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Let’s Play: qual è stato il primo?

Qual è stato il primo let’s play? Di recente, spulciando tra le cartelle del computer, ho trovato questo articolo, in cui davo una risposta all’interrogativo.

L’articolo riprendeva un pezzettino della mia tesi di dottorato. Non ho mai avuto occasione di pubblicarlo e non ricordo perché.

Comunque sia, ho deciso di condividerlo qui sotto.

Che cos’è un let’s play

Possiamo fornire la seguente definizione per ciò che si intende, attualmente e abitualmente, con questo termine.

Let’s play: una tipologia di video nata come condivisione della propria esperienza di gioco, magari per istruire altri videogiocatori. Il termine è passato poi a indicare, in prevalenza, dei video relativamente brevi in cui uno youtuber realizza una performance videoludica in cui emerge con una certa forza la sua presenza. Il contenuto è spesso ironico e, anche quando non è esplicitamente presente questa componente, risulta un contenuto ‘leggero’, di intrattenimento.

La presenza dell’editing è spesso significativa e può arrivare a modificare notevolmente quanto mostrato. In linea di massima si tende a rimuovere le parti più ripetitive della partita, per soffermarsi sui momenti di maggior interesse, per quanto avviene a schermo o quanto dice lo youtuber. Lo youtuber è tendenzialmente presente sullo schermo, o in un riquadro oppure con il suo profilo isolato tramite green screen. La sua presenza è importante per il valore assunto dalle sue reazioni che in alcuni casi, nei momenti più significativi, sono sottolineate tramite uno zoom sulla sua figura che mette per un momento in secondo piano il videogioco. In alcuni casi il giocatore non è tuttavia visibile, ma è possibile ascoltare la sua voce.

Si può anche considerare un ulteriore termine, spesso usato in modo decisamente simile, nei contesti di cui si parla.

Gameplay: in molti casi è un termine quasi sinonimico rispetto a “Let’s play” e utilizzabile indifferentemente al posto suo. Volendo operare una distinzione il gameplay può essere definito come un video con grosso modo le stesse caratteristiche dei let’s play, ma con un maggior focus sul videogioco provato rispetto allo youtuber. Quest’ultimo può rimanere presente, come voce o presenza a schermo[1], ma i suoi interventi privilegiano la spiegazione del gioco rispetto alla propria personalità. Si tratta comunque di una differenza sottile, legata semplicemente al gradiente con cui possono presentarsi determinati elementi. Senza dimenticare che, il più delle volte, i termini sono intercambiabili.

Un campo in cui potrebbe forse essere sensato proporre una differenziazione effettiva riguarda un gruppo di più o meno brevi video che registrano un determinato aspetto di un videogioco, come la sconfitta di un avversario particolarmente difficile, con la finalità di istruire i fruitori. D’altra parte potrebbero però esser semplicemente definiti degli “how to”, categoria presente in gran parte dei settori presenti su YouTube.

Nascita del let’s play

La storia del let’s play varia a seconda della definizione che si vuole accogliere, variabile, come visto in precedenza, già nella sua stessa natura attuale d’uso. Non si tratta, in primo luogo, di risalire alla prima registrazione documentata di un videogioco, ma a un formato differente, realizzato con un intento precipuo.

Il termine let’s play sembra in primo luogo essere nato all’interno del sito Something Awful, terreno di coltura di numerosi contenuti memetici. La definizione, in particolare, sarebbe nata da un thread relativo al videogioco The Oregon Trail (mecc, 1971), in cui veniva mostrato come giocare attraverso una serie di screenshots (Klepek, 2015). Il thread non è più raggiungibile, ma le tempistiche risultano credibili, anche perché il racconto di una partita tramite screenshots era già andato sviluppandosi almeno a partire dall’anno prima (ivi). Le immagini fisse non sono però un video, per il quale – nella stessa community – bisognerà attendere il 2007 per assistere a un contenuto di questo genere.

E allargando il concetto si potrebbe del resto far risalire il let’s play a molto prima. Anche una testimonianza come quella di Martin Amis (1982) sui coin–op allora, per quanto largamente testuale, potrebbe costituire il racconto ragionato di una esperienza di gioco, volta a istruire altre persone. La sua è infatti una testimonianza pubblica, divulgativa, ma slegata dalla componente audiovisiva. Esistono invece numerose testimonianze di registrazioni decisamente antecedenti al sopra citato 2007 (alcune delle quali citate nei commenti a Klepek, 2015), ma destinate – almeno fino a tempi recenti – a una fruizione privata, legata ai ricordi dell’infanzia, in un circuito costituito al più da amici e parenti.

