Recentemente ho giocato a Is It That Deep, Bro? di Moawling. Si tratta di una piccola avventura testuale, della durata di 5-10 minuti circa, liberamente giocabile e scaricabile su Itch.io.
Si gioca nei panni di un ragazzo che va al cinema con il suo amico Clay. Il cinema è deserto, ci sono solo loro due. E il film che viene proiettato parla dell’amore omoerotico tra due cowboy. Stanno sostanzialmente vedendo I segreti di Brokeback Mountain, insomma. Ma anche tra i due ragazzi in sala sembra esserci una certa tensione affettiva. Attraverso le nostre scelte e alcuni brevissimi minigiochi è possibile indirizzare questa tensione, negandola fino alla fine o seguendone il flusso.
Questo, in estrema sintesi, è il gioco, che valeva la pena riassumere almeno in termini molto generali, visto che non è proprio così noto, per usare un eufemismo. Spulciando in rete ho trovato un breve articolo su Gaymingmag, uno su Indie Hell Zone e non molto altro, ma segnalo che – almeno sui social – ho visto che ne avevano parlato anche le persone di Owof games. E, peraltro, la loro sottolineatura è stata probabilmente la più interessante che ho trovato, sul fatto che in questo gioco venga messa in risalto una forma di tensione sessuale (che è differente dall’atto sessuale) spesso rimossa dalle rappresentazioni mediali.
Detto ciò, non mi metterò qui a discutere di rappresentazioni queer e teorie di genere. Semplicemente perché è un settore che non ritengo di conoscere a sufficienza, e di improvvisati tuttologi ce ne sono già abbastanza in giro (anche intorno a questi temi), con conseguente pioggia di banalità e ‘pensierini’. Per cui, qui come altrove, evito di sconfinare in territori che io per primo dovrei approfondire a dovere e lascio il campo a chi ne sa più di me.
Desidero, invece, lanciare tre rapidi spunti di riflessione che mi sono venuti in mente giocando a Is It That Deep, Bro?, che non hanno (non primariamente, per lo meno) a che fare con la rappresentazione dei personaggi, ma con altre questioni. Sempre nell’ottica di arricchire i dibattiti con differenti angolazioni.
Il mondo perduto
Dopo i primi secondi di gioco, una domanda è subito balzata nella mia mente: “per quanto ancora sarà possibile?”.
La domanda era riferita al contesto in cui i due ragazzi si trovano: un cinema praticamente deserto, in cui proiettano un film ormai vecchio.
Qui viene subito richiamato un vasto e tradizionale immaginario, con la coppietta nel cinema vuoto, che si lascia trasportare dal film. È un immaginario condiviso, che qui viene semplicemente declinato in una tensione amorosa omosessuale.
Ma è anche un immaginario che sarà probabilmente sempre più vecchio. Ora, bisogna anche intendersi meglio a riguardo, perché non sto parlando della “morte del cinema”. Negli ultimi anni, a suon di “Netflix and chill” e amenità simili, c’è chi annuncia costantemente la scomparsa ormai prossima delle sale cinematografiche. Ma queste ultime, almeno prima del lockdown, avevano comunque mantenuto un buon potere attrattivo anche sulla generazione Z (rimando su questo al Rapporto cinema 2019 di cui peraltro sono stato uno dei curatori). Già lì, però, si parlava di una esperienza “festiva”, “extra-ordinaria”, l’uscita da fare con gli amici in qualche occasione particolare, magari il sabato sera.
Il lockdown, a sua volta, non ha ucciso le sale cinematografiche, ma ha sicuramente accelerato molti processi. E sembra confermarsi proprio questa immagine di una visione “elettiva” nella sala cinematografica, buona per determinati tempi e contesti. Non sarei stupito se, in futuro, la visione nelle sale cinematografiche fosse esclusivamente di due tipi, entrambi in forma differente legati a quella visione festiva che dicevo prima.
Da un lato un’esperienza di altissima qualità in concomitanza con un particolare evento filmico. Il modello dell’Arcadia di Melzo, insomma, per fare un esempio concreto. Altissima qualità audiovisiva, eventi speciali per il blockbusterone di turno ed eventuali raduni di cosplay come contorno. La sala cinematografica come “limited edition” dell’esperienza audiovisiva, insomma. Dall’altro lato il rito collettivo a bassa intensità del sabato sera al multisala: pizza o hamburger, poi visione di un film e poi eventuale proseguimento di serata altrove.
È ovviamente una semplificazione, ma non sarei affatto stupito se ci fosse questa evoluzione delle sale, con una loro iperspecializzazione su determinati pubblici e determinati film, lasciando al consumo domestico tutto il resto.
Ma questo significherebbe anche la sostanziale scomparsa di quell’immaginario della coppietta nel cinemino mezzo vuoto di periferia. A prescindere dal fatto che sia una coppietta omo o eterosessuale. Anche perché un imbarazzato avvio di pomiciata potrebbe non essere altrettanto agevole in una sala strapiena di marmocchi che lanciano pop corn e caramelle, oppure in un “tempio” silenzioso dove tutti i presenti trattengono il respiro per capire se l’impianto audio della sala gli permette di udire il fruscio dei peli nasali Tom Holland.
Ci si trova, insomma, davanti a un anticipo della nostalgia futura. A un qualcosa che tra qualche anno potrebbe essere visto come un residuo del passato. Qualcosa che sarà inserito nello Stranger Things del 2040, in cui evocheranno le atmosfere e le sensazioni dei primi anni 2000. Un po’ come sentire oggi l’inizio di Summer on a solitary beachdi Battiato, quando dice «Passammo l’estate / su una spiaggia solitaria / e ci arrivava l’eco di un cinema all’aperto».
Il cambiamento
Mi è piaciuto il fatto che i protagonisti di Is It That Deep, Bro? siano due giovani ragazzi. Non saprei quantificarne precisamente l’età, e non mi sembra venga indicata da nessuna parte, ma dalla loro rappresentazione non appaiono certamente come “adulti”.
Questo perché, andando al fondo di quel che c’è alla base del gioco, volendolo universalizzare il più possibile, c’è la grande questione del cambiamento, che può essere accettato o meno. Nel caso specifico è un cambiamento sentimentale, che andrebbe presumibilmente anche a ridefinire l’identità del protagonista.
