L’articolo sottolinea certe similitudini tra gli eventi di villa Beneviento in Resident Evil Village e alcune tradizioni fotografiche e manifatturiere del passato.
Ho scritto questo contributo insieme all’artista visuale e tessile Anna Bassi.
L’anno scorso ho pubblicato, su Everyeye, un altro articolo divulgativo dedicato a Donna, Angie e al feto mostruoso. Chi volesse recuperarlo lo trova qui.
La bambola sposa e la madre velata
Donna Beneviento è uno dei quattro lord di Resident Evil Village, il secondo che viene affrontato da Ethan nel corso del suo viaggio. Donna non ha subito radicali mutazioni fisiche con il Cadou ricevuto da Madre Miranda: l’unico cambiamento visibile nel suo corpo riguarda la cicatrice sul volto, che è diventata un carnoso ammasso informe. In ogni caso, Donna non rivela mai il suo viso, che è sempre celato da un velo nero. Allo stesso tempo, lei non parla mai (solo in un momento del gioco è udibile la sua voce), si esprime invece attraverso Angie, la sua bambola.
Angie è una bambola vestita da sposa, con il volto che ricorda l’emblema del casato Beneviento (un sole e una luna); è un dono che il padre di Donna – defunto – realizzò per la sua bambina. Come intuibile attraverso una nota leggibile nella casa del giardiniere della famiglia, Donna ricorreva ad Angie per parlare già prima di ottenere il Cadou da Madre Miranda, con relativi poteri. In quel caso si trattava però di semplice ventriloquia; in seguito, invece, Donna divide il Cadou tra le sue bambole, per poterle controllare a distanza, ed Angie sviluppa l’effettiva abilità di muoversi e di parlare. Anche in questo caso, però, Angie è comunque la portavoce della sua proprietaria, di cui fa le veci.
Osservandole vicine, uno dei primi elementi che risalta all’occhio di chi guarda è il contrasto cromatico tra i vestiti delle due: l’abito bianco, da sposa, di Angie si staglia sulla luttuosa veste nera di Donna. Angie, che fa da portavoce, ha questa connotazione simbolicamente più felice, di donna che si apre alla vita e al matrimonio, in contrasto con l’apparente vedovanza della proprietaria. In realtà, dato che sono sostanzialmente la stessa persona, è come se queste due simboliche fasi della vita siano tra loro compenetrate. Questa compenetrazione è ulteriormente richiamata dallo stemma di famiglia, che a sua volta è riprodotto sul volto di Angie, simile a un sole e una luna intrecciati tra loro. Tale simbologia celeste va a rimarcare la presenza di un’apparente dualità che rivela una totalità.
Tornando all’apparenza, tuttavia, Donna e Angie appaiono come due entità distinte, visivamente. Le due sono in particolare connotate da un rapporto madre-figlia. Alla luce di questo legame, e del costume indossato da Donna Beneviento, emerge in filigrana un parallelismo con l’usanza, nata a fine ‘800, di fotografare i bambini in braccio a madri vestite di nero e con il volto completamente velato.
In tal modo i figli spiccano visivamente, diventando protagonisti del ritratto. Le madri sono un puro fondale fotografico e la loro identità viene completamente oscurata, rimarcando il ruolo silente che la società desiderava incarnassero. Al nostro occhio contemporaneo tali immagini suscitano immediato rimando al burqa, che cela completamente il corpo e il volto della donna che lo indossa. Donna Beneviento è “madre” di Angie, ma a parte questo la sua caratterizzazione relazionale nel videogioco è soprattutto quella di figlia. Sia nei confronti dei suoi genitori biologici, da cui eredita la casa di famiglia e Angie, sia nei confronti di Madre Miranda, che la adotta per portare avanti su di lei gli esperimenti con il Cadou.
La prima occasione in cui è possibile incontrare Donna e Angie, nel videogioco, mostra proprio le due in una posa simile a quella delle madri velate (o hidden mothers) nelle fotografie. Angie, dopo aver assistito al risveglio di Ethan (che si trova in catene al cospetto di Madre Miranda e dei lord), corre in braccio a Donna, seduta in disparte e a malapena visibile contro il fondale buio della stanza.
Inoltre, Donna è doppiamente oscurata, non solo in quanto “madre velata”, ma anche in quanto “burattinaia”, che non deve apparire sulla “scena”. Questo emerge con chiarezza soprattutto in un contenuto esterno a Resident Evil Village: la triade pubblicitaria Play in Bio Village, uno show di marionette che vede i quattro lord del videogioco come protagonisti. Tuttavia, al fianco di Alcina Dimitrescu, Salvatore Moreau e Karl Heisenberg è presente Angie al posto di Donna Beneviento, nonostante la sua qualifica di lord. Donna è visibile solo per un momento, nel terzo corto, intenta a muovere i burattini da dietro il fondale. Sebbene si tratti di un prodotto esterno alla storia di Resident Evil Village, questo contenuto è comunque indicativo del ruolo nascosto, “dietro le quinte”, che Donna assume.
Tornando ad Angie, si possono fare alcune considerazioni sull’oggetto bambola, a proposito di lei. La bambola è un alter ego rassicurante o minaccioso a seconda dei contesti. Le bambine e i bambini vi giocano creando personaggi immaginari che possono fare attività sognate o proibite, oppure possono diventare figure affettive, sostitutive di persone reali (Giordano 2012). Ma nelle mani di uno stregone tale oggetto può diventare potenzialmente pericoloso, ad esempio nel rituale voodoo in cui si desidera danneggiare la persona simboleggiata dalla bambola magica (Métraux 1959). Difficilmente quindi la bambola è “solo” un giocattolo, in quanto è un oggetto che si fa portatore di molteplici implicazioni, talvolta stratificate.
Nel caso di Angie, lei è la bambola che è stata ricevuta dal padre defunto, per cui rappresenta un legame con il passato, un ideale ponte verso l’infanzia perduta di Donna. Inoltre, si tratta di una bambola sposa, proiezione di una potenziale condizione futura di moglie.
Angie è la bambola più significativa di Donna Beneviento, ma non l’unica, in quanto la sua casa è colma di bambolotti di varie fattezze e dimensioni, che appaiono particolarmente minacciosi durante l’allucinato scontro tra Ethan ed Angie. Come è stato sottolineato (Pinder 2021), Donna sta giocando con Ethan, in un certo senso, durante tutta la permanenza dell’uomo all’interno della sua villa. In quest’ottica, l’abbondante presenza delle bambole va a recuperare anche quello che è il più immediato e attualmente diffuso significato dell’oggetto: l’essere un giocattolo per l’infanzia. E Donna, stando agli appunti di Madre Miranda, non è una persona mentalmente stabile: è un’adulta con comportamenti talvolta infantili, i cui problemi psichici sono stati acuiti dal Cadou.
Manichini-puzzle e Veneri anatomiche
Merita una riflessione anche il manichino ligneo, raffigurante la moglie di Ethan, presente nel sotterraneo di casa Beneviento. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un oggetto che, come le bambole, potrebbe essere un’ulteriore proiezione esterna, causata dalle allucinazioni, di conflitti e timori interiori.
La particolare conformazione di tale manichino, che presenta arti estraibili che racchiudono anche oggetti utili per il proseguimento dell’avventura, può ricordare la tradizione delle Veneri anatomiche. Si tratta di statue scomponibili che venivano utilizzate per mostrare l’anatomia degli organi interni, in uso a partire dalla fine del ‘700. Erano artefatti estremamente realistici, con tanto di ciglia e capelli veri, solitamente realizzate in cera, materiale che aumenta ulteriormente il senso di verosimiglianza con la pelle umana. Nella maggior parte delle Veneri, oltre agli organi estraibili, era presente anche un feto, nonostante dall’esterno non fossero visibili segni di gravidanza (Ebenstein 2017).
Il manichino di Resident Evil Village non è inserito con la volontà di mostrare l’anatomia femminile. Sul versante ludico, è uno strumento funzionale alla risoluzione di uno dei puzzle presenti nella villa. Sul versante narrativo, invece, rafforza il senso di colpa di Ethan nei confronti della sua famiglia. L’interazione col manichino, che raffigura sua moglie Mia, precede la comparsa del mostruoso feto gigante che insegue il protagonista nei sotterranei della casa. Ritorna, pertanto, il rapporto tra la statua femminea e il feto, seppur in modo differente rispetto alle Veneri anatomiche.
Bibliografia
Ebenstein (2017): J. Ebenstein La venere anatomica, Interlogos, Modena 2017.
Giordano (2012): M. Giordano, Trame d’artista. Il tessuto nell’arte contemporanea, Postmedia books, Milano 2012.
Métraux (1959): A. Métraux, Le vaudou haïtien, Gallimard 1959.
Pinder (2021): M. Pinder, Mouldy Matriarchs and Dangerous Daughters. An Ecofeminist Look at Resident Evil Antagonists, «M/C Journal», 24(5), 2021.
Nella parte 4 della storia dei survival horror videoludici ci eravamo soffermati su due cose in particolare: Amnesia: The Dark Descent da un lato e i videogiochi di Slender Man dall’altro. In entrambi i casi abbiamo un fortissimo legame con il mondo del gaming su YouTube. Un mondo che in quegli stessi anni si stava strutturando anche grazie a questi prodotti. Si prosegue ora con questo sguardo sull’horror tra indie e youtuber, passando a un’altra serie che ha avuto una grande importanza: Five Nights at Freddy’s. Si parlerà poi anche di GoneHome, perché apparve ad alcuni come una operazione mimetica nei confronti dei survival horror.