Genitori, nonni o altri parenti che registrano la partita di un ragazzino, magari all’interno di un più ampio ciclo memoriale di riprese sulla propria famiglia. Alcuni di questi contenuti sono stati poi caricati su YouTubein tempi relativamente brevi su YouTube (come questo). Anche simili casi, tuttavia, potrebbero non costituire un particolare primato a seconda della definizione considerata. Tendono infatti a polarizzarsi in forma troppo netta o sulla registrazione del videogioco o sul bambino che sta giocando, il che non li differenzia da filmati antecedenti se non, al più, per la loro natura amatoriale.

Ancora, spostando altrove la definizione emerge uno spostamento temporale notevole. Il playthrough realizzato tramite video è un fenomeno che può esser fatto risalire alla fine degli anni Novanta (Menotti, 2014). Allo stesso modo sono tracciabili diverse registrazioni relative per esempio a Doom (Lowood, 2008), legate a una specifica nicchia incoraggiata dai creatori stessi del videogioco (Menotti, 2014). E ancora, considerando il Machinima la sua genesi è abitualmente fissata al 1996, con la pubblicazione di Diary of a Camper (Lowood, 2006). Nessuna di queste forme qui citate è tuttavia interamente sovrapponibile a un let’s play.

Un curioso ma tutto sommato condiviso primato

A fronte di una simile incertezza classificatoria risulta certamente comprensibile la posizione di chi indica il primato di Something Awful, e in particolare dell’utente slowbeef (Michael Sawyer), per aver fornito la definizione nel 2005 e offerto il primo video di let’s play nel 2007, legato al videogioco The Immortal (Sandcastle, 1990). È tuttavia possibile risalire ad almeno un altro precedente degno di menzione, che è stato a sua volta indicato da alcuni come “il primo let’s play.

Il caso risulta di maggior interesse perché si collega a una figura particolarmente studiata nel panorama della rete, al punto da generare numerosi video documentari sulla sua vita: Christian Weston Chandler, attualmente Christine Weston Chandler. “Chris Chan”, spesso ha questo appellativo, ha inconsapevolmente anticipato diversi fenomeni virali, essendo ad esempio considerabile una sorta di ‘protobrony’, interessandosi pubblicamente al mondo di My Little Pony prima che emergesse un fandom maschile legato a questo show. Anche nell’ambito dei let’s play, Chris Chan potrebbe rappresentare un’anticipazione del fenomeno, con i requisiti ideali rispetto a quella che è l’attuale considerazione su questa etichetta. Del resto l’attenzione mediatica sulla sua persona ha contribuito a portare alla luce la maggior parte delle sue interazioni online, comprese quelle di potenziale interesse in questa sede.

La presenza online di Chris Chan è tracciabile perlomeno a partire dal 1999, con un suo sito dedicato ai Pokémon[2], sebbene il “fenomeno” online legato alla sua persona sia esploso solo nel 2007, quando la popolare board di 4chan ha scoperto il suo personaggio Sonichu, ibrido fra Sonic e Pikachu e protagonista di una serie di fumetti autoprodotti e pubblicati su internet.

Sia per l’impulso di Chris Chan di condividere spontaneamente numerosi dettagli della sua vita privata, sia per diverse opere di hacking dei suoi profili, sono attualmente reperibili numerosissime informazioni e testimonianze sulla sua vita. Queste testimonianze comprendono anche un lungo filmato del 2003 dedicato al videogioco Animal Crossing (Nintendo, 2001) che potrebbe costituire un effettivo primo esempio di let’s play[3].

Il documentario let's play di Chris Chan in Animal Crossing
Il “documentario” di Chris Chan in Animal Crossing.

Perché proprio questo?

La possibile candidatura a questo primato è determinata dalla presenza concomitante di numerosi fattori che avvicinano quel video all’ottica contemporanea del let’s play.

La tipologia di commentario, in primo luogo, sembra anticipare i video che sarebbero proliferati su YouTube pochi anni più tardi, con Chris Chan che descrive quanto avviene a schermo, propone una serie di battute (nel suo non sempre comprensibile umorismo) e cerca di coinvolgere il destinatario del filmato.

In secondo luogo è presente una volontà di diffusione. A differenza delle videocassette registrate per tramandare in famiglia il ricordo di un bambino che gioca ai videogiochi, infatti, il video di Chris Chan è stato fin da subito realizzato con l’intento di essere mostrato ad altre persone (Nintendo, in primo luogo).