Lui, in quel cinema, davanti a quel film, sente di provare qualcosa per il suo amico Clay. È questo il vento del cambiamento che sfiora la sua vita. Può lasciarsi trasportare da esso o può resistervi. O meglio, siamo noi giocatori a deciderlo per lui. E noi giocatori potremmo essere degli adulti. L’adultità porta, in molti casi, una fossilizzazione dinnanzi alla prospettiva del cambiamento. Il che non vuol dire che non si facciano spesso cose differenti, ma le si vive sempre con un certo schema di lettura del mondo che abbiamo ormai sviluppato e consolidato. Per cui in realtà non ci si aspetta mai che qualcosa cambi davvero, e quando si apre questa possibilità si guarda da un’altra parte.
Magari un “adulto” di questo genere farebbe aprire il protagonista nei confronti di Clay. Ma sarebbe per via della distanza data dal personaggio, dal fatto che non si sta davvero operando sulla propria vita. O potrebbe anche esserlo per l’adesione a una certa visione delle cose.
Se, però, questo adulto fosse chiamato in prima persona a scegliere come comportarsi, di fronte a un cambiamento significativo?
D’altro canto, se è vero che un giovane può essere più propenso ad accogliere il cambiamento, c’è un altro potenziale problema che emerge in lui: saper discernere il desiderio del cambiamento dall’irrequietezza del vivere.
L’irrequietezza del vivere è quella che, per esempio, può spingere a viaggiare in continuazione senza vedere mai niente (nella distinzione tradizionale e specifica tra vedere e guardare), mossi dal desiderio dello spostamento in sé e da una “collezione” di luoghi. Come diceva John Ruskin, «gli uomini non hanno visto granché del mondo andando lenti, figuriamoci se vedranno di più andando veloci!». C’è di positivo, però, che l’irrequietezza del vivere può spingere verso il desiderio di cambiamento con maggior felicità rispetto all’immobilismo. Bisogna solo smettere di muoversi come trottole da un’esperienza all’altra (che, peraltro, è una differente e più sottile forma di immobilismo mentale, se ci si riflette a fondo) e avere la predisposizione d’animo al cambiamento.
È una leva potente ma anche molto spesso fraintesa. Anche perché, da quando la pubblicità si è diffusa, il “cambiamento” è stato utilizzato come leva di acquisto costante, andando però a diluirne in maniera estrema il senso profondo. Rimangono dei percorsi interessanti se si pesca nel vasto mondo del “guru marketing”, ma anche lì è una ricerca con il lanternino, di quali siano i percorsi che mirano effettivamente a questo, rispetto a quelli che vendono la facile promessa di un cambiamento.
Tornando a Is It That Deep, Bro? e al suo protagonista, comunque, è interessante la possibilità di accogliere o rifiutare questo cambiamento che, molto probabilmente, andrà a ridefinire l’identità di quella persona. È il motivo per cui, molto più in generale, i videogiochi sono interessanti, nel momento in cui propongono scelte significative. Le narrazioni lineari sono piene di scelte significative, sia chiaro, soprattutto quando le storie sono ben strutturate, ma in quel caso il personaggio prenderà sempre e comunque una determinata decisione, dopo un momento di incertezza. Qui, invece, le diverse possibilità sul piatto sono tutte quante selezionabili e percorribili. Un fattore scontato (ma neanche così tanto, alle volte) per chi gioca abitualmente ai videogiochi, ma che non lo è per nulla per chi ha avuto come unica esperienza interattiva Bandersnatch di Black Mirror o qualcosa di similare.
Tenero ma non troppo
Qui mi rifaccio in particolare alle citate parole di Owof Games, sulla percepibile tensione sessuale tra i due protagonisti.
È una dimensione interstiziale di grande rilievo, anche per la sua carenza nelle rappresentazioni mediali. È direi che è una carenza che non coinvolge solo il mondo queer. Anche le rappresentazioni eterosessuali – pur con, ovviamente, più eccezioni – sono molto polarizzate. Da un lato tutta la narrazione e la retorica di un amore asettico, ‘angelico’ e fisicamente distaccato. Dall’altro l’atto sessuale deromanticizzato. E non è una critica, sia chiaro. Va benissimo che ci siano simili rappresentazioni in quanto facenti parte della vita, ma talvolta sembra effettivamente mancare un certo equilibrio, anche nell’ottica dei modelli a cui attingere.
Si sono spesi fiumi d’inchiostro sul perché sarebbero “problematiche” le rappresentazioni in stile Disney dell’amore, in quanto fonte di irrealistiche aspettative. Come detto, non mi trovo d’accordo nel definirle un “problema”, ma per certo sono una visione parziale. Al polo opposto, tuttavia, è sempre più frequente anche chi definisce “problematico” il settore pornografico, non per un bigottismo di ritorno ma – nuovamente – per le irrealistiche aspettative che produce. In entrambi i casi, ci si crogiola e trastulla con qualcosa che difficilmente corrisponderà all’esperienza effettiva, perché non è così frequente avere a che fare con, da un lato, partner che sono principi e principesse e, dall’altro, partner che sono pornostar. A volte capita, ma non è certo la norma.
L’innamoramento è, invece, per molte persone quell’imbarazzato e al tempo stesso eccitante confronto in cui amore romantico e attrazione fisica vanno a mescolarsi, proiettando in vario modo la tua mente sul futuro. Una congiuntura che alcuni vedono sempre più “minacciata” da più fronti. La de-sessualizzazione da un lato. L’iper-sessualizzazione dall’altro. E, come ulteriore sfida, la costante diffusione delle app di dating, con la promessa di un match algoritmicamente corretto che, in una maniera ancora differente, vende come promessa la sicurezza, la possibilità di evitare quell’imbarazzo di cui si diceva poco sopra (ne ho parlato anche in un mio recente video).
Insomma, ben vengano i videogiochi (e non solo) che cercano di riproporre quel peculiare momento in cui due cuori e due corpi cercano di entrare in contatto, muovendosi in quel garbuglio di emozioni che stanno provando. Omo o etero. Senza principesse, senza pornostar e senza algoritmi.
Questo articolo è dedicato a Ranni, la strega di Elden Ring, partendo da un articolo divulgativo uscito qualche giorno fa. Nella terza e ultima parte del contributo, però, ci si allontanerà parecchio da quel punto di partenza.
Le seguenti riflessioni nascono, all’origine, dalla lettura di un articolo pubblicato su «Vice»: How Is There Already So Much ‘Elden Ring’ Porn? We Asked the People Who Made It (Cole 2021).