Five Nights at Freddy’s: bambini, youtubers e vigilanza
Amnesia: The Dark Descent era nato come progetto interno a un team che già si occupava di videogiochi horror, in quello che è forse considerabile l’effettivo momento di nascita dei grandi canali di gaming, di cui ha accompagnato e in parte indirizzato la crescita. I videogiochi di Slender Man si erano sviluppati come una naturale evoluzione di quel crescente universo crossmediale legato a questo personaggio. Le centinaia di “cloni” e variazioni sul tema da loro generati sono stati in grado di fornire un abbondante materiale agli youtubers. Five Nights at Freddy’s (Scott Cawthon, 2014) è nato invece praticamente per caso dall’incontro fra un videogioco per bambini e uno youtuber, e grazie a YouTube si è diffuso poi con estrema rapidità nonostante le ridotte dimensioni del progetto.
Nel maggio 2014, il critico e youtuber Jim Sterling pubblica un video (2014) in cui analizza il trailer di un videogioco presente su Steam Greenlight. In questo caso il videogioco è Chipper & Sons Lumber Co. (Scott Cawthon, 2013), un gioco per bambini con protagonista un castoro, già rilasciato in versione mobile. Sterling critica aspramente la grafica del gioco e soprattutto il design dei personaggi, i quali dovrebbero risultare carini e attraenti, ma appaiono invece uncanny, inquietanti. Probabilmente, ironizza il critico, si tratta in realtà di uno strano e spaventoso mondo post apocalittico in cui sono rimasti solo dei robot. Sul momento, al di fuori di questo video, nessuno presta troppa attenzione a quello che sembra soltanto l’ennesimo progetto di scarso interesse presente sul Greenlight, realizzato da uno sviluppatore con già molti videogiochi all’attivo, ma nessuno di successo.
Ad agosto dello stesso anno viene però pubblicato Five Nights at Freddy’s, sempre realizzato da Scott Cawthon. Il videogioco, che ottiene un ampio e immediato successo, presenta come nemici degli spaventosi animatronics assassini. Queste figure iconiche costituiscono uno degli elementi di maggior interesse del videogioco, anche grazie alle reactions degli youtubers dinnanzi agli improvvisi assalti delle creature. In un’intervista, alla domanda sull’origine di questa idea degli animatronics, Scott Cawthon ha fornito la seguente risposta:
«I’d made a family friendly game about a beaver before this, but when I tried to put it online it got torn apart by a few prominent reviewers. People said that the main character looked like a scary animatronic animal. I was heartbroken and was ready to give up on game-making. Then one night something just snapped in me, and I thought to myself- I bet I can make something a lot scarier than that». (in Couture, 2014. Corsivi miei).
Cawthon è riuscito a trasformare le critiche rivolte a un suo videogioco nel punto di forza di un differente prodotto. Laddove un personaggio uncanny può rovinare un videogioco per bambini, lo stesso design può contribuire alla riuscita di un horror. Cawthon non cita Jim Sterling, nell’intervista, ma molto probabilmente ha in mente (anche) il noto critico, trattandosi forse della persona con la maggior notorietà che aveva parlato di Chipper & Sons Lumber Co. prima dell’uscita di Five Nights at Freddy’s, criticando peraltro l’aspetto inquietante e “robotico” dei personaggi.
L’anno seguente Cawthon ha commentato «Jim, I love you man! ;)» nel video di Jim Sterling (2015) su Five Nights at Freddy’s 3 (Scott Cawthon, 2015). Il commento è stato percepito come ulteriore prova della primaria rilevanza di Sterling fra le voci critiche rivolte al precedente gioco dello sviluppatore. Jim Sterling, tornato due anni più tardi sulla vicenda per commentarla (2016), si è detto felice per l’inaspettato andamento della situazione. Il critico ha anche definito Cawthon un esempio per tutti gli sviluppatori indipendenti.
L’episodio ha un valore tutto sommato aneddotico, ma contiene al suo interno buona parte dei fattori che hanno determinato il successo di Five Nights at Freddy’s: gli animatronics, i bambini, gli youtubers.
Five Nights at Freddy’s, in primo luogo, è considerabile un horror per bambini. Non dal punto di vista dei sistemi di classificazione o dei genitori, ma il fatto stesso che molti si siano interrogati sull’opportunità di lasciar giocare i propri figli a questo videogioco ne suggerisce la popolarità fra i giovanissimi. Osservando per esempio la parental guide di Imdb il gioco è sconsigliato ai minori di dodici anni. Secondo i vari sistemi di classificazione il videogioco è consigliato per bambini con più di dieci o quindici anni, a seconda del territorio considerato.
Inoltre il commento più popolare al video di Jim Sterling dedicato a Five Nights at Freddy’s 3, scritto da TotalBiscuit, sottolinea ulteriormente questo successo: «5 Nights is a weird one. I was surprised when I heard my 11 year old talking about it. Apparently, that’s all the kids play on the school bus. They all get out their phones and play 5 Nights then discuss the strange lore theories that people have about it. I think it’s one of the first times I’ve felt completely left behind by something in gaming» (2015).
Questo successo è correlabile a diversi fattori, fra cui la presenza degli youtubers e l’elemento della “prova di coraggio”. Di questo si era già parlato nella parte 4 a proposito di Slender Man (Pruett, 2015). I bambini parlano fra loro del gioco e lo provano per dimostrarsi coraggiosi. È del resto un videogioco facilmente accessibile ed economico, di cui esistono anche delle versioni gratuite (come nel caso di Slender Man). Un bambino troppo spaventato per giocarci, o impossibilitato a farlo, può comunque conoscerne il mondo di gioco attraverso i filmati degli youtubers (Hernandez, 2015). Così contribuisce ugualmente a diffondere la popolarità del gioco tramite pratiche discorsive (come, nuovamente, nel caso di Slender Man).
Ciò che Five Nights at Freddy’s aggiunge, rispetto a Slender Man, sono gli animatronics. Osservando anche le discussioni online (si veda per esempio questa discussione su Reddit: u/FruityPebblesAndHam, 2016) sulla popolarità di Five Nights at Freddy’s fra i giovanissimi sono più che altro questi gli elementi citati, youtubers e animatronics.
Slender Man presenta una ricchissima lore, facilmente espandibile, ma è un singolo personaggio. Gli animatronics sono invece numerosi e tutti diversi per aspetto e personalità, immediatamente riconoscibili e distinguibili fra loro, iconici al pari di diversi mostri cinematografici (Bycer, 2015). Sono inoltre riconducibili alle logiche collezionistiche di molti reali giocattoli che hanno riscosso grande successo negli ultimi decenni, come He–Man, i Pokémon e i Gormiti.
Il loro aspetto uncanny li rende inoltre collocati a metà fra due pratiche che possono entrambe essere facilmente sviluppate: renderli più spaventosi o amichevoli. Sono anche facilmente rintracciabili le loro versioni sessualizzate, anche su piattaforme come YouTube o DeviantArt, senza addentrarsi in siti dedicati a qualche specifico feticismo. Questo fatto non costituisce, comunque, una particolare sorpresa. Numerosi altri personaggi di prodotti per bambini o ragazzi vengono sessualizzati in certe community online, e gli animatronics di Five Nights at Freddy’s, in quanto animali robotici, si legano facilmente al fandom furry, produttivamente molto attivo anche a proposito di contenuti erotici.
Anche solo limitandosi a YouTube, senza considerare fanfics e altre produzioni dal basso, sono tantissimi i video con milioni di visualizzazioni in cui gli animatronics sono amichevoli, simpatici. Diversi video come Typhoon Cinema (2015) e Don’tJokeAround – FNAF & BENDY ONLY (2015) presentano gli animatronics della serie in quest’ottica, e hanno accumulato milioni di visualizzazioni. Così come ne esistono diversi altri in cui viene potenziata la loro natura orrorifica. Se questi ultimi possono interessare un pubblico più adulto, o essere utilizzati come “prova di coraggio”, la loro versione amichevole può essere considerabile, per i bambini, qualcosa di simile all’interesse per i dinosauri: creature potenti e spaventose che sono però sotto il controllo del bambino, che gli sono amiche.
Risultano estremamente popolari anche altri contenuti come le canzoni dedicate a Five Nights at Freddy’s. Le più note sono quelle di The Living Tombstone, noto per i suoi remix musicali dedicati a prodotti di successo come My Little Pony: Friendship is Magic e i lungometraggi animati Disney. Il suo video col maggior numero di visualizzazioni (circa 220 milioni a giugno 2021) è dedicato proprio a Five Nights at Freddy’s (The Living Tombstone, 2014).
In alcuni casi si sono creati dei nuovi filoni, a loro volta generativi, nati dall’idea di un determinato canale che viene imitato da diversi altri. Un esempio è legato ai video “My Dear Friend” (come Blu’s Studio, 2018; Smoke the Bear, 2018; Jaze Cinema, 2018), i quali seguono una sorta di canovaccio comune. Ogni video racconta una storia di amicizia fra un animatronic e una bambina (più raramente un bambino), spesso legata a un elemento temporale. Talvolta la bambina trova l’animatronic danneggiato e, ricordando i giorni felici trascorsi insieme, cerca di aggiustarlo. In altri casi è l’animatronic a ricordarsi della bambina e, in nome di quei ricordi, si mette sulle sue tracce, le porta un regalo o la salva da un pericolo. Anche quando questi robot vengono presentati come pericolosi, viene mostrato che non fanno mai del male ai bambini che sono stati loro amici.
Video analoghi sono rintracciabili già nel periodo immediatamente successivo all’uscita del gioco, ma a distanza di anni sono tornati in auge, diffondendosi. Sourcy (2014), per esempio, è stato pubblicato nel dicembre del 2014 (il primo Five Nights at Freddy’s risale ad agosto dello stesso anno) e mostra una struttura similare: una bambina ritrova, rotto e gettato nella spazzatura, l’animatronic Bonnie, con cui aveva trascorso dei momenti felici in passato. Bonnie viene raccolto, aggiustato (dall’ingegnere di Team Fortress 2 [Valve, 2007]) e può infine riabbracciare la sua amica. Molti dei successivi video riutilizzano, peraltro, lo stesso modello della bambina presente in questo video.