Bisogna inoltre considerare l’impatto del suo video, con una risonanza sia su un piano ‘istituzionale’ (viene citato nel numero di maggio 2004 della rivista «Nintendo Power») sia per quanto riguarda l’utenza, complice la crescente popolarità che Chris Chan stava ottenendo, anche ‘grazie’ (ma sarebbe meglio dire “purtroppo”) al trolling su 4chan che invitava al recupero delle attività di questo ragazzo per deriderlo. A quest’ultimo punto si collega peraltro la natura di “celebrità” che ha – involontariamente – assunto Chris Chan. La sua figura può probabilmente rientrare nelle “star del trash” (Brilli 2015 e 2016) internazionali, poiché ha attirato una comunità di appassionati più interessati al trolling e alla derisione che a un supporto effettivo. Nondimeno, però, mantiene alcune caratteristiche in comune con le celebrities di YouTube che propongono contenuti legati ai videogiochi.

L’elemento primario che invece lo differenzia dall’attuale concezione del let’s play – al di fuori della qualità video e audio – è l’assenza di editing. Chris Chan mantiene nel suo filmato anche quei tempi morti, legati per esempio al caricamento dei dati, che verrebbero tagliati o velocizzati da uno youtuber. Il riempitivo che propone riguarda una sua performance canora, con alcuni motivetti canticchiati.

È degno di nota, infine, il termine “documentario” utilizzato per descrivere il video. Appare tuttavia piuttosto diverso rispetto agli effettivi e numerosi video documentaristici legati ai videogiochi, che sono presenti su YouTube. L’attività di Chris Chan è un tour delle sue due città virtuali, senza sistematicità e con un soffermarsi su particolari e dettagli spesso inutili o ripetitivi. Tutto ciò viene inoltre affiancato da digressioni sulla vita reale di Chris Chan, elementi che risultano del tutto estranei all’ottica documentaristica, ma sono invece nuovamente vicini alla forma del let’s play, che è spesso utilizzato come una sorta di pretesto per parlare d’altro, da parte degli youtuber.

Bibliografia

Amis (1982): M. Amis, Invasion of the Space Invaders, Hutchinson, London (trad. it. F. Aceto, ISBN Edizioni, Milano 2013).

Brilli (2015): S. Brilli, YouTube freakshow: fama e derisione nei pubblici connessi, tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, a.a. 2014/2015, relatore L. Gemini.

Brilli (2016): S. Brilli, Dal collasso dei contesti alle Trash Star: la serializzazione nella costruzione degli idoli ridicoli di YouTube Italia, «Mediascapes Journal», 7, pp. 153–164.

Kerttula (2019): T. Kerttula, ‘‘What an Eccentric Performance’’: Storytelling in Online Let’s Plays, «Games and Culture», 14(3), pp. 236-255.

Klepek (2015): P. Klepek, Who Invented Let’s Play Videos?, pubblicato il 06/05/2015 su Kotaku.

Lowood (2006), H. Lowood, High–Performance Play: The Making of Machinima, «Journal of Media Practice», 7, 1, pp. 25–42.

Lowood (2008): H. Lowood, La cultura del replay. Performance, spettatorialità, gameplay, in M. Bittanti (a cura di), Schermi interattivi. Il cinema nei videogiochi, Meltemi, Roma, pp. 69–94.

Menotti (2014): G. Menotti, Videorec as Gameplay: Recording Playthroughs and Video Game Engagement, «G|A|M|E: The Italian Journal of Game Studies», 1, 3.


[1] Tero Kerttula (2019) cita anche un caso ulteriore, piuttosto raro ma comunque possibile, in cui gli interventi dello youtuber avvengono tramite dei box inseriti nel video. Viene riportato come esempio il canale PinkKittyRose, la cui proprietaria «narrates her video gameplay with Final Fantasy-style text boxes».

[2] Attualmente non più raggiungibile.

[3] Il video è tutt’ora visualizzabile attraverso dei reuploads come quello di Fokker TISM. Il suo video è peraltro indicato come un possibile primo esempio di let’s play in uno dei numerosi documentari su Chris Chan presenti su YouTube (quello di GenoSamuel). Questo primato è anche sottolineato in diversi commenti nelle boards di 4chan, soprattutto /v/ e /tv/.

Natura in pixel

Questa è la pagina dedicata a tutte le informazioni su Natura in pixel. Un libro sui videogiochi per la beneficenza ambientale, curato da Chiara Ambrogio e Francesco Toniolo.