Come intuibile dal titolo, l’articolo parla delle produzioni erotico-pornografiche legate ai personaggi di Elden Ring. All’interno di questa cerchia di personaggi, Ranni la strega sembrerebbe essere la favorita, sebbene non manchino altre erotizzazioni, magari legate a fandom e culture di gusto con una maggior specificità (Blaidd, per fare un esempio molto semplice e diretto, è un ottimo catalizzatore di interesse per il mondo furry).
I tre punti dell’articolo su cui vale la pena soffermarsi sono i seguenti:
La questione temporale. Molti si sono lanciati nella produzione di contenuti erotici legati a Ranni in tempi rapidissimi per cavalcare l’onda del successo di Elden Ring. Non è un mistero, osservando le vendite, che questo videogioco sia riuscito a raggiungere nuovi pubblici, oltre a riattivare l’interesse degli storici fan dei “Souls”.
I vuoti narrativi. Al pari della lore di Elden Ring (e dei precedenti videogiochi di FromSoftware), anche l’erotismo dei personaggi è un mondo che deve essere ermeneuticamente costruito dall’utente, partendo da frammenti sparsi. Questo lascia molta libertà creativa e consente una grande trasformatività.
Il parallelismo con il caso di Lady Dimitrescu. La ‘vampirona’ di Resident Evil Village aveva visto una vastissima proliferazione di contenuti erotici e pornografici appena era apparsa in trailer. La sua, tuttavia, è una figura con una forte carica erotica, da dominatrice, per cui questo era un esito a suo modo naturale e prevedibile. Meno scontati erano – su questo torneremo più avanti – altri recuperi trasformativi del personaggio. Ranni, Melina e compagne, invece, non sono state presentate in questo modo.
L’articolo di «Vice» non va molto in profondità, ma questi spunti sono di particolare interesse ed è utile partire da qui per sviluppare una riflessione sul ‘riuso’ erotico (e non solo) della strega Ranni.
L’obiettivo è quello di avanzare alcune ipotesi sul perché una simile figura abbia attirato così tanto interesse. Il ricorso alla cosiddetta rule 34 (secondo cui se qualcosa esiste allora esiste anche un contenuto pornografico su di essa) non è una spiegazione sufficiente. Se è vero che potenzialmente tutti i personaggi finzionali sono ridisegnati e riproposti in contesti erotici (di stampo ‘classico’ o legati a particolari feticismi), lo specifico interessamento verso determinate figure apre a molti stimolanti interrogativi.
Il porno ‘a scadenza’
Il primo punto del discorso non riguarda Ranni nello specifico. È piuttosto una constatazione sullo stato attuale del panorama mediale. È un panorama martoriato da un devastante capitalismo cronofagico (Mazzocco 2019), in cui risulta molto difficile potersi soffermare a lungo su un determinato prodotto o una determinata esperienza mediale. Travolti dal perenne vortice dei consumi, bisogna sempre spostarsi sul trend successivo. Il fatto curioso che ho notato, nel tempo, è che questa espressione del modello capitalistico – forse una delle più subdole – sia anche tra le più sottovalutate e persino giustificate da parte di persone che, in tutti gli altri contesti, ostentano con orgoglio strenue pratiche di resistenza al capitalismo. Forse perché la FOMO (Fear Of Missing Out), seppur inquietante e inquieta, ha anche un carattere consolatorio, per cui si fa fatica ad abbandonarla, o anche solo a desiderare di opporsi a essa.
Questo perché la FOMO – o meglio, i meccanismi che la alimentano – ha un legame con la gratificazione istantanea. Guardare i social, ricondividere quello di cui tutti parlano, lasciarsi trasportare dall’algoritmo di Netflix in un turbinio di serie tv che tante altre persone stanno guardando…
Sono tutte attività con una gratificazione immediata. Si parla del qui-e-ora. Sempre e comunque. E appena è trascorso, diviene un qualcosa di vecchio, da cui siamo autorizzati a staccare l’attenzione per poterci concentrare sulla nuova serie tv, sul nuovo film, sul nuovo videogioco di cui tutti parlano.
Di studi accademici sulla FOMO ne esistono moltissimi. Mi limito qui a riportare una recente systematic review sull’argomento (Tandon, Dhir, Almugren, AlNemer e Mäntymäki 2021), in cui è possibile trovare una sintesi ragionata di quanto la letteratura accademica ha fatto emergere.
Sottolineo anche che, sebbene la FOMO sia primariamente legata – e non in termini positivi – all’impiego costante dei social media (Rozgonjuk, Sindermann, Elhai e Montag 2020), il suo impatto ha chiaramente un riflesso anche sui consumi. Se si parla ovunque della serie tv/film/videogioco/ecc. del momento, sui social, io rimango tagliato fuori, a meno che non decida di fruire nei (sempre più ristretti) tempi indicati di quel prodotto, così da poterne parlare.
Inutile sottolineare come questo ricambio costante sia, da un lato, il perfetto strumento di asservimento ai ben oliati ingranaggi del consumismo capitalistico e, dall’altro, risulti un temibile avversario della libertà di pensiero critico. Le persone preoccupate da questo fenomeno dovrebbero accogliere con gioia le occasioni in cui un prodotto riesce a provare una maggiore resistenza discorsiva rispetto a quella brevissima finestra di interesse a cui è destinato. Eppure, con una acredine che trovo paradossale, in quei casi emergono le lamentele. È successo anche con lo stesso Elden Ring, ritenuto da molti ‘colpevole’ per aver mantenuto ferma su di sé per troppo tempo l’attenzione degli appassionati, catalizzandone la produttività discorsiva.
E anche i contenuti erotici fanmade non sono esenti da simili dinamiche, stando a quel che emerge dal sopra citato articolo (Cole 2021), per i creatori di questi contenuti è stata una corsa contro il tempo: che senso avrebbe avuto, altrimenti, condividere le loro animazioni porno su Ranni, se Elden Ring fosse uscito dalla discorsività attuale?
Alcune considerazioni. La prima è che, prescindendo dal singolo caso, il legame del porno con la FOMO, i social media ecc. è più diretto di quel che si potrebbe pensare. Anche il porno è una forma di gratificazione istantanea, basata sulla disponibilità immediata, sull’essere a-portata-di-mano. Anche il porno può generare facilmente aspettative falsate su di sé e sul proprio corpo, derivanti da un impietoso confronto, molto simile a quello dell’esposizione costante a migliaia di immagini di modelli/e su Instagram e altri social, spesso filtrate, modificate o perlomeno accuratamente selezionate (mi limito a segnalare una fonte recente tra le moltissime presenti in merito: Barton 2021).