A fianco di questi numerosi e variegati contenuti sono anche presenti video let’s play e simili. Questi, fin dalla comparsa del videogioco, hanno ottenuto un ampio numero di visualizzazioni e contribuito alla rapidissima diffusione di Five Nights at Freddy’s. Il primo gameplay di Markiplier dedicato a questo videogioco è stato pubblicato il 12 agosto 2014, quattro giorni dopo il rilascio della prima versione di Five Nights at Freddy’s (sulla piattaforma Desura).
Il suo video (Markiplier, 2014), che a giugno 2021 ha superato i novanta milioni di visualizzazioni, due giorni dopo la sua pubblicazione era stato già visualizzato più di un milione di volte (Dato recuperabile tramite wayback machine). In questo gameplay «he screams 94 times in a 17 minute long video, not articulating words properly, and he often gets perplexed, verbalizing 10 no’s in a row, when most startled» (Pietruszka, 2016: 64). Lo youtuber, inoltre, mette in risalto fin dal titolo quanto Five Nights at Freddy’s sia particolarmente spaventoso («WARNING: SCARIEST GAME IN YEARS», tutto in maiuscolo), come ribadisce ulteriormente nella descrizione del video.
L’eccessiva e scomposta reazione di Markiplier al videogioco produce un effetto comico che rende particolarmente piacevole, soprattutto per i bambini, condividerlo con i propri amici per ridere insieme: «When you combine jumpscares with over the top personalities, you get hilarious videos to watch and share with your friends» (Bycer, 2016).
Il video di PewDiePie (2014) su Five Nights at Freddy’s, pubblicato alcuni giorni più tardi (il 22 agosto 2014) condivide diversi tratti con quello di Markiplier (fra cui il titolo in maiuscolo), e sono stati soprattutto let’s play come i loro a far esplodere in un tempo brevissimo la popolarità del videogioco (Bycer, 2016). Il video di PewDiePie ha ottenuto nell’immediato un numero di visualizzazioni più elevato rispetto a Markiplier (oltre quattro milioni in sei giorni). Sul lungo periodo non ha però avuto la stessa crescita (circa 16 milioni a giugno 2021).
Durante il video (5: 20), di fonte a un jump scare, lo youtuber abbandona per un momento l’inglese e lancia un’imprecazione in svedese. Come se fosse uscito per un momento dal personaggio, tornando a essere Felix Kjellberg. Egli stesso aveva dichiarato proprio in quei giorni (Kjellberg, 2014, citato in Fägersten, 2017: 4) che l’utilizzo della lingua inglese è strettamente legato al suo calarsi nel ruolo di PewDiePie. L’utilizzo dello svedese è apparso allora come una sorta di garanzia sull’autenticità degli spaventi che lo youtuber mostra in video.
I jump scares, però, divengono rapidamente prevedibili, e al secondo o terzo video su uno stesso gioco gli youtubers tendono a non reagire più come prima, spostando l’attenzione su altri elementi, ove possibile. In questa prospettiva Five Nights at Freddy’s si è rivelato doppiamente efficace, nel far perdurare l’interesse verso il prodotto.
In primo luogo il gioco nasconde diversi segreti e accenna a eventi mai del tutto chiariti, che possono essere discussi nelle teorie sulla lore. Il video di The Game Theorists (2014) dedicato a questo gioco ha superato i 22 milioni di visualizzazioni a giugno 2021.
A proposito di questo video, inoltre, lo scrittore Massimo Spiga ha scritto che «la precisione talmudica con cui viene condotta l’analisi, più affine allo studio meticoloso dei testi sacri che non alla discussione di un pezzo di cultura pop, ha una qualità elusiva e apparentemente sovrumana: questa caratteristica è il risultato dell’accumularsi di migliaia di interventi e osservazioni da parte della mente-alveare di internet, che spesso raggiunge una onnicomprensività a cui un singolo studioso non potrebbe mai arrivare» (2018: posizioni ebook 593–596). Questo è peraltro solo uno dei numerosi video che il canale ha dedicato alla serie.
In secondo luogo si tratta di un videogioco economico e veloce da sviluppare, fattore che ha permesso a Scott Cawthon di rilasciare rapidamente dei seguiti. Five Nights at Freddy’s 2 (Scott Cawthon, 2014) è stato pubblicato appena tre mesi dopo il primo, Five Nights at Freddy’s 3 (Scott Cawthon, 2015) è uscito dopo altri quattro mesi e Five Nights at Freddy’s 4 (Scott Cawthon, 2015) dopo quattro ulteriori mesi. In circa un anno sono pertanto stati rilasciati i quattro episodi canonici della serie principale, ciascuno dei quali introduce animatronics con un comportamento differente e nuove meccaniche con cui aver a che fare.
I singoli videogiochi risultano delle esperienze brevi, che stancano piuttosto presto, ma la distanza ravvicinata dei seguiti consente di presentare sempre nuovi e inattesi jump scares e risorse da gestire. Dopo un periodo di pausa un po’ più lungo, Scott Cawthon ha inoltre rilasciato gli altri due episodi ufficiali della saga. Questi propongono variazioni sul tema più significative ma contengono comunque diversi scare jumps. Si tratta di Five Nights at Freddy’s: Sister Location (Scott Cawthon, 2016) e Freddy Fazbear’s Pizzeria Simulator (Scott Cawthon, 2017), quest’ultimo ibridato con le meccaniche di un gestionale. Cawthon, infine, ha realizzato dei videogiochi non canonici, come Five Nights at Freddy’s World (Scott Cawthon, 2016) e Ultimate Custom Night (Scott Cawthon, 2018).
Il primo è un gioco di ruolo in cui si controlla un party di animatronics per farli combattere contro diversi nemici; è il meno spaventoso e, pertanto, viene più frequentemente indicato come idoneo per dei bambini piccoli appassionati della serie, i quali possono giocare coi personaggi cui sono affezionati senza subire spaventi improvvisi. Questo videogioco, peraltro, è stato inizialmente rilasciato su Steam come i precedenti, ma Cawthon l’ha poi rimosso, dicendosi insoddisfatto nonostante l’87% di recensioni positive (Weber, 2016). In seguito ha reso disponibile su Game Jolt la versione completa e gratuita del videogioco, il quale è dunque tutt’ora ottenibile. Il secondo riprende la struttura base della serie, rendendola però personalizzabile. È infatti possibile selezionare quali animatronics bisognerà evitare, il grado di difficoltà, l’ambientazione e altri fattori.
Oltre agli elementi citati, Five Nights at Freddy’s è una serie particolarmente adatta a YouTube anche per una componente visuale, la quale può essere intesa come un passo in avanti rispetto agli altri due videogiochi che hanno accompagnato i gamers nella loro fase nascente. Senza voler fare teleologiche letture a posteriori sulla “necessità” di questa evoluzione, è effettivamente presente un ulteriore elemento. Amnesia: The Dark Descent offriva una coinvolgente prima persona fino a quel momento poco sfruttata nei survival horror; i videogiochi di Slender Man hanno inserito una telecamera come elemento di mediazione; Five Nights at Freddy’s ha moltiplicato le telecamere e reso immobile il protagonista.
Five Nights at Freddy’s, al fondo, è un videogioco sulla vigilanza, almeno per quanto riguarda i suoi episodi canonici, tanto sul piano delle meccaniche quanto su quello della narrazione. Si intende qui il termine “vigilanza” in due delle sue accezioni. Sia come «Il fatto di esser vigilante, di comportarsi e agire con grande circospezione e attenzione» (voce Vigilanza in Treccani.it) sia come sinonimo di sorveglianza: «attenzione assidua e diretta rivolta a qualcuno o a qualcosa per tutelare o difendere» (voce Sorveglianza in Treccani.it). A questi potrebbe essere eventualmente aggiunta la terza e più specifica accezione di vigilanza privata e/o vigilanza notturna. In diversi episodi si gioca infatti nei panni di un sorvegliante notturno, intento a sorvegliare una pizzeria (primi due episodi) o un parco divertimenti (nel terzo).
Nei Five Nights at Freddy’s bisogna controllare due o tre punti di accesso al locale in cui ci si trova e, al tempo stesso, tenere d’occhio le telecamere di sorveglianza disposte nell’ambiente, per capire da quale direzione stanno avanzando i nemici. Gli animatronics attaccano all’improvviso, ma è possibile tenere traccia del loro avvicinamento progressivo, il che contribuisce a costruire la tensione. Come ha osservato Thomas Grip, questa scelta colloca il focus sul momento che precede l’incontro col mostro, a differenza di diversi altri survival horror: «This is quite rare in videogames where much of the gameplay happens once a monster starts coming after you. But in most horror movies and books, much of the narrative revolves around what happens beforehand» (Thomas KL, 2017).
Il legame fra prima persona e sorveglianza non stupisce, è ricollegabile al più ampio fenomeno di soggettivazione dell’esperienza con cui vengono facilmente occultate logiche di controllo (Eugeni, 2015: 81), ma questa sua declinazione specifica assume alcune peculiarità. Sorvegliante e animatronics si individuano a vicenda, entrambe le parti possono conoscere o perlomeno intuire la posizione dell’altro. Non si è collocati in un nuovo panopticon in cui i prigionieri non sanno se sono effettivamente osservati, se la controparte è fisicamente presente. Si registra inoltre una sorta di bizzarra inversione di mobilità.