Qui sotto troverete, in futuro, le donazioni effettuate all’Oasi Lipu Bosco del Vignolo attraverso quanto raccolto con il libro.

Puoi andare qui per comprare il libro.

Natura in Pixel

Troverete anche le bio di autrici e autori che hanno contribuito al libro. Se volete saperne di più sulla genesi del testo e sulla call for papers che era stata fatta potete leggere qui.

Bio

Qui sono riportate le bio di tutte le persone che hanno contribuito al progetto. NOTA: non abbiamo ricevuto tutte le bio, vedremo se ci sarà modo di integrarle in futuro.

Chiara Ambrogio, laureata triennale e magistrale in comunicazione e marketing all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Videogiocatrice sin dall’infanzia e profonda conoscitrice del cinema d’animazione, ha sempre nutrito una grande passione verso l’universo dei media digitali in tutte le sue innumerevoli declinazioni. Nella vita si destreggia tra volontariato, attività di social media managing e la scrittura di articoli. Uno di questi, direttamente ispirato alla sua tesi di laurea triennale sul rapporto tra i videogiochi e il teatro, è stato pubblicato sul sito «IPID.dev» (Italian Party of Indie Developers) e successivamente ripreso dal portale «Everyeye.it». Il suo elaborato per il conseguimento della laurea magistrale si è occupato di analizzare il fenomeno (tanto sfuggente quanto capillare) della gamification.

Marco Bortoluzzi: Vive in mezzo ai monti del Trentino, quindi quando ha sentito che c’era da aiutare per una causa naturalistica non ci ha pensato due volte. Quando non abbraccia gli alberi o straparla di fortificazioni austroungariche, scrive per The Games Machine e per Frequenza Critica, di cui è uno dei fondatori.

Daniele Brussolo, psicologo psicoterapeuta. Con il gruppo Digitabilis – Percorsi di esplorazione digitale si occupa di media education, empowerment e contrasto ai divari socio-digitali in contesti formativi e di comunità. Docente presso il Master di Psicologia Digitale organizzato da Horizon Psytech e IDEGO, su tematiche relative ai processi identitari e alla promozione del benessere nell’ “onlife” e nei videogiochi.

Andrea Corinti è un autoproclamato “Italian Web World citizen”: un cittadino del mondo digitale condannato dalla feroce italianità scolpita nel proprio modus vivendi. Nato nel 1989 fra le splendide colline comasche, ha trascorso l’adolescenza tra l’Argentina e la Sicilia per poi fermentare una decina d’anni a Genova. Attualmente studia Scienze della comunicazione & media digitali e lavora come redattore web per la casa editrice Edilingua in quel di Atene, Grecia, dove vive dal 2019. L’amore per internet, musica, libri e videogiochi (oltre alle belle donne ed il buon vino) sono le poche costanti che si porta appresso nei suoi vagabondaggi.

Marco Favaro (1990) è Program Manager presso l’University of Europe for Applied Sciences di Berlino dove insegna Comparative Cultural Studies. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Studi Culturali e Scienze Umane presso la Otto-Friedrich-Universität Bamberg in cotutela con l’Università degli Studi di Verona. Precedentemente ha studiato filosofia a Roma Tor Vergata e alla Freie Universität di Berlino. È autore de La Maschera dell’Antieroe, pubblicato nel 2022 da Mimesis, libro che definisce le strutture e i concetti filosofici del genere supereroico contemporaneo. Marco studia, adottando una prospettiva prevalentemente filosofica, la cultura popolare, concentrandosi in particolare su fumetti e videogiochi. È coeditore del volume Batman’s Villains and Villainesses. Multidisciplinary Perspectives on Arkham’s Souls pubblicato nel 2023 da Lexington Books, ed è autore di diversi articoli tra cui “Dylan Dog’s Nightmares” (Critical Approaches to Horror Comic Books, Routledge), “The Horror Vs. L’Indagatore dell’Incubo” (Horror and Philosophy, McFarland), “Corpi, Macchine e Zombies” (Futuri. La Rivista italiana di Futures Studies) e “Antiheroes in the Rubble” (International Journal for the Fantastic in Contemporary Media). Nell’A.A. 2020/21, ha lavorato come docente all’Università di Bamberg, presentando un seminario sull'”antieroe”. Dal 2022 collabora con la rivista online Lo Spazio Bianco. Diversi suoi saggi, articoli e recensioni sono reperibili online in modalità open access.

