Coloro che hanno giocato a Fable II probabilmente ricorderanno la canzone Down by the Reeds. In italiano Dietro alle canne. È il motivetto che canticchia Hannah/Hammer la prima volta che la incontrate. Inizia così: «Down by the reeds / Down by the reeds / Swim the sirens of Oakvale / Out to the seas».
È un pezzo sufficiente per impostare l’indagine del presente articolo, legata al fatto che Down by the Reeds è duplicemente legata alla poetica e al pensiero filosofico di Giacomo Leopardi.
Due premesse, prima di tutto, su queste sirens che vengono citate. In italiano si perde un po’ la distinzione fra mermaid e siren, visto che il termine “sirena” va bene per entrambi, ma si parla di creature differenti. Le mermaids sono le sirene dei miti nordici, misteriose e sfuggenti, ma in generale piuttosto pacifiche.
Le sirens sono le sirene mediterranee, del mondo greco, come quelle che cercarono di irretire Ulisse. Creature ammaliatrici e antropofaghe, molto pericolose. E infatti, se cercate una traduzione inglese dell’Odissea troverete le sirens, mentre la nota fiaba di Andersen è intitolata The Little Mermaid.
La scelta terminologica in Fable II suggerisce pertanto l’idea di trovarsi davanti a creature molto pericolose. Suggerisce, appunto, e questa è la seconda premessa, perché in Fable II non c’è nessuna sirena. Queste creature vengono nominate nella canzone di Hammer e in poche altre occasioni, ma non rientrano nel bestiario di mostruosità affrontabili durante l’avventura. Le sirens sono un contenuto tagliato. Una di quelle tante idee abbozzate – e infatti se ne trova traccia fra i concept art dell’artbook – che vengono poi messe da parte, strada facendo, per varie ragioni.
Eppure è incredibile constatare quanto simili contenuti siano importanti, nel prodotto finale, anche quando ne sono assenti. Sono come le sinopie della pittura a fresco. Lasciano una traccia sottopelle che è di estremo interesse, perché in molti casi non scompaiono semplicemente nel nulla, ma influenzano i contenuti rimanenti. Se – giusto per fare un esempio – il Forte Ferreo di Dark Souls II somiglia più a una fornace che a una fortezza è proprio perché, inizialmente, era concepito come tale.
Tornando alla canzone di Sorella Hammer, essa si conclude così: «Nobody knows. / Nobody sees. / The sirens of Oakvale. / Down by the reeds». E uscendo dalla finzione videoludica la canzone è estremamente precisa. Nessun giocatore può dire di aver visto le sirene di Oakvale, considerando che nel gioco non sono presenti.
Però può immaginarle. Anche qui, è importante sottolineare dove la canzone stia collocando queste sirene: dietro alle canne, per citare la versione italiana. Quindi ci sono delle sirene, che però nessuno ha visto, occultate da delle canne, ma al tempo stesso queste canne sono l’unica cosa che consente di tener traccia delle misteriose sirene. Se Hammer non nominasse le canne che impediscono di vederle, nessuno saprebbe che quelle sirene esistono, nel mondo di Fable.
In questo canneto c’è tutta la duplicità semantica dello “schermo”, intendibile sia come un qualcosa che occulta e nasconde (la dantesca donna dello schermo, schermarsi, ecc.) ma al tempo stesso mostra e rivela (lo schermo del televisore). Non vediamo le sirene a causa del canneto, ma grazie al canneto immaginiamo le sirene.
Giunti a questo punto, le reminiscenze scolastiche potrebbero aver già suggerito il primo legame con Leopardi, ma lo si può rendere esplicito citando un breve passo di Filosofia-schermi (Cortina, 2016) di Mauro Carbone, da un capitolo emblematicamente intitolato Delimitare per eccedere: «Questa siepe impedisce al “guardo” del poeta di vedere gran parte del paesaggio che si apre oltre il colle. Tuttavia, quando si siede e contempla (“mirando”) la siepe, egli è in grado di immaginare “interminati / Spazi di là da quella e sovrumani / Silenzi e profondissima quiete”» (pp. 107-108). Carbone sta parlando della ben nota siepe presente ne L’infinito di Giacomo Leopardi, e lo fa in termini di schermo, legato tanto alla visione (ostacolata) quanto all’immaginazione (sollecitata).