Gli animatronics, nella realtà saldamente ancorati al pavimento, scorrazzano liberamente all’interno del complesso, mentre il sorvegliante umano è ‘inchiodato’ alla sua poltrona. Egli, infine, si trova nella stessa situazione degli youtubers che registrano i gameplay e, tendenzialmente, del pubblico che ne fruisce: seduti, di fronte a uno o più schermi che registrano o trasmettono un evento cui occorre prestare attenzione. La molteplicità di stimoli in contemporanea risulta peraltro ancor più stringente in relazione ai video live, dove spesso lo streamer deve prestare attenzione al gioco, alla chat, alle donazioni e a eventuali altri elementi.
Gone Home: giocare con gli stilemi del genere
Il “caso” di Gone Home, merita qui una parentesi all’interno del percorso evolutivo dei survival horror. Ed è utile farlo qui, al termine di questo ‘blocco’ del percorso dedicato al genere su YouTube.
Gone Home non appartiene al genere, e sarebbe difficilmente collocabile nell’horror in senso lato, ma solo dopo che lo si è giocato o si è letto qualcosa in merito; in caso contrario può esserci perlomeno un momento (o anche più) di incertezza. «Se guardando le foto del gioco o l’immagine della copertina su Steam avete pensato che Gone Home fosse un gioco horror, siete in buona compagnia; probabilmente lo abbiamo pensato tutti» (Rubbini, 2013a), scrive – non a torto – uno dei recensori che si sono occupati del videogioco.
Risulta infatti piuttosto semplice trovare post di utenti che, anche a distanza di anni, domandano se Gone Home sia un gioco horror, se ci siano finali alternativi con parti più spaventose, e altri simili quesiti. Per inventariare alcuni esempi:
«Is this a horror game? I played like 30 mins of this and I thought it was supposed to be a horror game but I guess it isnt [sic]?» (f1reflygr7, 2013); «is gone home horror? anything like until dawn?» (Skermac, 2016); «il gioco alla fine non è horror a parte per i suoni inquietanti, però vorrei sapere se il finale vero e proprio è appunto horror e se ci sia qualche jump scare (sempre nel finale intendo)» (giorgi974, 2016); «I want to try this game due to it winning game of the year from a couple of places but seeing a little from this game I see it has a scary/horror type feel. Is it really scary?» (Whoop❤AAA | #BananaBoat, 2013); «I remember that Gone Home was kinda pitched as a horror game, I almost got suckered into buying it because I thought it would be like Amnesia» (lucben999, 2018).
Il videogioco contiene effettivamente numerosi elementi che rimandano al genere horror, come la vecchia magione da esplorare di notte, il temporale, la scoperta di passaggi segreti, gli accenni all’occultismo. L’immagine stessa scelta per presentare il prodotto su Steam sembra rimandare immediatamente a una qualche storia di fantasmi. Si tratta di una scelta voluta, indirizzata a mantenere almeno temporaneamente nell’incertezza il giocatore, come ha dichiarato lo stesso Steve Gaynor (uno dei fondatori di Fullbright Company) in un’intervista (Super Bunnihop, 2014).
Questa incertezza è stata in alcuni casi apprezzata, al punto che qualcuno ha definito Gone Home – non ironicamente – il gioco più spaventoso dell’anno (Haas, 2013), perché non viene mai rilasciata la tensione legata all’idea che qualcosa di soprannaturale stia per giungere. In altri casi, alcuni utenti hanno persino parlato di “truffa”, e c’è infine chi ha segnalato lo scollamento fra alcuni elementi e prospettive (la casa di Gone Home, per esempio, è stata da molti elogiata per il suo realismo, ma sotto molti aspetti è in realtà costruita seguendo la logica delle improbabili magioni di Resident Evil, Silent Hill e altri horror: Carroll N.T., 2014).
Questa incertezza, prescindendo dai giudizi su di essa, è effettivamente presente e ricercata, e potrebbe essere indicabile come uno degli elementi che hanno contribuito al successo del videogioco. I fattori dietro all’ottimo andamento di Gone Home sono numerosi e di diversa natura, fra cui la sua capacità di attirare il pubblico LGBT e un oculato utilizzo di saldi e sconti. Considerando il periodo della sua uscita, comunque, anche la componente “horror” sembra aver contribuito in maniera non indifferente.
Gone Home è stato rilasciato nell’estate del 2013, in un periodo di particolare ‘fame’ di horror in prima persona, iniziato durante l’anno precedente nel momento in cui – come visto – si affermano diversi gamers particolarmente seguiti giocando a videogiochi come Amnesia: The Dark Descent. La crescita esponenziale della scena indie, che a breve avrebbe riempito Steam e altre piattaforme, è appena agli inizi, e in un certo senso la domanda supera l’offerta. Per questo motivo vengono portati in video e si diffondono anche videogiochi molto derivativi, piccoli o piccolissimi progetti indipendenti, spesso poco curati, perché risultano comunque utili per alimentare le nascenti serie di gameplay a tema horror.
Videogiochi come Dream of the Blood Moon (The Unbeholden, 2013), The Rake: Hostel (Mark R., 2012), Inside (9ine, 2012), The Lost Souls (Nuclear Games, 2012), Mental Hospital: Eastern Bloc (2DHD, 2012), One Late Night (Black Curtain Studio, 2013), Eyes: The Horror Game (Paulina Pabis & Michał Pabis, 2013), Maere: When Lights Die (Maeregame, 2013), The Midnight Man (Sean Toman, 2013), Stairs (GreyLight, 2013) e molti altri, di alterna qualità, sono rintracciabili con frequenza in diversi canali di gaming come FavijTVtm, Parliamo di Videogiochi, Markiplier e PewDiePie.
Tutto ciò che è in prima persona ed è riconducibile all’horror – e soprattutto a titoli di successo come Amnesia: The Dark Descent o Slender: The Eight Pages – diventa di potenziale interesse per gli youtubers e il loro pubblico, non senza alcune situazioni particolari. Una di queste è legata ad Anna (Dreampainters, 2012), videogioco italiano ambientato in una segheria di Periasc (località della Val d’Ayas). Come ha sottolineato Alessandro Monopoli, fondatore e senior programmer di Dreampainters, in un’intervista:
«Per Anna, la sfida è stata comunicare alla stampa che il gioco era un’avventura grafica e non un horror come Amnesia. Una sfida che non abbiamo vinto, perché veniva sempre paragonato a quest’ultimo, quando avrei preferito che venisse paragonato a The Evil Within, che è un avventura [sic] horror. Molti si lamentavano che in un gioco simile ad Amnesia non ci fossero mostri, ma questo perché era un gioco molto diverso da Amnesia» (Nosenzo, 2015: 143).
Monopoli cita le incomprensioni della stampa, sul fatto che Anna non fosse un gioco come Amnesia o un (survival) horror, ma un’avventura grafica. Anche su YouTube è tuttavia riscontrabile la stessa situazione: «Ellino alle prese con un gioco, stile Amnesia, 100% Italiano!» (Parliamo di Videogiochi, 2012); «I hope you will enjoy this adventure into a survival horror nightmare» (Markiplier, 2012); «Etalyx plays an upcoming indie horror game called Anna» (Etalyx, 2012).
Un “fraintendimento” che peraltro, oltre a risultare comunque piuttosto sensato, ha probabilmente giovato alla visibilità del videogioco, il quale è stato anche giocato da youtubers molto seguiti come PewDiePie e Markiplier. A luglio 2018 Anna conta oltre 160.000 persone che l’hanno avviato almeno una volta su Steam (Games–Achievements–Players, 2018). Alessandro Monopoli diceva, già nel 2013, che «il gioco ha venduto ben più di qualsiasi nostra più idilliaca speranza» (in Rubbini, 2013b), ed è possibile che questo inatteso risultato sia derivato anche dai gamers in cerca di videogiochi horror che lo hanno presentato sui loro canali.
Considerando allora, come detto, il periodo di uscita, un effettivo contributo al successo di Gone Home potrebbe anche esser derivato dagli youtubers che lo hanno inteso come un gioco almeno «a bit spooky» (OfficialNerdCubed, 2013). Questo videogioco potrebbe dunque inserirsi in questa iniziale fase del “survival horror su YouTube”, in cui sono gli youtubers a recuperare gli horror e adattarsi ad essi. Ma emergono anche, al tempo stesso, i primi accenni di un movimento in direzione opposta.
Bibliografia
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Parliamo di Videogiochi (2012), Giochi di Mezzanotte – Anna (Parte 1) [Indie 100% Italiano], pubblicato il 16/07/2012 su YouTube.
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Riassumiamo in estrema sintesi quanto indicato nella parte 3 (alla cui lettura si rimanda per una panoramica più ampia). Negli anni immediatamente precedenti all’affermazione di YouTube, i videogiochi horror hanno assistito a una progressiva virata verso l’action, soprattutto (ma non solo) nelle produzioni occidentali. Alcune saghe horror giapponesi rimangono più vicine ai modelli del periodo precedente, ma sono relegate nei confini di una determinata nicchia. In questo quadro emergono tuttavia dei “nuovi” survival horror, indipendenti, prodotti in occidente, che abbandonano l’action, ottengono un grandissimo successo e divengono una presenza costante su YouTube.
Vengono di seguito presentati, singolarmente, vista l’importanza che hanno rivestito, i tre “apripista” che in tempi diversi hanno maggiormente sospinto questa nuova ondata: Amnesia: The Dark Descent (Frictional Games, 2010) e Slender: The Eight Pages (Parsec Productions, 2012). A essi, nella quinta parte, si aggiungerà Five Nights at Freddy’s (Scott Cawthon, 2014) come ultimo elemento del terzetto.
Nel loro periodo di uscita, l’affermazione del gaming sulla piattaforma è un processo in corso, e diversi youtubers hanno raggiunto l’effettiva notorietà proprio grazie a uno o più di questi videogiochi. Amnesia: The Dark Descent, in particolare, è strettamente legato alla carriera di PewDiePie (Smith T., Obrist, Wright, 2013), Markiplier (Youtubers First Videos | Youtubers First Time! ™, 2015) e Favij (NiKyBoX, 2012a).