Ambra Ferrari è docente di Comunicazione e Nuovi Media per Horizon Psytech & Games. Dottoressa di ricerca in Educazione nella Società Contemporanea, insegna Ludonarrativa, Player Experience, e i vantaggi dei videogiochi commerciali sullo sviluppo cognitivo e l'arricchimento valoriale presso il Master di Psicologia Digitale organizzato da Horizon Psytech e IDEGO. È membro del consiglio scientifico direttivo di Play Better e Formatrice in contesti aziendali, occupandosi di risoluzione dei conflitti, comunicazione efficace, e informatica per la Terza Età.

Enrico Gagliano, siciliano, classe 94. Scrittore in erba. Con Pirandello condivide la città natale, ma non il talento. Ha frequentato la facoltà di giurisprudenza dell’Università LUISS Guido Carli per poi laurearsi all’ università di Palermo. La sua tesi di laurea riguardava la “tutela dei consumatori minori all’ interno del mercato videoludico”, con la quale ha poi partecipato al premio IVIPRO nell’ anno 2021. Nel 2023 ha partecipato ad un tirocinio formativo presso l’ ONU ed ha pubblicato un articolo per la testata ONUITALIA. Persona in divenire, è alla continua ricerca di un modo per conciliare la sua passione per il medium videoludico con il suo percorso professionale.

Samuele Graziani laureato triennale e studente magistrale di Archeologia all’università La Sapienza di Roma. Oltre che di storia è appassionato di videogiochi e di scrittura. Prima di questa collaborazione ha partecipato a diversi concorsi letterari tra cui il  concorso letterario indetto dalla Biblioteca comunale “G. Taroni” di Bagnacavallo “Il racconto in 10 righe”, dove il suo racconto è stato segnalato dalla giuria, e  alla 31esima edizione di “San Valentino…innamorati a Camogli” indetto dal comune di Camogli,  dove la sua poesia è stata pubblicata ed esposta.

Pietro Iacullo, laureato con disonore in informatica. Attivo nella critica videoludica dal 2013, l’anno successivo fonda il sito web I Love Videogames per cui è webmaster e, fino al 2020, Creative Director. In seno al progetto nel 2016 avvia il podcast Gameromancer, di cui è co-autore e conduttore e che agli inizi del 2019 diventa un progetto stand-alone. Attraverso Gameromancer inizia ad occuparsi anche di tematiche sociali legate al videogioco e dello stato di salute delle persone impiegate nell’industria. Dal 2022 collabora anche con The Games Machine, la più vecchia rivista di videogiochi ancora in edicola in Italia.

Luigi Marrone, cofondatore di Ludenz, progetto indipendente di cultura del videogioco – tra rivista cartacea e canali multimediali online – che presenta analisi e pratiche creative sui videogiochi e sulle contaminazioni esistenziali tra l’essere umano e gli universi digitali. È designer e curatore di corsi di scrittura creativa in scuole pubbliche e associazioni culturali. Autore di saggi creativi, videoanalisi e performance di Video Game Art, la sua ricerca critica sul medium videoludico si focalizza sulle intersezioni fra simulazione e rappresentazione, psichico e virtuale, analogico e digitale. Interessato all’analisi che promuove ogni possibilità di trascendere il ludus digitale quale mezzo neutrale di disimpegno e puro intrattenimento, considera il videogioco – oltre che un mezzo di espressione ideologica, artistica e culturale – una dimora dimensionale della coscienza che influisce su diversi ambiti umani ancora da esplorare.

Riccardo Retez è un dottorando in Visual & Media Studies presso l’Università IULM di Milano, con particolare attenzione agli studi sociali, di pubblico e ai Game Studies. La sua ricerca si concentra sul comportamento degli spettatori sulle piattaforme di live streaming in relazione a fenomeni sociali di consumo sociale e culturale. Ha conseguito la laurea magistrale in Televisione, Cinema e Nuovi Media presso l’Università IULM nel 2019 e la laurea triennale presso la LABA di Firenze nel 2017. Contribuisce a pubblicazioni accademiche su riviste e volumi internazionali (Concrete Press 2020, Ludica 2020; Eracle Journal 2021, IFM 2021, Phoenix Papers 2022, Oxford Press 2023, Mimesis 2023) e lavora come curatore di eventi legati alla cultura visiva contemporanea.

Daniele Ricciardi: Appassionato di storie videoludiche, ma soprattutto delle strade che le connettono con le altre forme d’arte. Provo a valorizzarle scrivendo, ma soprattutto attraverso il progetto di analisi e divulgazione Arcadia Café.

