti dedicati a qualche specifico feticismo. Questo fatto non costituisce, comunque, una particolare sorpresa. Numerosi altri personaggi di prodotti per bambini o ragazzi vengono sessualizzati in certe community online, e gli animatronics di Five Nights at Freddy’s, in quanto animali robotici, si legano facilmente al fandom furry, produttivamente molto attivo anche a proposito di contenuti erotici.
Anche solo limitandosi a YouTube, senza considerare fanfics e altre produzioni dal basso, sono tantissimi i video con milioni di visualizzazioni in cui gli animatronics sono amichevoli, simpatici. Diversi video come Typhoon Cinema (2015) e Don’tJokeAround – FNAF & BENDY ONLY (2015) presentano gli animatronics della serie in quest’ottica, e hanno accumulato milioni di visualizzazioni. Così come ne esistono diversi altri in cui viene potenziata la loro natura orrorifica. Se questi ultimi possono interessare un pubblico più adulto, o essere utilizzati come “prova di coraggio”, la loro versione amichevole può essere considerabile, per i bambini, qualcosa di simile all’interesse per i dinosauri: creature potenti e spaventose che sono però sotto il controllo del bambino, che gli sono amiche.
Risultano estremamente popolari anche altri contenuti come le canzoni dedicate a Five Nights at Freddy’s. Le più note sono quelle di The Living Tombstone, noto per i suoi remix musicali dedicati a prodotti di successo come My Little Pony: Friendship is Magic e i lungometraggi animati Disney. Il suo video col maggior numero di visualizzazioni (circa 220 milioni a giugno 2021) è dedicato proprio a Five Nights at Freddy’s (The Living Tombstone, 2014).
In alcuni casi si sono creati dei nuovi filoni, a loro volta generativi, nati dall’idea di un determinato canale che viene imitato da diversi altri. Un esempio è legato ai video “My Dear Friend” (come Blu’s Studio, 2018; Smoke the Bear, 2018; Jaze Cinema, 2018), i quali seguono una sorta di canovaccio comune. Ogni video racconta una storia di amicizia fra un animatronic e una bambina (più raramente un bambino), spesso legata a un elemento temporale. Talvolta la bambina trova l’animatronic danneggiato e, ricordando i giorni felici trascorsi insieme, cerca di aggiustarlo. In altri casi è l’animatronic a ricordarsi della bambina e, in nome di quei ricordi, si mette sulle sue tracce, le porta un regalo o la salva da un pericolo. Anche quando questi robot vengono presentati come pericolosi, viene mostrato che non fanno mai del male ai bambini che sono stati loro amici.
Video analoghi sono rintracciabili già nel periodo immediatamente successivo all’uscita del gioco, ma a distanza di anni sono tornati in auge, diffondendosi. Sourcy (2014), per esempio, è stato pubblicato nel dicembre del 2014 (il primo Five Nights at Freddy’s risale ad agosto dello stesso anno) e mostra una struttura similare: una bambina ritrova, rotto e gettato nella spazzatura, l’animatronic Bonnie, con cui aveva trascorso dei momenti felici in passato. Bonnie viene raccolto, aggiustato (dall’ingegnere di Team Fortress 2 [Valve, 2007]) e può infine riabbracciare la sua amica. Molti dei successivi video riutilizzano, peraltro, lo stesso modello della bambina presente in questo video.
A fianco di questi numerosi e variegati contenuti sono anche presenti video let’s play e simili. Questi, fin dalla comparsa del videogioco, hanno ottenuto un ampio numero di visualizzazioni e contribuito alla rapidissima diffusione di Five Nights at Freddy’s. Il primo gameplay di Markiplier dedicato a questo videogioco è stato pubblicato il 12 agosto 2014, quattro giorni dopo il rilascio della prima versione di Five Nights at Freddy’s (sulla piattaforma Desura).
Il suo video (Markiplier, 2014), che a giugno 2021 ha superato i novanta milioni di visualizzazioni, due giorni dopo la sua pubblicazione era stato già visualizzato più di un milione di volte (Dato recuperabile tramite wayback machine). In questo gameplay «he screams 94 times in a 17 minute long video, not articulating words properly, and he often gets perplexed, verbalizing 10 no’s in a row, when most startled» (Pietruszka, 2016: 64). Lo youtuber, inoltre, mette in risalto fin dal titolo quanto Five Nights at Freddy’s sia particolarmente spaventoso («WARNING: SCARIEST GAME IN YEARS», tutto in maiuscolo), come ribadisce ulteriormente nella descrizione del video.