Una breve annotazione: alcuni dei discorsi che saranno trattati qui e nella quinta parte li ho anche affrontati in Evolution of The YouTube Personas Related to Survival Horror Games (un mio articolo accademico, in inglese, pubblicato su «Persona Studies») e, in misura minore, in altri miei articoli dedicati a YouTube. Rinvio alla pagina delle pubblicazioni per i vari link agli articoli.
Amnesia: The Dark Descent (e Penumbra): la relazione simbiotica
Amnesia: The Dark Descent non è stato il primo survival horror realizzato da Frictional Games (un team indipendente svedese fondato nel 2007), e già i suoi predecessori rivelano alcuni elementi di interesse per il presente discorso. Il videogioco è stato preceduto dalla trilogia Penumbra: Overture (Frictional Games, 2007), Penumbra: Black Plague (Frictional Games, 2008) e Penumbra: Requiem (Frictional Games, 2009). Quest’ultimo, in realtà, è un’espansione del suo predecessore, ma viene ugualmente considerato come un terzo episodio. In ogni caso sono tutti e tre ascrivibili a questo genere.
Il primo Penumbra era nato come tech demo per mostrare le capacità dell’HPL Engine 1 (palese riferimento a Howard Phillips Lovecraft) sviluppato dal team, ma osservando i pareri positivi sulla demo gli sviluppatori hanno poi deciso di portarne avanti lo sviluppo, per rilasciarlo come prodotto compiuto. Il videogioco è ambientato in una miniera popolata da creature mostruose, la storia viene raccontata tramite le pagine di un diario disseminate per l’ambiente, ha una visuale in prima persona, contiene al suo interno alcuni enigmi, consente di trascinare o afferrare un gran numero di oggetti (quest’ultimo aspetto deve molto all’origine del gioco come tech demo, nata per mostrare il funzionamento dell’engine, compresa la fisica degli oggetti). Prevede inoltre l’utilizzo di una torcia con durata limitata e include dei farraginosi combattimenti corpo a corpo.
Non è uno sparatutto (non sono presenti armi da fuoco), anche se condivide con gli FPS la visuale, racchiude diversi elementi ricorrenti del survival horror (il diario, gli enigmi, l’impiego della torcia…). Al tempo stesso, però, sembra seguire un filone evolutivo differente sia rispetto allo sviluppo action di Resident Evil 4 e Dead Space, sia ai videogiochi come Deadly Premonition e Cursed Mountain.
La differenziazione, qui intuibile soprattutto osservando il videogioco a posteriori, diventa progressivamente più evidente con i successivi videogiochi di Frictional Games. Un’importante differenza è riscontrabile già nel successivo Penumbra: Black Plague, in cui i combattimenti (il cui funzionamento era stato largamente criticato, in Penumbra: Overture) sono stati completamente rimossi. Non è più possibile affrontare i nemici, è possibile solo nascondersi e fuggire. Aumentano inoltre i jump scares, alternati da fasi più o meno lunghe volte a far crescere la tensione.
Durante il periodo di uscita della trilogia di Penumbra, il gaming su YouTube si trova ancora in uno stadio di formazione. Stanno nascendo canali specificamente dedicati ai let’s play e i video sull’argomento sono in crescita, ma ancora non è stata raggiunta la massa critica, e la piattaforma è dominata da altre tipologie di video, come il vlogging.
Osservando retroattivamente i video relativi al videogioco, caricati di anno in anno, è possibile individuare il germe del cambiamento che sarebbe giunto a breve con Amnesia: The Dark Descent. Il 2007 presenta, oltre ai trailer, alcuni video riconducibili alla categoria “how to” (come jazzkomp, 2007 e KPIQA, 2007). Entrambi i video mostrano come uccidere i cani presenti nella miniera del primo Penumbra, poiché si tratta di un nemico particolarmente ostico, al punto che alcuni giocatori pensavano fosse impossibile eliminare queste creature.
Poi ci sono video di sostanziale trolling (KirmiZ, 2007) e brevi filmati su determinate parti del gioco (come l3ks1, 2007 e Altraum, 2007). A parte la bassa qualità visiva, ciò che emerge immediatamente è la completa assenza di commentari vocali; quando – non sempre – uno youtuber inserisce pensieri e opinioni lo fa tramite scritte in sovraimpressione o piccoli box. I video reperibili sono inoltre molto pochi, soprattutto escludendo trailer e video rimossi.
Il quadro complessivo di due anni più tardi risulta già molto diverso. I video del 2009, relativi non solo ai due capitoli successivi della saga ma anche al primo Penumbra, sono molto più numerosi e soprattutto presentano impostazioni differenti. Perdurano i video brevi o brevissimi volti a mostrare uno specifico elemento (come un easter egg in VAXIS TAA, 2009, della durata di appena nove secondi), affiancati da gameplay a episodi in cui è presente un commentario audio dello youtuber (come TheScarlettears, 2009, ColdTrix8, 2009 e Helloween4545, 2009a) e altri in cui i commenti rimangono in forma scritta (come Captain Perfect, 2009a). Compaiono inoltre anche contenuti di carattere più creativo che remixano determinati materiali per realizzare nuovi contenuti video. Un esempio è il fake trailer di un ipotetico film su Penumbra, realizzato montando spezzoni di diverse pellicole horror (bloodrunsclear, 2009).
Questa moltiplicazione è già sufficiente a generare un differente livello empatico. Si può fare un breve confronto legato alle prime due comparse del mostro in Penumbra: Black Plague all’inizio del gioco. Nel primo caso si tratta di un piccolo jump scare, in cui il nemico viene intravisto mentre si muove dietro una porta, nel secondo il mostro si mette sulle tracce del protagonista nascosto e, se lo trova, comincia a inseguirlo.
Nel video di Captain Perfect (2009a), fornito solo di pochi commenti scritti, lo youtuber si limitava a scrivere «What the fuck was that!» (minuto 4:03), e fugge poi dal mostro senza scrivere nulla (Captain Perfect, 2009b). Si segnala che, al momento in cui si sta scrivendo ora, quei commenti non sembrano più visualizzabili.
Hellowen4545 inserisce invece un commentario audio, ma in entrambe le situazioni (2009b e 2009c) appare più stupito che spaventato, continuando a ripetere frasi come “what the hell is that?” con un tono perplesso. La maggior parte dei gameplay dedicati agli episodi di Penumbra è però collocabile nel periodo successivo all’uscita di Amnesia: The Dark Descent, tanto che sono rintracciabili commenti ai video in cui i Penumbra vengono considerati dei “cloni” di quest’ultimo gioco, quando ne sono invece i predecessori. Il gameplay di Markiplier del 2012 presenta un commentario audio molto più vivace e variegato, in cui lo youtuber reagisce alla prima apparizione con tono di sfida (2012a), ma alla seconda continua a urlare in maniera scomposta mentre il mostro è sulle sue tracce (2012b).
L’anno successivo giunge invece il gameplay di Favij (FavijTVtm, 2013), in cui viene inserita in un angolo la cam che mostra il busto dello youtuber, così da poter osservare le sue reazioni live. Favij, a inizio video, dice di conoscere già la parte iniziale del videogioco, perché lo aveva giocato l’anno precedente sul canale NiKyBox (2012b) per aprire la sua serie “Giochi nel Buio”, e pertanto premette che non dovrebbe avere «infarti esageratamente incredibili durante questo primo episodio» (FavijTVtm, 2013, minuto 1:42). Alla prima comparsa del mostro ha una moderata reazione, dicendo di non ricordarsi quel momento, mentre alla seconda, pur essendo pronto, comincia a esclamare ad alta voce.
Confrontandolo anzi con il suo precedente gameplay dello stesso gioco (NikYBoX, 2012b, in cui non era presente la cam) le reazioni sono più ‘urlate’ e plateali, nonostante conosca quella parte. Si noti peraltro che, in linea con le imprecazioni più frequenti degli youtubers italiani (Kurpiel, 2016) utilizza spesso l’espressione «cazzo!» (e, in generale, altre forme di intercalare; Fägersten, 2017) e – seguendo un’altra pratica ricorrente – assegna un soprannome al mostro (Kurpiel, 2017), chiamandolo Piff.
Le reactions ai videogiochi horror, come emerge già da questo breve esempio, vengono tendenzialmente sempre più “spettacolarizzate” nel tempo. Una reazione può anche essere in chiave comica, soprattutto se il videogioco consente alcune pratiche differenti rispetto al mero avanzamento lungo il percorso prestabilito. Restando sull’esempio del mostro che compare in Penumbra: Black Plague, già un video del 2008 mostra come sia possibile ‘giocare’ con la fisica del gioco e la capacità del protagonista di spostare oggetti. Nel video (NossX, 2008) viene impilata un’immane quantità di oggetti davanti alla porta che il mostro deve spalancare, e appena l’azione viene compiuta tutti questi oggetti sono improvvisamente spinti via come in un’esplosione.
Al tempo stesso vengono scientemente ricercati i videogiochi ritenuti più spaventosi e si cerca di giocarli per la prima volta in video, così da non conoscere già i colpi di scena e ottenere reazioni più naturali (o che paiano tali). È uno dei motivi per cui Favij, ai tempi di NikYBoX, (2012b), aveva inaugurato la sua rubrica con Penumbra: Black Plague invece che con il successivo – e molto popolare – Amnesia: The Dark Descent, perché aveva già giocato per intero quest’ultimo. Questa “ricerca della paura”, e soprattutto degli spaventi improvvisi, si accompagna alla felice constatazione che i videogiochi di Frictional Games si fanno progressivamente più paurosi. È quanto sottolinea Markiplier (2012a) già a proposito di Penumbra: Black Plague, che promette di essere molto più spaventoso del predecessore, il quale aveva un solo momento veramente pauroso in tutto il gioco, legato all’improvvisa comparsa di un verme gigante che sfonda un portone.