Una nota a margine: è chiaro che ci sia anche la pornografia amatoriale, oltre a quella fuori dall’ordinario e mitizzata dei pornoattori, ma non rappresenta una particolare alternativa, in quest’ottica dei modelli, né tantomeno della sua disponibilità immediata. Soprattutto considerando i sempre più porosi e difficilmente identificabili confini tra i “pro” e gli “amatori” del settore (Hofer 2014).
La seconda considerazione è che, spesso, nei discorsi sul capitalismo cronofagico, la pornografia (anche quella fanmade sulle waifu finzionali) è il convitato di pietra della situazione. Sempre ben presente, ma che nessuno osa nominare.
La terza considerazione, infine, è che non condivido il fatalismo dell’articolo sulla fine dell’interesse per i contenuti erotici a tema Elden Ring. Come prova del suo discorso, l’autrice (Cole 2021) cita il caso di Alcina Dimitrescu, ma in realtà la ‘vampirona’ di Resident Evil Village è proprio un esempio contrario alla sua tesi. A distanza di tempo, infatti, lady Dimitrescu rimane un personaggio piuttosto vitale, in termini di produttività fanmade, a sfondo erotico e non (su questo si tornerà più avanti). Il suo caso, insomma, è il perfetto esempio di come esista una “coda lunga” (sullo stile del noto modello di Chris Anderson: 2004) anche per i contenuti erotici fanmade.
Non mancano inoltre casi di (ri)attivazione tardiva di interesse, come si è visto lo scorso anno con l’esempio della cosiddetta Ankha Zone (l’animazione fanmade del rapporto sessuale tra Ankha e Abitante sulle note di Camel by Camel), realizzata mesi dopo l’uscita di Animal Crossing: New Horizons (2020) e divenuta virale ancor più tardi (Adam 2021).
Personaggi performativi
Riporto un significativo passaggio dell’articolo di «Vice»: «Several of the artists I talked to brought up the popularity of Lady Dimitrescu erotica from Resident Evil Village in January as a comparison, much of which came out before the game was even released. But one could argue that Capcom knew exactly what it was doing when it created a giantess who physically and verbally dominates and steps on you; compare this to Elden Ring, where characters are more grotesque than horny, and fans are left to fill in the blanks with their own imaginations. Much like the gameplay, getting boned up for Elden Ring is a beautiful but open-ended mystery, made possible with collaboration» (Cole 2021).
È solo un passaggio, ma contiene sottotraccia due elementi molto importanti, che ho isolato precedentemente nei punti 2) e 3) citati in apertura: il confronto con il caso di Alcina Dimitrescu e l’importanza di questi vuoti narrativi da riempire.
Qualche mese fa ho iniziato a ragionare sul maggiore o minor grado di performatività di determinati personaggi videoludici nei recuperi fanmade. L’ho fatto partendo da due contributi sul mio sito (Toniolo 2021a e 2021b), dedicati a due personaggi che sono stati molto chiacchierati, nell’ultimo anno: la già citata Alcina Dimitrescu di Resident Evil Village e Aloy di Horizon Zero Dawn e Horizon Forbidden West. Tra parentesi, è anche mia intenzione dare poi uno sviluppo più sistematico e accademico a queste riflessioni, in un’altra sede. Qui mi limito a richiamare velocemente alcuni aspetti.
Ho usato la metafora del marmo e dell’argilla, per parlare del differente trattamento di personaggi come loro da parte della community. Aloy è come il marmo: materia nobile, da ammirare, da ‘statuizzare’, ma anche molto poco malleabile. La stragrande maggioranza dei contenuti su un personaggio con le sue caratteristiche sono celebrativi e non trasformativi: che si tratti di fanart, di storie o altro, è sempre la Aloy originaria, celebrata ed esaltata nelle sue qualità di eroina senza macchia e senza paura.
Personaggi come Alcina Dimitrescu (ma il discorso si applica perfettamente anche agli altri tre Lord di Resident Evil Village) sono invece estremamente malleabili, nelle loro rappresentazioni fanmade. Alcina può apparire come una sadica gigantessa cannibale (per cui nella sua versione originaria), ma anche come una madre affettuosa, come un’icona LGBTQI+, come una litigiosa ‘sorellona’ sempre in contrasto con Karl Heisenberg, come una cantante, come una diva del passato e molto altro ancora.
Osservare solo i – pur numerosissimi – contenuti erotici fanmade su Alcina è pertanto uno sguardo limitato e limitante. Essi rappresentano solo una parte del portato trasformativo di un personaggio come questo, che appare facilmente plasmabile in vario modo, al pari dell’argilla.
Se la differenza riguardasse solo la componente erotica, la distinzione sarebbe tanto immediata quanto ovvia, ma la questione è molto più complessa e stratificata. La carenza (non è comunque una completa assenza) di contenuti erotici su Aloy è solo in parte legata al suo essere un personaggio meno sessualizzato di altre icone videoludiche. Ridurre il tutto a questo fattore sarebbe una lettura piuttosto epidermica, persino ingenua, del fenomeno. Diversi siti traboccano di fanart che erotizzano personaggi anche molto meno sensuali di Aloy, se servisse in tal senso fare la prova del nove. E, al tempo stesso, Aloy performa poco e male in termini trasformativi anche al di fuori delle produzioni erotico-pornografiche.
È, semmai, una questione di aperture potenziali, simili al concetto dei varchi narrativi (Cajelli e Toniolo 2018) sfruttabili per ampliare una storia in un contesto crossmediale. La costruzione narrativa dei quattro Lord di Resident Evil Village è fatta di tanti tasselli informativi spesso appena accennati, ma che aprono numerose porte sui loro possibili sviluppi.
E, arrivati a questo punto del discorso, si sarà intuito come l’impalcatura narrativa di Elden Ring sia un terreno potenzialmente molto fertile, da questo punto di vista. Tutti i “Souls” lo sono, del resto. Volendo ricordare una espressione di Vaatividya che riassume molto bene il concetto, «Dark Souls gives you resources that you can interpret in a multitude of ways» (citato in Macdonald e Killingsworth 2016, p. 81). L’argomento è stato approfondito in vario modo da numerose pubblicazioni nel corso del tempo (tra cui l’appena citato Macdonald e Killingsworth 2016; Ascher 2015; Schniz 2016; Mecheri e Romieu 2017; Hoedt 2019 e molti altri) e la stessa attività di creatori di contenuti come Vaatividya e Sabaku no Maiku ne rappresentano una prova concreta.