L’eccessiva e scomposta reazione di Markiplier al videogioco produce un effetto comico che rende particolarmente piacevole, soprattutto per i bambini, condividerlo con i propri amici per ridere insieme: «When you combine jumpscares with over the top personalities, you get hilarious videos to watch and share with your friends» (Bycer, 2016).
Il video di PewDiePie (2014) su Five Nights at Freddy’s, pubblicato alcuni giorni più tardi (il 22 agosto 2014) condivide diversi tratti con quello di Markiplier (fra cui il titolo in maiuscolo), e sono stati soprattutto let’s play come i loro a far esplodere in un tempo brevissimo la popolarità del videogioco (Bycer, 2016). Il video di PewDiePie ha ottenuto nell’immediato un numero di visualizzazioni più elevato rispetto a Markiplier (oltre quattro milioni in sei giorni). Sul lungo periodo non ha però avuto la stessa crescita (circa 16 milioni a giugno 2021).
Durante il video (5: 20), di fonte a un jump scare, lo youtuber abbandona per un momento l’inglese e lancia un’imprecazione in svedese. Come se fosse uscito per un momento dal personaggio, tornando a essere Felix Kjellberg. Egli stesso aveva dichiarato proprio in quei giorni (Kjellberg, 2014, citato in Fägersten, 2017: 4) che l’utilizzo della lingua inglese è strettamente legato al suo calarsi nel ruolo di PewDiePie. L’utilizzo dello svedese è apparso allora come una sorta di garanzia sull’autenticità degli spaventi che lo youtuber mostra in video.
I jump scares, però, divengono rapidamente prevedibili, e al secondo o terzo video su uno stesso gioco gli youtubers tendono a non reagire più come prima, spostando l’attenzione su altri elementi, ove possibile. In questa prospettiva Five Nights at Freddy’s si è rivelato doppiamente efficace, nel far perdurare l’interesse verso il prodotto.
In primo luogo il gioco nasconde diversi segreti e accenna a eventi mai del tutto chiariti, che possono essere discussi nelle teorie sulla lore. Il video di The Game Theorists (2014) dedicato a questo gioco ha superato i 22 milioni di visualizzazioni a giugno 2021.
A proposito di questo video, inoltre, lo scrittore Massimo Spiga ha scritto che «la precisione talmudica con cui viene condotta l’analisi, più affine allo studio meticoloso dei testi sacri che non alla discussione di un pezzo di cultura pop, ha una qualità elusiva e apparentemente sovrumana: questa caratteristica è il risultato dell’accumularsi di migliaia di interventi e osservazioni da parte della mente-alveare di internet, che spesso raggiunge una onnicomprensività a cui un singolo studioso non potrebbe mai arrivare» (2018: posizioni ebook 593–596). Questo è peraltro solo uno dei numerosi video che il canale ha dedicato alla serie.
In secondo luogo si tratta di un videogioco economico e veloce da sviluppare, fattore che ha permesso a Scott Cawthon di rilasciare rapidamente dei seguiti. Five Nights at Freddy’s 2 (Scott Cawthon, 2014) è stato pubblicato appena tre mesi dopo il primo, Five Nights at Freddy’s 3 (Scott Cawthon, 2015) è uscito dopo altri quattro mesi e Five Nights at Freddy’s 4 (Scott Cawthon, 2015) dopo quattro ulteriori mesi. In circa un anno sono pertanto stati rilasciati i quattro episodi canonici della serie principale, ciascuno dei quali introduce animatronics con un comportamento differente e nuove meccaniche con cui aver a che fare.
I singoli videogiochi risultano delle esperienze brevi, che stancano piuttosto presto, ma la distanza ravvicinata dei seguiti consente di presentare sempre nuovi e inattesi jump scares e risorse da gestire. Dopo un periodo di pausa un po’ più lungo, Scott Cawthon ha inoltre rilasciato gli altri due episodi ufficiali della saga. Questi propongono variazioni sul tema più significative ma contengono comunque diversi scare jumps. Si tratta di Five Nights at Freddy’s: Sister Location (Scott Cawthon, 2016) e Freddy Fazbear’s Pizzeria Simulator (Scott Cawthon, 2017), quest’ultimo ibridato con le meccaniche di un gestionale. Cawthon, infine, ha realizzato dei videogiochi non canonici, come Five Nights at Freddy’s World (Scott Cawthon, 2016) e Ultimate Custom Night (Scott Cawthon, 2018).