È in questa fase evolutiva che si è inserito Amnesia: The Dark Descent, il quale ha contribuito a far nascere quel “bisogno di horror” su YouTube, in un momento in cui alcuni vedevano nella virata action l’unico futuro per questo genere. Come hanno sottolineato in molti, a partire dagli stessi creatori del gioco, quella fra YouTube e Amnesia: The Dark Descent è stata una relazione simbiotica particolarmente vantaggiosa per entrambe le parti. Non solo il gioco ha contribuito alla ‘nascita’ di molti youtubers di successo, e ha accresciuto le proprie vendite grazie a loro, ma ha anche contribuito all’evoluzione del survival horror e, al tempo stesso, dei let’s play:
«“I think Amnesia got a lot of free PR because of “Let’s Play” videos, but I also think that Amnesia opened people to a new style of ‘Let’s Play,’” Frictional Games creative director Thomas Grip told me. “Normally, games are very skill-based. You need to be concentrated and play a certain way to play ‘properly.’ But with horror games, the aim is not to win, but rather to get immersed. That gives a lot more space for ‘Let’s Players’ to put on a show, either by being very scared or just fooling about. On top of that it is really fun to see someone scared for some reason”» (Maiberg, 2015. Corsivi miei).
E ancora:
«Speaking to VICE Gaming in October 2014, The Dark Descent’s creative director, Thomas Grip, explained that there’s ‘a lot to be done in making horror more personal and thought-provoking’, and that ‘a game could be terrifying with a bare minimum of features’. And that’s something indies have been doing while the more publicized, more predictable alternatives take their turns at being the open-world game of the moment: maximizing impact while maintaining modest budgets, development mirroring the gameplay of survival-horror games themselves in using few resources but delivering chills aplenty. […] The popularity of horror in the indie-games field owes much to YouTube, to gamers posting footage of themselves getting terrified In the company of these low-budget, one dare say more intimate experiences – the first-person perspective certainly encourages a deeper bond between player and protagonist» (Diver, 2016: 56-57. Corsivi miei).
Al di fuori di una certa retorica relativa al “fare tanto con poco”, i team indipendenti come Frictional Games sono effettivamente riusciti a risolvere il problema sentito nello stesso periodo di tempo dalle cosiddette produzioni Tripla A: col crescere dei costi di produzione occorre puntare su generi più “sicuri”, e il survival horror non sembrava rientrare nel novero. Amnesia: The Dark Descent (e poi altri videogiochi, come Slenderman e Five Nights at Freddy’s) ha però mostrato la possibilità di realizzare profitti con l’horror mantenendo costi accessibili, e questo è avvenuto anche grazie agli youtubers. Osservando il postmortem del gioco (Grip, 2011) e i due articoli che fanno il punto della situazione a distanza, rispettivamente, di uno e due anni dall’uscita (Thomas KL, 2011, 2012a), è possibile tracciare la progressione nelle vendite di Amnesia: The Dark Descent.
Nel postmortem riportano di aver ottenuto un buon risultato, seppur non miracoloso, durante il primo mese dall’uscita, con 34.000 copie, e nei mesi successivi le vendite sono andate in crescendo, anche grazie ad alcune promozioni, fino a raggiungere le 350.000 unità a luglio 2011 (Grip, 2011: 5). Al di fuori dei saldi non vengono però indicate le ragioni dietro alla diffusione e alla longevità dell’interesse per il videogioco, elementi analizzati più nel dettaglio all’interno dell’articolo sul loro blog (Thomas KL, 2011). I fattori citati sono sostanzialmente due, entrambi riconducibili all’user response: creazione di materiali e discorsi sul videogioco e realizzazione di mod per il medesimo.
Per il primo punto citano, come esempio primario, «the Amnesia WTF video that reached 4 million views» (ivi). Per il secondo sottolineano la differenza con Penumbra: in quel caso un solo utente aveva avviato un progetto di modding, mai portato a termine, mentre per Amnesia: The Dark Descent sono presenti almeno trecento progetti in cantiere, di cui una ventina portati a termine. Questi due elementi si rafforzano peraltro a vicenda, generando un circolo virtuoso.
Le mod, oltre a rendere più varia e duratura l’esperienza di gioco, sono a loro volta mostrate nei video di youtubers come PewDiePie e Markiplier. Questa esperienza ha peraltro lasciato tracce nella community di entrambi. Da una partita a una mod del gioco è nata l’avversione di PewDiePie per i barili, che è divenuta un joke ricorrente nei suoi video. Nel caso di Markiplier, invece, si possono ricordare ad esempio alcuni videogiochi fanmade che richiamano le sue partite a quel videogioco, come Darkiplier: The “Mark” Descent (The One: Sayncraft, 2016) il quale, a dispetto del titolo, è in realtà un più ampio collage di riferimenti a molti giochi horror che lo youtuber ha portato sul suo canale.
Tutto ciò, comunque, contribuisce alla diffusione delle mod e spinge nuovi utenti ad acquistare il gioco e – se ne sono in grado – a realizzare a loro volta una mod. I contenuti creati dai fan possono attenersi allo spirito originario dell’opera oppure compiere significative deviazioni. Può trattarsi di inserti comici come in Killings In Altstadt, una mod in cui uno dei mostri del gioco è trasformato in un mercante russo, con annesso colbacco, e nel suo negozio è possibile ascoltare la musica dei negozi di The Legend of Zelda: Ocarina of Time (PewDiePie, 2012; Markiplier, 2012c).
L’articolo approfondisce anche la questione delle vendite. Il conteggio ammonta a quasi 400.000 unità, di cui circa 300.000 vendute in sconto. Si tratta di una percentuale elevata di copie scontate ma, come sottolineato, anche le copie vendute a prezzo pieno sono circa 6000 al mese, un numero che, oltre a essere più che sufficiente per stipendi e costi di mantenimento, risulta in crescita rispetto all’anno precedente (Thomas KL, 2011), ulteriore segnale del ritorno economico prodotto dalla vitalità della community.
Il report del 2012 traccia una situazione ancor più rosea, con 710.000 unità sicure e, in base all’andamento di determinati bundle in corso, un totale effettivo che può oscillare fra 900.000 e 1.300.000 copie (Thomas KL, 2012a). Pure in questo caso sconti e offerte hanno ricoperto un ruolo significativo, ma anche le copie vendute a prezzo pieno sono ulteriormente aumentate, passando a una media di 10.000 unità al mese. Aggiunge inoltre che pure la serie Penumbra, probabilmente anche trainata dal successo di Amnesia: The Dark Descent, registra stabilmente circa 900 copie vendute ogni mese a prezzo pieno (Thomas KL, 2012a). È anche utile ricordare che, su YouTube, la maggior parte dei video relativi a Penumbra è giunta dopo l’uscita del successivo gioco di Frictional Games, il che sembra contribuire a spiegare queste vendite di un gioco ormai datato, persino leggermente in crescita rispetto al passato.
Nel complesso, Frictional Games ha guadagnato oltre il decuplo della cifra spesa per sviluppare il videogioco.
E negli anni successivi gli incassi sono ulteriormente cresciuti. A luglio 2018 oltre 2.600.000 persone avevano avviato almeno una volta Amnesia: The Dark Descent su Steam (Games–achievements–players, 2018), segno che il numero complessivo del venduto è ancor più elevato, contando coloro che l’hanno acquistato senza averci mai giocato e coloro che l’hanno comprato su una diversa piattaforma.
Le ragioni di questo considerevole successo sono molteplici: «This success is due to many factors, some of which are the uniqueness of the game (horror games without combat do not really exist on PC), the large modding community (more on this later) and the steady flood of YouTube clips (which is in turn is fueled by the modding community output)» (ivi. Corsivi miei). Sempre a proposito di YouTube e modding, poco oltre l’articolo aggiunge:
The output of modding community has been quite big as well. Amnesia is as of writing the 2nd most popular game at ModDB and sports 176 finished mods. Not only do this amount of user content lengthen the life of the game, it has also increased the amount of YouTube movies made with an Amnesia theme. There are lots of popular Let’s Play channels that have devoted quite a bit of time with just playing various user-made custom stories. As mentioned earlier this have probably played a large role in keeping our monthly sales up. (ivi. Corsivo mio).
È peraltro in quest’anno che sono nati o cresciuti alcuni canali di gaming molto popolari, e – come detto – questo loro percorso è proprio legato ad Amnesia: The Dark Descent e altri videogiochi horror. È un ulteriore segnale del fatto che non sia stato solo il gioco di Frictional Games a beneficiare degli youtubers, ma anche il contrario.
Slender Man: creepypasta, videocamere e prove di coraggio
Volendo effettuare una semplificazione si potrebbe affermare che, laddove Amnesia: The Dark Descent ha contribuito alla diffusione dei let’s play (soprattutto a tema horror), Slender Man (o Slenderman) li ha resi appetibili per un’audience di bambini e ragazzi.
Il rapporto fra Slender Man e il gaming su YouTube è scomponibile in due differenti direttrici, una legata al fenomeno delle creepypasta e l’altra ai videogiochi realizzati su questo personaggio. Nel primo caso è possibile parlare di videogiochi come creepypasta, nel secondo di videogiochi sulle creepypasta.
Slender Man è un immenso fenomeno crossmediale bottom up nato praticamente per caso nel 2009, quando un utente di Something Awful posta due immagini modificate in risposta al contest “create paranormal images” (Gerogerigegege, 2009). In queste immagini in bianco e nero, raffiguranti dei bambini, è stata inserita sullo sfondo la sagoma di un uomo alto, magro e senza volto.