In perfetto stile ‘soulsiano’, insomma, Ranni la strega è un prisma di possibilità appena accennate, tutte da sviluppare. È una guida e aiutante, una divinità da venerare, una compagna di vita da amare, una creatura indifesa da difendere, una creatura potentissima da cui farsi difendere, una strega, un’entità incorporea, una cospiratrice…
Si possono immaginare moltissimi contesti differenti legati a Ranni. Anche solo stando ancorati alla lore di Elden Ring, le interpretazioni sono molteplici in merito al suo operato. Un fattore molto interessante dei “Souls”, Elden Ring compreso, è proprio la negoziabilità dei punti di vista. Emergono segreti su segreti, posizioni divergenti e contrastanti, ma in ultima analisi è difficile identificare con assoluta certezza quale possa essere la “verità”, quale sia il “migliore dei mondi possibili” tra quelli desiderati e immaginati dai diversi personaggi. Già da questo punto di vista, pertanto, la vicenda di Ranni, la sua missione, è leggibile in vario modo.
E questa molteplicità può ovviamente solo crescere esponenzialmente nel momento in cui si esce dal canone in senso stretto. Quando si iniziano a riempire quei vuoti narrativi non solo con altre tessere di quel mosaico composto dalle informazioni fornite nel gioco, ma con la propria immaginazione. Ma anche allontanandosi dal canone, la figura di Ranni risulta perfettamente adattabile a un gran numero di contesti differenti.
È un potenziale che al momento si è sviluppato – almeno osservando i diversi contenuti fanmade su vari siti – lungo determinate tipologie di percorsi. Ho visto, per esempio, diverse rappresentazioni di Ranni nei panni di una ragazza contemporanea, intenta a giocare al computer mentre sgranocchia patatine e coccola Blaidd. E poi c’è il filone erotico/pornografico di cui si è già detto in precedenza, spacchettabile nelle sue versioni vanilla e nei vari feticismi più o meno ricorrenti in casi del genere.
La natura non umana di Ranni, e in particolare le sue quattro braccia, rafforzano questa trasformatività performativa, in contesti erotici e non solo. È un discorso che ho già fatto a proposito di Alcina Dimitrescu (Toniolo 2021a), su come i corpi parzialmente umani delle varie monster girls offrano un ampio panorama esplorativo di interazioni performative, sia nelle rappresentazioni della quotidianità, sia nel mostrare atti sessuali altrimenti impossibili. Evito quindi di ripetere nuovamente il tutto, rimando a quell’articolo, a un altro mio contributo accademico in merito (Caselli e Toniolo 2021) e alla bibliografia lì riportata per approfondimenti.
La promessa e il futuro
L’aspetto probabilmente più interessante, legato al personaggio di Ranni e al suo ‘riuso’, esce al di fuori del perimetro da cui si è partiti con l’articolo iniziale. E tutto ciò avviene con la constatazione che, in questo universo di rappresentazioni di Ranni, ci sia molto erotismo, ma anche molto romanticismo.
Su questo elemento, i parallelismi con il caso di Alcina Dimitrescu vengono meno. Non che siano mancate storie romantiche legate alla ‘vampirona’, sia chiaro, ma sono contenuti minoritari. Con Ranni, invece, molti contenuti fanmade sembrano rispondere al desiderio di una avventura romantica, di cui la strega blu è una candidata perfetta.
Ranni è, in primo luogo, di bell’aspetto e, pur non essendo umana, ha una struttura fisica assolutamente compatibile con la piacevolezza umana. Come è stato sottolineato osservando videogiochi che, a differenza di Elden Ring, prevedono delle effettive romance all’interno del gioco, il pubblico maschile tende sì ad apprezzare la componente sentimentale, ma non rinuncia all’estetica della partner virtuale che hanno scelto (Tomlinson 2019). Un esempio che viene portato è quello delle Asari di Mass Effect, le avvenenti aliene dalla pelle blu/azzurra (proprio come Ranni, per inciso) che popolano questa trilogia e che sono state al centro di più di uno studio (come Zekany 2016 e Lucas 2016).
Ma la quest di Ranni è anche, all’interno di Elden Ring, ciò che più si avvicina a una effettiva romance. Il matrimonio con Ranni, sebbene abbia primariamente una funzione simbolica, costituisce comunque la promessa di una vita – per non dire un’eternità – da poter trascorrere insieme alla propria consorte. Certo, gli sviluppi sono in larga parte lasciati al di fuori del gioco, in quei varchi narrativi potenzialmente esplorabili, ma è proprio questo a rendere stimolante il tutto.
Si torna, insomma, alla questione della performatività. Affiancata da questo termine, promessa, che è stato poco fa introdotto. Voglio riportare, in merito alla questione, le seguenti parole: «il performativo consiste nel promettere (sotto-genere euforico) o nello smentire una promessa attesa (sotto-genere disforico). Se questa ipotesi non è troppo forte, si può dire che il performativo – compresi i giuramenti, le dichiarazioni, gli auguri, le confessioni ecc. – ruota invariabilmente intorno alla promessa, alla sua presenza o assenza» (Brandt 1992, p. 6). Provengono dal testo Per una semiotica della promessa. Il senso con cui, in quel testo, si parla di “performativo” è diverso rispetto al discorso qui riportato, ma la nozione è estendibile.
Ranni è la waifu della promessa – come ho voluto intitolare questo articolo – perché siamo duplicemente legati a lei in tal senso.
Lo siamo, all’interno della storia di Elden Ring, da quella sorta di patto, di contratto, che possiamo stipulare con lei.
Ma lo siamo soprattutto perché il suo essere un personaggio performativo – nel senso sopra indicato – lascia aperta la grande promessa di tutti gli sviluppi futuri che possiamo immaginare per lei.
Nell’intreccio di queste due promesse, ciò che emerge maggiormente è l’idea di fedeltà. Il personaggio di Ranni emerge, nella sua quest, sempre legato a questo concetto. Blaidd e Iji si dichiarano più volte suoi fedelissimi servitori. E anche noi siamo chiamati ad aggiungerci a questa cerchia, in una fedeltà che è inizialmente di vassallaggio, di servitium militare. Ma a questo può poi subentrare – se rimaniamo fedeli a Ranni, se non le voltiamo le spalle – anche un servitium amoris: un rapporto sbilanciato, probabilmente, in cui lei è la domina e noi i suoi servitori, ma in cui pure ci promette idealmente una fedeltà eterna.