Il primo è un gioco di ruolo in cui si controlla un party di animatronics per farli combattere contro diversi nemici; è il meno spaventoso e, pertanto, viene più frequentemente indicato come idoneo per dei bambini piccoli appassionati della serie, i quali possono giocare coi personaggi cui sono affezionati senza subire spaventi improvvisi. Questo videogioco, peraltro, è stato inizialmente rilasciato su Steam come i precedenti, ma Cawthon l’ha poi rimosso, dicendosi insoddisfatto nonostante l’87% di recensioni positive (Weber, 2016). In seguito ha reso disponibile su Game Jolt la versione completa e gratuita del videogioco, il quale è dunque tutt’ora ottenibile. Il secondo riprende la struttura base della serie, rendendola però personalizzabile. È infatti possibile selezionare quali animatronics bisognerà evitare, il grado di difficoltà, l’ambientazione e altri fattori.
Oltre agli elementi citati, Five Nights at Freddy’s è una serie particolarmente adatta a YouTube anche per una componente visuale, la quale può essere intesa come un passo in avanti rispetto agli altri due videogiochi che hanno accompagnato i gamers nella loro fase nascente. Senza voler fare teleologiche letture a posteriori sulla “necessità” di questa evoluzione, è effettivamente presente un ulteriore elemento. Amnesia: The Dark Descent offriva una coinvolgente prima persona fino a quel momento poco sfruttata nei survival horror; i videogiochi di Slender Man hanno inserito una telecamera come elemento di mediazione; Five Nights at Freddy’s ha moltiplicato le telecamere e reso immobile il protagonista.
Five Nights at Freddy’s, al fondo, è un videogioco sulla vigilanza, almeno per quanto riguarda i suoi episodi canonici, tanto sul piano delle meccaniche quanto su quello della narrazione. Si intende qui il termine “vigilanza” in due delle sue accezioni. Sia come «Il fatto di esser vigilante, di comportarsi e agire con grande circospezione e attenzione» (voce Vigilanza in Treccani.it) sia come sinonimo di sorveglianza: «attenzione assidua e diretta rivolta a qualcuno o a qualcosa per tutelare o difendere» (voce Sorveglianza in Treccani.it). A questi potrebbe essere eventualmente aggiunta la terza e più specifica accezione di vigilanza privata e/o vigilanza notturna. In diversi episodi si gioca infatti nei panni di un sorvegliante notturno, intento a sorvegliare una pizzeria (primi due episodi) o un parco divertimenti (nel terzo).
Nei Five Nights at Freddy’s bisogna controllare due o tre punti di accesso al locale in cui ci si trova e, al tempo stesso, tenere d’occhio le telecamere di sorveglianza disposte nell’ambiente, per capire da quale direzione stanno avanzando i nemici. Gli animatronics attaccano all’improvviso, ma è possibile tenere traccia del loro avvicinamento progressivo, il che contribuisce a costruire la tensione. Come ha osservato Thomas Grip, questa scelta colloca il focus sul momento che precede l’incontro col mostro, a differenza di diversi altri survival horror: «This is quite rare in videogames where much of the gameplay happens once a monster starts coming after you. But in most horror movies and books, much of the narrative revolves around what happens beforehand» (Thomas KL, 2017).
Il legame fra prima persona e sorveglianza non stupisce, è ricollegabile al più ampio fenomeno di soggettivazione dell’esperienza con cui vengono facilmente occultate logiche di controllo (Eugeni, 2015: 81), ma questa sua declinazione specifica assume alcune peculiarità. Sorvegliante e animatronics si individuano a vicenda, entrambe le parti possono conoscere o perlomeno intuire la posizione dell’altro. Non si è collocati in un nuovo panopticon in cui i prigionieri non sanno se sono effettivamente osservati, se la controparte è fisicamente presente. Si registra inoltre una sorta di bizzarra inversione di mobilità.