La creatura, definita “Slender Man”, si diffonde in brevissimo tempo prima su /x/ (la board di 4chan dedicata al paranormale) e poi in diversi altri siti e piattaforme. Nel frattempo vengono progressivamente definite le caratteristiche di questa creatura, per quanto non si sia formato un canone stringente (Chess, 2015), anche per via della natura fortemente cooperativa e condivisa del progetto (Chess, 2012; Freitas, Amaro, 2016; Smith, 2017) in cui diversi utenti con differenti capacità e punti di vista hanno plasmato la generica idea di fondo.
Quest’idea già nasceva, come ha affermato il suo creatore in un’intervista, da una commistione di vari spunti: «I was mostly influenced by H.P Lovecraft, Stephan [sic] King (specifically his short stories), the surreal imaginings of William S. Burroughs, and couple games of the survival horror genre; Silent Hill and Resident Evil. I feel the most direct influences were Zack Parsons’s “That Insidious Beast”, the Steven [sic] King short story “The Mist”, the SA tale regarding “The Rake”, reports of so-called shadow people, Mothman, and the Mad Gasser of Mattoon» (Tomberry, 2011).
«Users critiqued these performances, discussing what elements made them most effective. Successive performances built upon existing performances and discussions» (Peck, 2017: 35). Vengono prodotte finte immagini d’epoca, documentazioni, programmi radiofonici, mockumentary e molto altro, con narrazioni che mettono in correlazione fra loro questi diversi testi, i quali si citano reciprocamente. Vengono rigettate le produzioni che risultano palesemente inautentiche, ma nonostante questo nascono anche molti testi lontani dall’originaria idea horror, fra cui le numerose fanfic a tema sentimentale su Slender Man (Chess, 2015). Restando nel primario filone horror, invece, le diverse apparizioni della creatura presentano alcune caratteristiche comuni, che è utile riportare perché si relazionano anche con i videogiochi sul tema:
«One dominant theme that materialized is the haunting presence of the creature. The protagonists are almost never in direct contact with Slender Man. They are aware of his presence, rarely through sightings, but most often because of physical reactions to his proximity. They start coughing and wheezing, sometimes they lose consciousness, and they also experience an overpowering desire to sleep. Amnesia plays a big part in the plot, as the protagonist discovers tapes of himself talking to people and being in places that he simply cannot recall» (Boyer, 2013: 251-252. Corsivi miei).
Slender Man si è rapidamente diffuso come nuova entità folklorica. Possiede infatti i tre attributi del folklore: collettività, variabilità e performance (Bauman, 1986, citato in Smith, 2017: 9). Inoltre nella sua figura si uniscono due concetti di particolare rilevanza, identificabili coi termini “weird” e “eerie”, intendendo il primo come la presenza di qualcosa che appare fuori posto, e il secondo come fallimento dell’assenza o fallimento della presenza (Fisher, 2016: 61). Slender Man, grazie al suo statuto ambiguo, può essere inquadrabile in entrambe le prospettive. La sua presenza, intuibile ma quasi mai certa, è legata al mistero e alla riflessione su di esso, tramite gli inquietanti indizi che trapelano. Ma la sua figura è anche, al pari degli orrori lovecraftiani, una “presenza” eccessiva e indicibile propriamente weird. Queste due caratteristiche sono riscontrabili anche nei videogiochi legati a Slender Man e nei numerosi “cloni” derivanti dal loro successo.
Quando è uscito Slender: The Eight Pages (Mark J. Hadley, 2012), inizialmente noto solo come Slender, è stata da più parti sottolineata la sua minimalistica efficacia come videogioco horror. In questo gioco bisogna raccogliere, come suggerisce il titolo, otto pagine disseminate casualmente in determinati punti di un bosco notturno. Col proseguire della raccolta Slender Man si manifesta sempre più spesso e diviene sempre più pericoloso.
Già Amnesia: The Dark Descent si era rivelato un ottimo survival horror con un costo di realizzazione di circa 360.000 dollari, una cifra decisamente lontana dal budget di un “tripla A” ma comunque relativamente elevata. Slender: The Eight Pages è invece un piccolo progetto, amatoriale, con un costo irrisorio, che è stato tuttavia capace di ottenere una considerevole risonanza, in primo luogo grazie ad alcune felici scelte di design. Un’analisi del gioco è stata presentata, fra gli altri, da Frictional Games (Thomas KL, 2012b), poi recuperata e ampliata da Chris Pruett (2012a).
Entrambi sottolineano l’importanza di non poter vedere chiaramente Slender Man (fissarlo per troppo tempo fa impazzire il personaggio) e non conoscere – almeno nelle prime partite – le modalità con cui la creatura opera. «The game hides the mechanics that govern how the monster hunts you down and what makes you eventually get killed. I think this was a good move as you are free to make up for yourself what happened» (Thomas KL, 2012b) e «By hiding the core rule set and giving you almost no visual information about the behavior of the game, Slender robs you of the comfort that predictability brings. It forces you to think on your feet, to accept the narrative rather than focus on the mechanic» (Pruett, 2012a).
I due elementi sono collegati: la mancata conoscenza delle meccaniche di gioco rende più difficile rompere l’immersività, e quando il fruitore si trova davanti un “vuoto” tende a riempirlo con qualcosa di più spaventoso di quanto si potrebbe effettivamente presentare (Rouse, 2009: 17). Si tratta di una scelta che contrasta con gli horror di stampo più action, in cui i mostri sono (sovra)esposti, che si ricollega invece alla tradizione di alcuni survival horror precedenti come Fatal Frame e, risalendo più indietro, all’Orrore Cosmico di Lovecraft.
A proposito di Fatal Frame, il direttore della serie Makoto Shibata, durante un’intervista utilizzò le seguenti parole a proposito della modalità con cui avevano introdotto la componente horror nei loro giochi: «I believed that our method to invoke the fear in the player’s own imagination maximizes the recipient’s fear. We do not simply show sacry things, but provide fragmental information and create a situation that forces the player to imagine these horrors. I personally call it, “Subtracting horror”» (Stuart K., 2006, citato in Picard, 2009: 111). A proposito di Lovecraft si possono ricordare le parole dell’autore stesso: «L’unico dato di fatto è questo: se venga stimolato o no nel lettore un senso di terrore e di contatto con sfere e potenze ignote, un atteggiamento indefinibile di timoroso ascolto, come captare il battere di nere ali o lo stridere di forme e entità esterne ai confini dell’universo conosciuto. E, naturalmente, più il racconto riesce a trasmettere questa atmosfera in modo completo e uniforme, migliore è come opera d’arte in quel settore» (Lovecraft, 1993 [1927]: 462).
Questa visione evocata presenta una correlazione anche con gli altri due punti sottolineati sul blog di Frictional games: la «sensory deprivation» (vedendo sempre gli stessi elementi continuamente ripetuti il giocatore crede di scorgere cose che non esistono) e la «tunnel vision» creata dalla torcia, in cui i margini dello schermo restano perennemente avvolti nell’oscurità (Thomas KL, 2012b). A proposito della sensory deprivation ricordiamo anche che «la deprivazione dei normali input visivi può stimolare l’occhio interiore, producendo sogni, immagini vivide o allucinazioni. Esiste perfino un termine specifico per riferirsi alle sequenze di allucinazioni – varie e dai colori brillanti – che confortano o tormentano chi è tenuto nell’isolamento o nell’oscurità: è il “cinema del prigioniero”. Per produrre le allucinazioni non occorre una deprivazione visiva totale: la monotonia degli stimoli visivi può avere lo stesso effetto» (Sacks, 2013 [2012]: 45).
Pruett aggiunge la grande importanza che ricopre il suono all’interno di questo breve videogioco: «I think about 80% of the effectiveness of Slender is the sound. The sound is overwhelming. It demands your attention, forces your blood to pump in spite of the otherwise unremarkable graphics and presentation. The way the sound increases in intensity with each note you find also keeps the tension from falling with repetition» (Pruett, 2012a).
E in un altro articolo, in cui parla di Slender e di Five Night’s at Freddy’s, segnala altri due punti, che risultano peraltro di particolare importanza in relazione al legame con YouTube: «Pop-Out Scare Failure Event» e «Mettle Tests» (Pruett, 2015). Il primo punto riguarda un utilizzo oculato degli scare jumps: «Rather than pop some hideous creature out of a dark corner every few minutes, these titles build tension with the threat of a pop-out scare, which doesn’t actually occur until the player fails and reaches the game over state» (ivi. Corsivo dell’autore). Lo scare jump collocato al vertice di una sequenza atta a generare tensione è un elemento efficace ma non originale, è rintracciabile anche in diversi film horror, ma in altri contesti è seguito da un momento distensivo, mentre in Slender: The Eight Pages il culmine coincide con il game over.
Il secondo punto è invece relativo alla popolarità di questo videogioco fra i più giovani: «The design of Freddy’s and Slender is good, but I think their virality amongst kids has to do with them being tests of mettle. These games are a safe way to prove your courage, both to yourself and your classmates. […] Slender and Freddy’s provide easy-to-reproduce fear challenges that kids can perform without involving adults» (ivi).
Il fattore “prova di coraggio” potrebbe essere una delle caratteristiche che ha contribuito a rendere l’esperienza del videogioco non esauribile con la visione di un let’s play, pur trattandosi di un prodotto semplice e veloce da visionare nella sua interezza. È presente una componente di emulazione e sfida di cui il let’s play costituisce un facile innesco. Rispondendo a un commento relativo ai video su YouTube, Pruett scrive:
«Agreed! The rise of Let’s Play and Twitch has made these games more accessible to teens than ever before. But I would argue that, in this era of dramatically increased visibility amongst teens thanks to YouTube, Freddy’s and Slender are breakout successes because of the way that they are designed. Pewdiepie plays a lot of games, but most of them do not become middle school phenomenons. These titles are structured in a way that allows them much larger success» (ivi. Corsivo mio).