La siepe è uno schermo che mostra e rivela, così come il canneto della canzone di Hammer. Oltre la siepe ci sono i “silenzi”, e questa parola «nell’opera leopardiana è inequivocabilmente legata alla sfera della morte» (T. Tarani, Il velo e la morte. Saggio su Leopardi, Editrice Fiorentina, 2011 p. 241). Così come sono inequivocabilmente legate alla morte le sirens. Ora, verrebbe da aggiungere che le sirens, perlomeno quelle omeriche, siano anche ben note per il loro canto, il che contrasterebbe con questi silenzi dell’Infinito. Eppure qui c’è tutto il silenzio che si esprime nell’assenza di questo canto, poiché – come si è detto più volte – le sirens non si trovano da nessuna parte, in Fable II.
Se «per poco / il cor non si spaura» a Leopardi, nell’immensità dell’infinito, potrebbe essere per questo rinvio alla morte. O al nulla, a seconda di quali interpretazioni si vogliano seguire. L’infinito è al tempo stesso tutto e nulla. È l’infinitezza delle possibilità, ma proprio perché possibili e non concretizzate esse non esistono. Ma questo tutto-nulla ha un legame con l’esistente, il sensibile e il vicino. È ancora una volta L’Infinito a costruirlo, tramite i dimostrativi “questo” e “quello”: «E come il vento / odo stormir tra queste piante, io quello / infinito silenzio a questa voce / vo comparando» (vv. 8-11. I corsivi sono miei).
La voce del vento fra le piante (vicine, percepibili) si lega all’infinito silenzio (lontano, immaginabile). Il vento porta i pensieri verso il silenzio infinito. Così, allo stesso modo, la canzone di Hammer (vicina, percepibile) si lega al misterioso canto di queste sirens (lontane, immaginabili).
Si è giunti fin qui mettendo da parte un altro termine della canzone, che apre la strada al secondo parallelismo con Giacomo Leopardi: Oakvale.
Nel primo Fable, Oakvale è un paesello di Albion. Il paesello in cui inizia l’avventura dell’eroe, per essere più precisi. È un luogo importante, a suo modo. Lo è perlomeno in termini nostalgici, per chi ha giocato al primo Fable e lo ricorda con affetto.
In Fable II, in compenso, non c’è più nessuna Oakvale. La cittadina è stata distrutta e ora, al suo posto, ci sono solo paludi. La regione nota come Wraithmarsh è ciò che rimane di Oakvale e dintorni: un immenso e pericolosissimo acquitrino infestato da mostruosità di ogni genere. Fra cui qualche sirena, molto probabilmente, se solo fosse stata inserita nel gioco per far compagnia a balverini, banshee e troll.
Lo scarto fra i due periodi temporali è considerevole, specialmente all’occhio del giocatore, che ha potuto osservare nei due differenti videogiochi cosa è successo a distanza di secoli in uno stesso luogo, della cui antica bellezza non rimane traccia alcuna.
Anche in questo caso, è possibile che qualche ricordo scolastico si sia già attivato, e la mente sia corsa ai versi de La ginestra, quando Leopardi descrive le pendici del Vesuvio. Un paesaggio brullo, desolato, sterile, a malapena rallegrato dalle ginestre. Eppure, come ricorda in poeta, nel passato quei luoghi traboccavano di vita. Città (Ercolano, Pompei, Stabia), campi, giardini, tutto annientato in un istante dalla furia del vulcano: «di ceneri e di pomici e di sassi / notte e ruina, infusa / di bollenti ruscelli» (vv. 215-217).