Gli animatronics, nella realtà saldamente ancorati al pavimento, scorrazzano liberamente all’interno del complesso, mentre il sorvegliante umano è ‘inchiodato’ alla sua poltrona. Egli, infine, si trova nella stessa situazione degli youtubers che registrano i gameplay e, tendenzialmente, del pubblico che ne fruisce: seduti, di fronte a uno o più schermi che registrano o trasmettono un evento cui occorre prestare attenzione. La molteplicità di stimoli in contemporanea risulta peraltro ancor più stringente in relazione ai video live, dove spesso lo streamer deve prestare attenzione al gioco, alla chat, alle donazioni e a eventuali altri elementi.
Gone Home: giocare con gli stilemi del genere
Il “caso” di Gone Home, merita qui una parentesi all’interno del percorso evolutivo dei survival horror. Ed è utile farlo qui, al termine di questo ‘blocco’ del percorso dedicato al genere su YouTube.
Gone Home non appartiene al genere, e sarebbe difficilmente collocabile nell’horror in senso lato, ma solo dopo che lo si è giocato o si è letto qualcosa in merito; in caso contrario può esserci perlomeno un momento (o anche più) di incertezza. «Se guardando le foto del gioco o l’immagine della copertina su Steam avete pensato che Gone Home fosse un gioco horror, siete in buona compagnia; probabilmente lo abbiamo pensato tutti» (Rubbini, 2013a), scrive – non a torto – uno dei recensori che si sono occupati del videogioco.
Risulta infatti piuttosto semplice trovare post di utenti che, anche a distanza di anni, domandano se Gone Home sia un gioco horror, se ci siano finali alternativi con parti più spaventose, e altri simili quesiti. Per inventariare alcuni esempi:
«Is this a horror game? I played like 30 mins of this and I thought it was supposed to be a horror game but I guess it isnt [sic]?» (f1reflygr7, 2013); «is gone home horror? anything like until dawn?» (Skermac, 2016); «il gioco alla fine non è horror a parte per i suoni inquietanti, però vorrei sapere se il finale vero e proprio è appunto horror e se ci sia qualche jump scare (sempre nel finale intendo)» (giorgi974, 2016); «I want to try this game due to it winning game of the year from a couple of places but seeing a little from this game I see it has a scary/horror type feel. Is it really scary?» (Whoop❤AAA | #BananaBoat, 2013); «I remember that Gone Home was kinda pitched as a horror game, I almost got suckered into buying it because I thought it would be like Amnesia» (lucben999, 2018).
Il videogioco contiene effettivamente numerosi elementi che rimandano al genere horror, come la vecchia magione da esplorare di notte, il temporale, la scoperta di passaggi segreti, gli accenni all’occultismo. L’immagine stessa scelta per presentare il prodotto su Steam sembra rimandare immediatamente a una qualche storia di fantasmi. Si tratta di una scelta voluta, indirizzata a mantenere almeno temporaneamente nell’incertezza il giocatore, come ha dichiarato lo stesso Steve Gaynor (uno dei fondatori di Fullbright Company) in un’intervista (Super Bunnihop, 2014).
Questa incertezza è stata in alcuni casi apprezzata, al punto che qualcuno ha definito Gone Home – non ironicamente – il gioco più spaventoso dell’anno (Haas, 2013), perché non viene mai rilasciata la tensione legata all’idea che qualcosa di soprannaturale stia per giungere. In altri casi, alcuni utenti hanno persino parlato di “truffa”, e c’è infine chi ha segnalato lo scollamento fra alcuni elementi e prospettive (la casa di Gone Home, per esempio, è stata da molti elogiata per il suo realismo, ma sotto molti aspetti è in realtà costruita seguendo la logica delle improbabili magioni di Resident Evil, Silent Hill e altri horror: Carroll N.T., 2014).
Questa incertezza, prescindendo dai giudizi su di essa, è effettivamente presente e ricercata, e potrebbe essere indicabile come uno degli elementi che hanno contribuito al successo del videogioco. I fattori dietro all’ottimo andamento di Gone Home sono numerosi e di diversa natura, fra cui la sua capacità di attirare il pubblico LGBT e un oculato utilizzo di saldi e sconti. Considerando il periodo della sua uscita, comunque, anche la componente “horror” sembra aver contribuito in maniera non indifferente.