Riporto, a tal proposito, le parole del filosofo Alain Badiou sulla fedeltà in amore: «In love, fidelity signifies this extended victory: the randomness of an encounter defeated day after day through the invention of what will endure, through the birth of a world» (Badiou 2012, pp. 45-46). Il senso della promessa torna molto forte: sto idealmente promettendo che, dalla casualità di un incontro, nascerà un costante rinnovamento di comunione reciproca.
E, verrebbe da aggiungere, cosa c’è di più casuale e fortuito degli incontri di Elden Ring? Quanti, senza delle indicazioni precise, sarebbero in grado al primo tentativo di portare a termine con precisione tutte le quest dei vari personaggi?
Prescindendo dalla questione dell’incontro, questa promessa torna a colpirci. Per avviarmi verso le conclusioni, vorrei citare il seguente passaggio: «la postmodernità, pur insieme a un preoccupante ritorno dell’egocentrismo e del narcisismo, va custodendo, se non enfatizzando, il bisogno di tenerezza e intimità, di dolcezza e felicità e dunque va reclamando la necessità di depotenziare la “durezza del cuore” e di promuovere un sentire intenerito» (Rossi 2006, p. 245).
Anche quando ci muoviamo nei finzionali mondi virtuali, possiamo inciampare in questo bisogno in qualsiasi momento, davanti a una promessa.
Possiamo essere attratti, giocando a Mass Effect, da Liara T’Soni perché, sì, è un’aliena, ma con caratteristiche di gradevolezza assolutamente umane. Per poi trovarci a farle dire dal/la nostro/a Shepard che tutto ciò che desideriamo dal futuro è «marriage, old age, and a lot of little blue children».
Possiamo stringere un oscuro e bizzarro patto con Ranni e augurarci che il nostro personaggio possa essere felice e contento per sempre. Che è proprio la formula di chiusura di tante fiabe.
Immersi nel vasto mare dell’erotismo, ogni tanto ci si schianta contro uno scoglio di sentimenti.
Possiamo persino giocare a un videogioco come HuniePop e desiderare che, al di là dei rapporti sessuali con tutte le donne del gioco, ci sia la possibilità di sviluppare un legame più intimamente romantico.
Ma questa, come si dice, è un’altra storia.
Bibliografia
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Queste anime oscure e Le nuove anime oscure torneranno nel 2022.
L’ho detto, così ci siamo tolti subito il pensiero.
Se già sapete di che si tratta… scendete di qualche riga per scoprire quali saranno le novità.
Se invece non sapete cosa siano questi due libri…
Sono due raccolte di saggi sui“Souls”.
Uso questo termine per comodità, per indicare non solo i tre Dark Souls, ma anche Demon’s Souls e Bloodborne.
Queste anime oscure. Da Demon’s Souls a Bloodborne: incursioni, escursioni, suggestioni vide la luce nel 2015.
Due anni più tardi, nel 2017, fu affiancato da Le nuove anime oscure. Da Demon’s Souls a Dark Souls III.
I due libri sono entrambi strutturati nello stesso modo: una serie di capitoli, ciascuno dedicato a un personaggio, una ambientazione, una meccanica o altro ancora di questi videogiochi. In ottica soprattutto comparatistica.
Quindi sono due saggi sulla lore dei “Souls“?
No. Non proprio. Semmai si parte dalla lore per andare oltre. Per andare a vedere quel che c’è dietro, diciamo così. A quali grandi temi possiamo collegare certi personaggi. Cosa hanno da insegnarci.
Vi lascio qui sotto l’indice dei capitoli, così è tutto più chiaro.
Due libri molto particolari, insomma.
Alcuni di voi avranno anche avuto l’occasione di leggere uno di questi capitoli: quello su Manzoni e Bloodborne.
E tale operazione mi ha convinto di una cosa: è giunto il momento di portare una versione “riveduta & corretta” di questi due libri nella loro interezza.
Negli ultimi anni, del resto, diverse persone mi hanno fatto richieste similari. O legate a un terzo saggio sullo stile degli altri due, o a una riedizione dei precedenti.
Ho optato per una sorta di via di mezzo, come vedremo tra poco.
Ma prima desidero raccontarvi una storia e riflettere su un paio di cose.
Dottorati, allenamenti e anime oscure
Torniamo al momento in cui mi sono laureato. In quel momento sono uno studente che ha finito molto in fretta la magistrale in lettere. Mi sono laureato al primo appello disponibile e arrivavo già col massimo dei voti alla discussione.
La strada che si apre davanti a me è questa: ottenere l’abilitazione e trovarmi una scuola (possibilmente un liceo) in cui andare a insegnare qualche materia umanistica.
Non è male, come prospettiva. Del resto era quel che avevo desiderato fare negli ultimi anni.
Tuttavia, man mano che la laurea si avvicina, si fa sempre più forte in me un altro desiderio.
Voglio fare il dottorato di ricerca per restare in università. E voglio farlo per potermi occupare di videogiochi.
Perché non provarci? So che la selezione è dura, tutti mi hanno sconsigliato un simile percorso. Io però vado avanti lo stesso.
Arriva il momento della prova. Sono eccitatissimo. Sostengo scritto e orale, poi resto in attesa della graduatoria. Faccio ogni cinque minuti un refresh della pagina.
Poi, alla fine, ecco il risultato.
Non ci credo.
Sono primo.
Primo dei NON ammessi.
Per un paio di giorni rimango imbambolato. Non so cosa fare. Mi sento solo triste. Ero arrivato a un passo dal risultato. Sarebbe bastato un punticino in più. E invece…
Poi scatta qualcosa nella mia testa. Forse per la prima volta nella mia vita. O, perlomeno, per la prima volta in un modo così intenso.
All’improvviso, in mezzo secondo, i miei pensieri passano da “sono un fallimento” a “non è finita qui, dimostrerò a tutti quel che so fare”.
Si tratta di una sensazione che in seguito mi avrebbe fatto compagnia molte altre volte. Ed è importante ricordarla perché si lega allo spirito con cui scrissi Queste anime oscure.
D’un tratto mi sento come il protagonista di un battle shonen, quando le ha prese dal nemico di turno e capisce di doversi allenare, se vorrà sconfiggerlo in futuro.
O, ancora meglio, mi sento come in un videogioco. Il boss mi ha saccagnato, ma in futuro potrò affrontarlo di nuovo. Quel che devo fare, però, è livellare a dovere e studiarmi un buon piano.
Ho un anno intero davanti a me. Un anno che sarà pieno di studio, di lavoretti, di ansie e molto altro ancora.
Un anno in cui avrei gettato – senza rendermene bene conto – le basi del metodo che mi avrebbe sempre più aiutato negli anni successivi. E che ho focalizzato al meglio solo a posteriori.