Nel componimento, Leopardi invita idealmente il suo secolo a osservare la devastazione causata dal Vesuvio: «Qui mira e qui ti specchia, / secol superbo e sciocco» (vv. 52-53). Questo è un punto interessante, nel confronto con Fable II. Leopardi critica il pensiero ottocentesco, colpevole di aver abbandonato la ragione per rituffare gli esseri umani nelle illusioni, quando bisognerebbe invece ricordare loro la verità, su quanto la loro esistenza sia fragile e precaria, e i loro progressi inutili.
Ma Fable II non è ottocentesco o romantico. Potrebbe forse esserlo, almeno in parte, Fable III (o forse no, sarebbe un discorso da sviluppare in separata sede), ma non il secondo episodio. Però è un videogioco fiducioso nel progresso, come lo sarà ancor più il terzo episodio.
Il progresso, in Fable, erode tanto il soprannaturale quanto l’epica, man mano che si sviluppa. Se il primo Fable contiene la parodia del fantasy eroico, Fable II ne costituisce per molti aspetti la negazione. Fino a proporre un boss finale che si sconfigge in un istante, senza fatica. La morte del personaggio, poi, ha ben pochi effetti collaterali, e il gioco scorre liscio senza particolari difficoltà.
Una passeggiata in un mondo in trasformazione, nel quale ancora permangono i rimasugli del ‘vecchiume’ soprannaturale che sta via via lasciando spazio al progresso. O, almeno, questo è ciò che credono i “superbi e sciocchi”, coloro che si lasciano ottenebrare dalla fiducia nelle «magnifiche sorti e progressive» (v. 51) che citava ironicamente Leopardi.
È sufficiente un attimo di distrazione perché il soprannaturale, un po’ come la Natura matrigna, si riprenda tutto quanto e spazzi via qualsivoglia progresso. I resti di Oakvale ne sono la prova. E quel che Hammer sta allora cantando è un monito. Le potenze occulte e le forze della natura, spaventose e temibili, restano lì in agguato, dietro alle canne, anche quando il progresso tecnologico (o, più prosaicamente, un taglio nei contenuti previsti per il videogioco) le rimuove dalla nostra vista.
Il postmortem è un’analisi fatta dal team di sviluppo sul processo di realizzazione di un loro videogioco, in cui vengono messi in risalto gli elementi positivi e negativi, legati al caso, a elementi esterni o a errori interni. Tali analisi vengono effettuate dopo l’uscita del gioco e tendono a coprire il periodo che va dall’ideazione del concept al primo periodo sul mercato. Il loro scopo è quello di fornire esempi di buone pratiche (e di criticità da evitare) alla comunità degli sviluppatori.
Buona parte dei postmortem segue uno schema standardizzato, in cui vengono indicati, dopo una breve presentazione generale, cinque «what went right» e cinque «what went wrong» seguendo lo schema che veniva utilizzato sulla rivista «Game Developer Magazine», ma in alcuni casi possono presentarsi con varianti significative.
Perché fare un elenco di postmortem?
Perché talvolta sono dei contenuti molto utili. Possono esserlo per gli sviluppatori, in primo luogo, che hanno modo di leggere cosa hanno fatto di giusto (e di sbagliato) altre persone che prima di loro si sono cimentate con determinate tipologie di prodotto in determinati mercati. Ma possono anche essere molto utili per accademici e ricercatori, in quanto costituiscono delle fonti interessanti, che mettono spesso in risalto degli aspetti che dall’esterno sono trascurati o non conoscibili. Ovviamente andranno soppesati, tenendo anche solo conto – banalmente – che può valere anche il principio opposto: talvolta serve distacco per rendersi conto di determinate cose.
Ecco perché, dopo aver terminato la bibliografia completa dei saggi in italiano sui videogiochi (potete consultarla qui) ho deciso di recuperare la raccolta di postmortem che avevo fatto in passato, di completarla e di condividerla.