Gone Home è stato rilasciato nell’estate del 2013, in un periodo di particolare ‘fame’ di horror in prima persona, iniziato durante l’anno precedente nel momento in cui – come visto – si affermano diversi gamers particolarmente seguiti giocando a videogiochi come Amnesia: The Dark Descent. La crescita esponenziale della scena indie, che a breve avrebbe riempito Steam e altre piattaforme, è appena agli inizi, e in un certo senso la domanda supera l’offerta. Per questo motivo vengono portati in video e si diffondono anche videogiochi molto derivativi, piccoli o piccolissimi progetti indipendenti, spesso poco curati, perché risultano comunque utili per alimentare le nascenti serie di gameplay a tema horror.
Videogiochi come Dream of the Blood Moon (The Unbeholden, 2013), The Rake: Hostel (Mark R., 2012), Inside (9ine, 2012), The Lost Souls (Nuclear Games, 2012), Mental Hospital: Eastern Bloc (2DHD, 2012), One Late Night (Black Curtain Studio, 2013), Eyes: The Horror Game (Paulina Pabis & Michał Pabis, 2013), Maere: When Lights Die (Maeregame, 2013), The Midnight Man (Sean Toman, 2013), Stairs (GreyLight, 2013) e molti altri, di alterna qualità, sono rintracciabili con frequenza in diversi canali di gaming come FavijTVtm, Parliamo di Videogiochi, Markiplier e PewDiePie.
Tutto ciò che è in prima persona ed è riconducibile all’horror – e soprattutto a titoli di successo come Amnesia: The Dark Descent o Slender: The Eight Pages – diventa di potenziale interesse per gli youtubers e il loro pubblico, non senza alcune situazioni particolari. Una di queste è legata ad Anna (Dreampainters, 2012), videogioco italiano ambientato in una segheria di Periasc (località della Val d’Ayas). Come ha sottolineato Alessandro Monopoli, fondatore e senior programmer di Dreampainters, in un’intervista:
«Per Anna, la sfida è stata comunicare alla stampa che il gioco era un’avventura grafica e non un horror come Amnesia. Una sfida che non abbiamo vinto, perché veniva sempre paragonato a quest’ultimo, quando avrei preferito che venisse paragonato a The Evil Within, che è un avventura [sic] horror. Molti si lamentavano che in un gioco simile ad Amnesia non ci fossero mostri, ma questo perché era un gioco molto diverso da Amnesia» (Nosenzo, 2015: 143).
Monopoli cita le incomprensioni della stampa, sul fatto che Anna non fosse un gioco come Amnesia o un (survival) horror, ma un’avventura grafica. Anche su YouTube è tuttavia riscontrabile la stessa situazione: «Ellino alle prese con un gioco, stile Amnesia, 100% Italiano!» (Parliamo di Videogiochi, 2012); «I hope you will enjoy this adventure into a survival horror nightmare» (Markiplier, 2012); «Etalyx plays an upcoming indie horror game called Anna» (Etalyx, 2012).
Un “fraintendimento” che peraltro, oltre a risultare comunque piuttosto sensato, ha probabilmente giovato alla visibilità del videogioco, il quale è stato anche giocato da youtubers molto seguiti come PewDiePie e Markiplier. A luglio 2018 Anna conta oltre 160.000 persone che l’hanno avviato almeno una volta su Steam (Games–Achievements–Players, 2018). Alessandro Monopoli diceva, già nel 2013, che «il gioco ha venduto ben più di qualsiasi nostra più idilliaca speranza» (in Rubbini, 2013b), ed è possibile che questo inatteso risultato sia derivato anche dai gamers in cerca di videogiochi horror che lo hanno presentato sui loro canali.
Considerando allora, come detto, il periodo di uscita, un effettivo contributo al successo di Gone Home potrebbe anche esser derivato dagli youtubers che lo hanno inteso come un gioco almeno «a bit spooky» (OfficialNerdCubed, 2013). Questo videogioco potrebbe dunque inserirsi in questa iniziale fase del “survival horror su YouTube”, in cui sono gli youtubers a recuperare gli horror e adattarsi ad essi. Ma emergono anche, al tempo stesso, i primi accenni di un movimento in direzione opposta.
Bibliografia
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