Ma non ne parleremo in questo momento.
Giusto per chiudere la storia, l’anno dopo sarei arrivato primo, al concorso per il dottorato di ricerca.
Primo in senso assoluto, in quel caso.
Torniamo però a questo anno, trascorso alternando momenti di “ce la farò!” a momenti di crisi esistenziale.
Decido che voglio scrivere un saggio. Qualcosa che mi dia soddisfazione, ma soprattutto qualcosa che mi dia una ‘scusa’ ulteriore per restare focalizzato sullo studio, la scrittura ecc.
Mi metto pertanto a scrivere i capitoli di Queste anime oscure.
Sento di essere un po’ come i personaggi dei Souls, il che non del tutto positivo, diciamo, però al tempo stesso mi conforta.
Ho la sensazione di essere nel mezzo di un viaggio, in cerca di qualcosa di grande. Ancora però non so se troverò davvero il mio “sole” o se fallirò miseramente, finendo con una larva in testa.
Nonostante le paure, ci sono due cose che mi spronano tantissimo.
La prima è il desiderio di lavorare con ciò che amo.
La seconda cosa non la dirò. Posso solo dire che, fino a pochi mesi fa, è stato un qualcosa che ha sempre saputo spronarmi moltissimo a lavorare sodo, anche nei momenti più bui.
Un libro da fiera
Uno degli aspetti caratteristici di Queste anime oscure e Le nuove anime oscure ha riguardato la loro difficile reperibilità.
E, tutto sommato, la cosa ha prodotto dei risvolti interessanti.
Ma spieghiamo meglio il tutto.
I due libri sono stati pubblicati con TraRari TIPI. La casa editrice legata al progetto Game Art Gallery di Debora Ferrari e Luca Traini. Due persone che non ringrazierò mai abbastanza, perché hanno creduto in me, perché mi hanno coinvolto in tante iniziative molto stimolanti e – soprattutto – perché hanno sempre dimostrato grande gentilezza e umanità.
I loro libri sono molto belli. Hanno copertine che attirano subito l’attenzione. Ho visto molte volte le persone che osservavano incuriosite la copertina di Queste anime oscure, chiedendosi chi fosse quel personaggio.
Lavorare con la casa editrice di un progetto che coinvolge diversi artisti, insomma, ha i suoi vantaggi.
TraRari TIPI, però, è anche un piccolo editore che si dedica a progetti piuttosto specifici.
E, in termini di distribuzione, Queste anime oscure e Le nuove anime oscure sono poco reperibili. Le copie sui grandi store online non si trovano sempre e vengono consegnate con tempistiche lunghe.
Tutto ciò è stato limitante, per diversi aspetti, ma ha anche avuto l’interessante risvolto di rendere ancor più questi saggi due “libri da fiera”.
Sono libri che, per argomento e copertina, attirano l’attenzione già di loro. E lo fanno ancor più nei casi in cui la persona riconosce quel “libro su Dark Souls” che aveva visto su internet, senza riuscire a ordinarne una copia.
Sì, è successo proprio così in molti casi.
Questo ha avuto perlomeno due grandi vantaggi.
Il primo è stato quello di conoscere tante ottime persone, perché la situazione ha avviato scambi molto più diretti, da cui sono anche nate amicizie durature in qualche caso.
Il secondo è stato quello di generare un certo alone di mistero intorno a questi libri.
Il contro? Pochissime vendite online, ovviamente. Ma non è che sia stato un grosso problema.
Ora dirò una cosa che potrebbe lasciare di sasso moltissime persone.
Dalle vendite di un libro l’autore non guadagna quasi nulla.
E anche l’editore ci guadagna pochissimo.
Se quanto ho appena detto vi ha scombussolato, vi consiglio di recuperare questa live del Duca di Baionette, in cui viene spiegato tutto quanto con molta chiarezza.
E a proposito di numeri…
Qualche numero sui libri
Queste anime oscure è composto da 99.737 parole.
Che sono 647.225 caratteri (spazi inclusi).
Le nuove anime oscure è composto da 78.688 parole.
Che sono 506.136 caratteri (spazi inclusi).
In termini di pagine la differenza non è così significativa, sono meno di 30 pagine di differenza tra l’uno e l’altro.
Queste anime oscure ha però molte più note a piè di pagina, il cui testo è in carattere inferiore rispetto al testo principale, per cui ecco spiegato il ‘trucchetto’.
A guardarli non sono due “tomi”, sono libri snelli.
Questo perché ho mantenuto dei blocchi di testo piuttosto compatti e non sono stati inseriti margini eccessivi.
Se avessi impostato questi due libri come alcuni che si trovano in giro – con margini enormi e spazi bianchi ogni 2-3 periodi – avrei facilmente duplicato le pagine.
Così non è stato. Preferisco un bel libro compatto a uno inutilmente grande. Soprattutto se si parla di saggi. Per i romanzi il discorso può essere diverso.
Ah, se i numeri vi divertono e volete spaventarvi un po’: la mia tesi di dottorato è composta da 295.079 parole.
Che corrispondono a 1.952.498 caratteri (spazi inclusi).
Per cui ci vogliono tre Queste anime oscure per eguagliare la lunghezza della mia tesi di dottorato.
Per fare un altro confronto: il mio articolo su Alcina Dimitrescu è composto da circa 42.000 caratteri.
E 42.000 caratteri sono circa 3 volte la lunghezza di un articolo lungo ‘standard’, di quelli che trovate in giro sui siti.
So però che non avete tutti il feticismo per caratteri e parole.
Di solito una domanda molto più frequente è “quanto tempo ci hai messo?“
Bella domanda.
La risposta è “circa un anno per ciascuno dei due libri”, ma non vuole dire molto.
Penso abbiate già intuito che non ci ho lavorato un anno a tempo pieno. Anzi. In entrambi i casi ero già PIENISSIMO di attività.
Del resto è molto raro lavorare alla scrittura di un libro a tempo pieno e in maniera totalizzante. A meno che voi non siate scrittori di professione. E gli scrittori di professione sono pochissimi (anche per le ragioni che accennavamo sopra).
A me una volta è capitato, per la verità: scrissi e basta per un mese e mezzo, senza fare altro. Ma non era per questo progetto.
C’è poi un altro aspetto interessante: il tempo trascorso a leggere libri dovremmo inserirlo nel conteggio?
In fondo ho letto molti libri anche allo scopo di scrivere Queste anime oscure. Non solo, certo, li ho letti anche per prepararmi al dottorato ecc., ma comunque ci ho speso ore e ore.