La seguente lista di postmortem non è stata compilata automaticamente, è il frutto di un lavoro manuale. Questo implica una selezione dei contenuti. Per sua stessa natura è una soluzione perfettibile e in alcuni casi potenzialmente criticabile, ma ha portato all’esclusione di determinati contenuti per alcune ragioni precise. Il caso forse più evidente è quello di Itch.io, in cui molti contenuti che presentano l’etichetta “postmortem” sono in realtà tutt’altro (aggiornamenti sulle patch, per esempio).
Sono anche stati generalmente esclusi i “postmortem” di soggetti che non hanno lavorato allo sviluppo del videogioco di cui parlano. Capita, talvolta, con i giornalisti. Nonostante questo, ci sono casi in cui una intervista va a fondare quello che è sostanzialmente un postmortem, e in tal caso può essere conteggiata. Ho anche tendenzialmente escluso i postmortem che non si occupano di videogiochi ma che si focalizzano sulla storia di un team, sull’andamento di una game jam, sulla partecipazione a una fiera o cose del genere.
Come vedrete, molti postmortem provengono dalle stesse fonti: il sito Game Developer (ex Gamasutra), da YouTube (in larga parte dal canale della GDC) e da Itch.io, ma ce ne sono anche diversi altri che non sono lì presenti, e che sono invece trattati nelle tesi di laurea, sui blog degli sviluppatori ecc. Anche per questo è sembrato utile questo lavoro di catalogazione.
Prima di iniziare, vi lascio anche qualche lettura sui postmortem:
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NOTA1: diversi postmortem elencati qui sotto furono originariamente pubblicati sulla rivista «Game Developer Magazine». Se volete risalire alla fonte originaria potete trovare qui tutti i numeri della rivista.
NOTA2: più in generale, ci sono postmortem che si trovano su più siti differenti. In quei casi se ne è riportato uno solo. Nelle poche occasioni in cui vedete citato più di un contenuto è perché si tratta di materiali differenti.
NOTA3: l’elenco è in aggiornamento e perfettibile, per cui se avete segnalazioni da fare contattatemi sui social o tramite una mail e – se il contenuto indicato è pertinente – sarà aggiunto all’elenco in breve tempo.
NOTA4: io ho elencato qui di seguito i postmortem, ma non li ho salvati o archiviati. Non è detto che, in futuro, resteranno. Anche alla luce di questo, sarebbe bello e utile se qualche individuo o associazione volesse fare questo passaggio ulteriore, per facilitare la preservazione futura di questo materiale.
Elenco aggiornato al 27/10/2023.
Elenco Postmortem
0-9
3×64 New Definition of Gravity (Satik64 2020) su Itch.io.
50 Cent: Blood on the Sand (Swordfish Studios 2009) su Game Developer [nota: viene discussa solo la creazione dell’audio in questo postmortem].
Di seguito viene riportata la bibliografia completa delle pubblicazioni in lingua italiana sui videogiochi.
Non è stata fatta una selezione qualitativa, per cui sono presenti testi ottimi, testi decisamente meno buoni, testi ormai irreperibili e molto altro ancora.
Sono stati esclusi, con un paio di eccezioni, i testi che parlano solo in una parte del libro di videogiochi (per esempio una curatela con un solo capitolo sull’argomento) e anche i libri sulla teoria del gioco in generale e dintorni. Ovviamente su quest’ultimo punto, in alcuni casi, può entrare gioco una certa discrezionalità nel definire i confini. Allo stesso modo la manualistica strettamente legata alla programmazione è generalmente esclusa, ma ci sono anche qui casi su cui si potrebbe discutere.
Non sono presenti neanche i libri pubblicati in lingua inglese da persone italiane. Sono stati inoltre esclusi i romanzi tratti dai videogiochi e le altre forme di narrativa. Ho, infine, escluso i numeri monografici di riviste.
Nonostante l’attenzione è possibile che qualcosa sia sfuggito, in questo elenco. Nel caso potete segnalarmelo con un messaggio sui social o una mail e provvederò a integrare. Cercherò, allo stesso modo, di aggiornare periodicamente la lista, man mano che andranno ad aggiungersi nuove pubblicazioni.
Aggiornato al 21 dicembre 2024.
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