Slender: The Eight Pages è peraltro solo uno dei numerosi videogiochi fanmade che sono stati realizzati su Slender Man, per quanto sia stato quello che ha impresso una certa direzione a molti degli altri giochi realizzati successivamente, considerando il successo della sua formula su YouTube e fra i ragazzi. Molti di questi videogiochi presentano cambiamenti prevalentemente grafici, con ambientazioni differenti rispetto al bosco di Slender: The Eight Pages, ma con la stessa struttura basata sulla raccolta di un certo numero di oggetti e lo “stalking” di Slender Man.
Fra questi si ricordano Slender Man’s Shadow (Marc Steene, Wray Burgess, 2012), Slender Space, Slender Rising (Michael Hegemann, 2013) e Slender Rising 2 (Michael Hegemann, 2014), SlenderMod (Tim Spaninks, Marco van den Oever, 2012), Slender: Flashlight (Triggered Games, 2013), Slender Nightmare Camp (fortunacus, 2013), Slender: Anxiety (the_adc, 2014) e molti altri. La maggior parte di questi videogiochi è presente su YouTube in numerosi video, alcuni dei quali (per esempio quelli di PewDiePie e Markiplier) con un numero di visualizzazioni molto elevato. Nessuno di essi è disponibile su Steam, sono tutti scaricabili o giocabili su siti come Game Jolt – in cui la ricerca del termine “slender” genera oltre duecento risultati – Newgrounds o Dark Horror Games.
Al tempo stesso sono estremamente diffusi i videogiochi che mantengono la stessa struttura di Slender: The Eight Pages modificando però i personaggi coinvolti e inserendo differenti inseguitori rispetto a Slender Man. Fra gli “stalker” inseriti in questi videogiochi si possono ricordare, a titolo d’esempio, una donna fantasma (Dream of the Blood Moon, The Unbeholden, 2013), Babbo Natale (Darth Santa, jaekkl, 2015), il windigo (The Wendigo, warka, 2017), Tinky–Winky dei Teletubbies (Slendytubbies, Sean Toman, 2012), Slender Man in versione pony (Derp Till Dawn, Donitz, 2013) e altri.
Anche per questa categoria, i video reperibili su YouTube sono spesso numerosi e molto visualizzati. Sono stati inoltre realizzati un vasto numero di videogiochi di differenti tipologie, incentrati su Slender Man o comunque in cui compare come personaggio. In linea di massima è possibile affermare che l’operazione svolta consiste nell’ibridazione fra Slender Man e un popolare videogioco del momento, come nel caso di Slendertale (Khamelot, 2016), il quale unisce meccaniche e personaggi di Slender Man e Undertale (Toby Fox, 2015).
Mentre era in corso il flusso di videogiochi fanmade relativi a Slender Man è uscito, nel 2013, Slender: The Arrival (Blue Isle Studios, 2013), il videogioco ufficiale dedicato al personaggio, nonché l’unico in vendita su Steam e su console. Molti degli elementi che lo compongono sono una versione ampliata di quanto già visto in Slender: The Eight Pages e altri videogiochi realizzati dai fan. L’inserimento di una trama più o meno vaga, per esempio, era stato già compiuto in giochi come Slender’s Woods (ZykovEddy, 2012) e Haunt: The Real Slender Game (poi rinominato semplicemente Haunt, ParanormalDev, 2012).
Almeno uno di questi elementi merita una menzione a parte: l’utilizzo di una telecamera da parte del protagonista. Anche in questo caso non costituisce una novità nel panorama dei videogiochi su Slender Man, e tantomeno nei videogiochi in generale. Si ricorda per esempio il particolare precedente di The Fear (Digital Frontier, 2001), videogioco full motion rilasciato solo in Giappone in cui il protagonista è un cameraman.
La sua presenza nel gioco ufficiale su Slender Man, però, non è priva di interesse. Già in Slender: The Eight Pages la presenza di una telecamera era intuibile per almeno due ragioni, relative alla lore del personaggio: Slender Man sarebbe visibile solo attraverso una telecamera, e la sua comparsa provoca dei disturbi (visibili nel videogioco) negli apparecchi di registrazione. È un esempio di glitch horror (Crawford, 2017), in cui l’ansia è legata al malfunzionamento e alla fallibilità della tecnologia, come riscontrabile in The Ring o nel videogioco Eternal Darkness: Sanity’s Requiem. In Slender: The Eight Pages questo malfunzionamento è però percepito in prima persona, e si lega strettamente alla visione (tramite telecamera). Una presenza digitale che, in Slender: The Arrival, è resa esplicita tramite diversi indicatori a schermo, sempre attivi, fra cui l’icona REC.
L’importanza della telecamera può essere sintetizzata in tre parole, ciascuna delle quali fornisce una immagine di sintesi sulle componenti coinvolte: immersività, incertezza e mediazione.
– Immersività: tendenzialmente, nei videogiochi, le informazioni visualizzate a schermo (definite HUD, Head–Up Display) sono percepite come un elemento capace di ridurre o annullare l’immersività, perché rivelano immediatamente la finzionalità del mondo di gioco, mostrandone alcune statistiche (i punti vita del personaggio, il punteggio, la mappa di gioco, lo stato di degradamento degli oggetti equipaggiati…). Alcuni videogiochi, come quelli legati alle corse automobilistiche, consentono di inserire con una certa naturalezza numerose informazioni, ponendole nel cruscotto dell’automobile, ma si tratta di casi specifici.
La presenza di una telecamera costituisce un altro di questi specifici casi, come ha sottolineato fra gli altri Thomas Grip di Frictional Games in un suo commento su Slender: The Arrival (Thomas KL, 2013). È uno di quei casi, dice, in cui la presenza di HUD non solo non danneggia l’immersività, ma al contrario contribuisce a rinforzarla. Un altro esempio da lui citato è il visore di Samus Aran in Metroid Prime (Retro Studios, 2002). Trattandosi del visore di una futuristica tuta da battaglia può credibilmente mostrare un gran numero di informazioni, ed è inoltre influenzato dagli elementi esterni come gocce di pioggia, attacchi elettrici e bava dei mostri. Nello specifico caso di Slender Man, inoltre, l’immersività di questo oggetto è accresciuta anche dalla lore sul personaggio che, come detto in precedenza, è legata all’impiego di apparecchiature tecnologiche (e ai loro malfunzionamenti).
– Incertezza: il tremolio nella videocamera non è solo un mero effetto grafico che omaggia i mockumentary su Slender Man, poiché costituisce anche di un elemento di gioco, in quanto indicatore di prossimità del nemico. Un indicatore che risulta però volutamente vago: «How near is the Slenderman in Slender?» domanda Chris Pruett in un suo articolo (2012b) sull’importanza dell’incertezza nei videogiochi horror. Secondo Pruett limitare o rimuovere le indicazioni a schermo, in un videogioco horror, non contribuisce solo all’immersività, ma aiuta a offuscare i dettagli per rendere più spaventosa l’esperienza di gioco.
Pruett cita, come esempio in negativo, Dead Space (Visceral Games, 2008). Sotto il punto di vista dell’immersività questo gioco ha integrato piuttosto bene l’HUD, inserendo i diversi indicatori nella tecnologica tuta del protagonista, ma i dati forniti sarebbero, secondo Pruett, troppi, andando a ridimensionare la componente orrorifica del gioco: «Isaac’s life bar is attached to his back, his gun prominently displays the number of shots remaining, and he has a special gadget that shows him where to go whenever he is lost. This information is reassuring. In the heat of battle, we can rest easy if Isaac has full health; even a couple of direct hits aren’t likely to kill him. We know where we’re going, and how much ammo and health we have, at all times» (2012b).
Questa logica è applicabile a numerosi elementi di gioco (la salute dei nemici e quella del personaggio, il numero di colpi in canna, l’esatta efficacia di un oggetto di cura…), ma si rivela di particolare interesse soprattutto in relazione al rilevamento dei nemici. Tendenzialmente, in un buon gioco horror, la presenza del nemico deve essere suggerita ma non esplicitata, fino al momento della comparsa del mostro. I versi di uno zombie in Resident Evil, la radio gracchiante in Silent Hill e il tremolio nella telecamera di Slender Man sono tutti elementi visivi o sonori che lasciano intuire senza rivelare troppo. Un’interferenza indica la vicinanza di Slender Man, ma non indica quanto sia vicino, né da quale direzione stia arrivando.
– Mediazione: laddove, in ogni attività videoludica, è presente la mediazione di uno schermo collocato fra il videogiocatore e il mondo di gioco, la fruizione di un let’s play su YouTube costituisce una sorta di mediazione schermica al quadrato. Con la presenza di una telecamera interna la mediazione diviene cubica: uno schermo separa avatar e mondo di gioco, un secondo separa il giocatore/youtuber dal proprio avatar e un terzo il fruitore del video dal giocatore/youtuber. Ma la “mediazione” è anche quella fra visione e nascondimento, i due poli su cui giocano molti survival horror, qui negoziata dalla telecamera.
Seguendo la logica dei filmati su Slender Man (i quali attingono a loro volta da una lunga tradizione di found footage) la creatura non può essere vista o registrata, se non di sfuggita (a causa della pazzia e dei disturbi nelle riprese), ma al tempo stesso si cerca di registrare tutto, per provare la sua esistenza o anche solo aver salva la vita. Una «Scan-and-search visuality» (Soderman, 2015: 313) in cui bisogna osservare (registrando) ovunque in cerca delle pagine disperse, evitando al tempo stesso di guardare Slender Man. Una “mediazione” che trova infine un corrispettivo nell’azione contemporanea dello youtuber, il quale con una differente videocamera osserva e registra, mosso da due spinte contrastanti: evitare il mostro per proseguire nel gioco ed essere inseguito da quest’ultimo per generare reactions da mostrare in video.
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