E il tempo trascorso a (ri)giocare i “Souls“?
Quello conta nel “quanto ci hai messo”?
O si conteggia solo il tempo che ci ho messo a scriverlo? Quello in cui stavo proprio pigiando tasti al computer?
E si potrebbe andare avanti anche a lungo, con tutta un’altra serie di altre attività che potrebbero rientrare o meno nel conteggio.
Una cosa però è certa:
qualunque cosa stiate facendo, scrivere (bene) di videogiochi richiede un sacco di tempo. Un tempo che è difficile ripagare in termini monetari.
Questo è un grande cruccio per più o meno tutte le persone che scrivono di videogiochi sui siti.
Ogni tanto salta sempre fuori la discussione a riguardo, su qualche sito/gruppo/chat: si inizia a far la somma delle ore richieste a finire un videogioco, le si equipara alla paga dell’articolo…
Tutto questo, tra l’altro, conteggiando solo le ore spese a giocare. Pensate se dovessero entrare anche quelle per letture, ricerche ecc.
Per questo bisogna avere un metodo. Ed essere allenati a scrivere (e a scrivere BENE, ricordiamocelo) in tempi utili.
Questa lezione io l’ho imparata in passato sulla mia pelle. Non tanto con questi libri, però l’ho imparata per bene.
Oggi non dedicherei più un anno a Queste anime oscure. A prescindere da quanto tempo ci abbia effettivamente dedicato in quell’anno.
Oggi saprei scriverlo molto meglio e in molto meno tempo. Di sicuro grazie al bagaglio di letture accumulate (leggo circa 200 libri all’anno, quasi tutti saggi), ma anche grazie alla disciplina e al metodo.
Un giorno vi svelerò in quanto tempo ho scritto il mio articolo suAlcina Dimitrescu, quello che citavo sopra.
Le poche volte in cui l’ho detto le persone hanno strabuzzato gli occhi.
Non è un articolo accademico. Questo è chiaro. Se avessi dovuto impostarlo in quel modo mi avrebbe richiesto molto più tempo e un rigore decisamente più alto. Come articolo divulgativo, però, va benone.
Comunque sì, lo so, non siete qui per parlare di Alcina Dimitrescu.
Il che è un male, ma vi capisco…
Siete qui per sapere cosa salterà fuori in questa nuova riedizione di Queste anime oscure e de Le nuove anime oscure.
Cosa ci sarà di nuovo?
Nuovi capitoli, innanzi tutto.
Alcuni saranno sui “nuovi Souls” (Sekiro e Elden Ring). Altri saranno sui videogiochi già trattati in precedenza. Perché in fondo c’è ancora molto da dire.
E poi, diciamocelo, oggi la nostalgia viaggia veloce e ci sentiamo già incredibilmente nostalgici verso un videogioco uscito una decina di anni fa.
Al momento non dico altro, su queste nuove aggiunte, altrimenti dove sarebbe la sorpresa?
Oltre a questo ci sarà una generale rifinitura dei vecchi capitoli: aggiornamenti bibliografici, miglioramento nella scorrevolezza, passaggio ai sistema di citazione autore-data (per alleggerire le note a piè di pagina) e tanti altri piccoli cambiamenti.
Il passaggio al sistema autore-data merita una spiegazione. Come detto sopra, questi libri sono ricchi di note a piè di pagina, molte delle quali puramente composte da riferimenti bibliografici.
Cambiare il sistema di citazione consentirà – senza perdere nulla sul versante del rigore scientifico – di alleggerire il testo, di ridurre il numero dei caratteri.
Non sarà però una riduzione fine a sé stessa. I caratteri in meno saranno ‘sostituiti’ da quelli dei nuovi capitoli.
Certo, non è il caso più eclatante della storia (penso alla mastodontica nuova edizione di Mazinga Nostalgia di Pellitteri, tanto per far un esempio), ma se togliete questi casi eccezionali è comunque un qualcosa di rarissimo.
Ah, dimenticavo.
Ci sarà anche la versione ebook.
E non solo…
Ma per il momento fermiamoci qui, con le sorprese.
E se li ho già?
Se hai già Queste anime oscure e/o Le nuove anime oscure…
Beh, intanto ti ringrazio per la fiducia.
Però magari in questo momento stai un po’ rosicando, perché li hai comprati di recente e ti dici “a saperlo prima avrei aspettato un po’ di più…”
Ma non ti preoccupare.
Ci sarà una offerta apposita per i casi come il tuo.
Anche qui, per il momento non posso dire di più, ma puoi dormire sonni tranquilli.
Per non perdere l’offerta futura tieni d’occhio questo sito e – meglio ancora – il mio canale YouTube.
Quando il tempo sarà propizio per ravvivare la Fiamma, scoprirai cosa fare per cogliere l’occasione.
Articoli, testimonianze e dintorni
“Queste Anime Oscure è uno studio di grande spessore, una lettura che ci porta a scoprire in profondità alcuni dei titoli più amati nel panorama videoludico, trovando curiosi legami con il nostro mondo che probabilmente molti non immaginano neanche” (Dall’articolo Da Dark Souls ai Promessi Sposi – Analisi di “Queste Anime Oscure” di Mattia Alfani su Staynerd).
“Altri approfondimenti che ho tenuto in forte considerazione sono quelli di Francesco Toniolo sui Souls, “Queste anime oscure” e “Le nuove anime oscure”. Come spesso afferma Wesa, il creator che da anni seguo di più, “chi sa solo di videogiochi non sa nulla di videogiochi”. Non si può parlare di videogiochi, di narrativa, di contenuto mediato da questo medium se non si hanno altri orizzonti e riferimenti culturali. Chi per tutta la vita ha giocato e basta ma ha letto e studiato poco, è quasi certamente qualcuno che non ha idea di quale metro usare per parlare di videogiochi. Francesco Toniolo è docente di semiotica, conosce i linguaggi multimediali e nei suoi libri si vede chiaramente come un videogioco può essere letto con una preparazione più estesa alle spalle.” (da Scrivere un saggio su Final Fantasy X ft. Federico Maestri, su Pilloledifolklore).
Vedi anche:
Outcast Reportage: Milan Games Week 2017 su Outcast.
Demon’s Souls Lore (Parte 10), ospite speciale: Francesco Toniolo sul canale YouTube Black Raziel.
Dark Souls da leggere: quando l’anima dei souls intreccia il mondo letterario e narrativo su SpaceNerd.
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