Logan Singer (a.k.a Gianclaudio Pontecchiani) comincia a bazzicare il web conducendo un podcast che prima trattava di cinefumetti e poi anche di videogiochi. Da qui inizia a collaborare con alcuni siti d’informazione videoludica, per poi approdare in pianta stabile nella redazione di PSM PlayStation Magazine Italia (storica rivista di videogiochi italiana) per la quale, oltre a contribuire con recensioni, anteprime e quant’altro, si occupa anche di alcuni aspetti grafici (disegnandone le copertine e i fumetti che ogni mese erano presenti all’interno della stessa), del montaggio delle puntate del podcast dedicato e, in buona parte, anche del comparto social. Oggi è co-fondatore e anima grafica ed estetica del progetto Ludenz (www.ludenz.it) sia nella sua forma cartacea che digitale.

Marco Spelgatti (aka Queerginia Wolf) , scrive narrativa e zampetta tra game e narrative design. È metà di owofgames, duo che crea videogiochi queer (il primo titolo è non-binary). È parte del collettivo videoludico LemuRivolta, e tra le persone che organizza IN/VISIBIL3 – elaborazioni intersezionali per il mondo ludico, una convention che affronta il mondo ludico e videoludico con sguardo transfemminista e queer. Fa parte del collettivo Monsterə, creatric3 della zine queer weird sperimentale Monstera Fabulosa. Tra le pubblicazioni recenti il racconto erotico queer Lanzichenecchi (Frisson Magazine), il romanzo gotico La contessa e una rilettura transfemminista de L’orrore di Dunwich di Lovecraft (Notte di nozze, ed. Hypnos). 

Francesco Toniolo, PhD, insegna all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di Brescia e alla NABA di Milano. Tiene anche delle lezioni in altre realtà come la scuola Mohole di Milano e il master di game design dell’Università di Camerino oltre a corsi di formazione per docenti e altro ancora. Le sue attività di insegnamento e le sue pubblicazioni riguardano principalmente i videogiochi, ma si è anche occupato di altri settori delle industrie culturali e creative. Ha pubblicato numerosi contributi accademici tra saggi, curatele, articoli in rivista e capitoli in miscellanee. Ha anche lavorato nella manualistica per le scuole secondarie di secondo grado, dove è in particolare coautore del manuale Corrispondenze. Scrive contributi divulgativi per realtà come, «Libertà»(dove ha una rubrica settimanale sui videogiochi), «Everyeye.it», «FinalRound.it» e «La lettura delle ragazze e dei ragazzi» (l’inserto del «Corriere della sera»). Per le altre sue pubblicazioni guarda qui.

Un estratto dell’introduzione

Qui sotto trovate riportato un pezzo dell’introduzione del libro, in cui si parla del Bosco del Vignolo, a cui andranno i soldi raccolti attraverso questo libro.

Il libro che avete tra le mani nasce dunque con una duplice missione: in primo luogo, lanciare un doveroso grido d’allarme per ricordare a tutti lo status altamente precario del destino del pianeta che ci ospita. In secondo luogo, e su un piano più concreto, quest’opera corale servirà per sostenere una realtà che si occupa di salvaguardare l’ecosistema di un bellissimo parco naturale nei pressi di Pavia: l’Oasi Lipu Bosco del Vignolo. È una realtà specifica, che abbiamo scelto per diverse ragioni. In primo luogo per evitare grandi enti dove è facile la dispersione e la minor tracciabilità delle risorse donate.

Soprattutto, però, questa Oasi Lipu è un perfetto simbolo di rinascita.

Negli anni sessanta – e fino agli anni ottanta – in quella zona c’era solo una discarica di rifiuti solidi, poi in parte sostituita e in parte affiancata da una pista da motocross gestita da privati. Il classico luogo che sembrerebbe irrecuperabile e condannato. Ma non è stato così. Man mano emersero dei ripensamenti su quell’area, che portarono a una serie di iniziative da cui è poi emersa l’Oasi Lipu. Nata nel 1998, l’oasi si è poi estesa nel corso del tempo, passando dai sette ettari iniziali agli oltre venticinque attuali.

La trasformazione è stata enorme. Certo, si riconoscono ancora indizi di ciò che quell’Oasi era in passato. Non tutto cambia in un istante. E ci sono anche tracce nascoste: la discarica a cielo aperto è ancora lì, solo che non è più visibile, è solo stata ricoperta da spessi teli, su cui sono stati posti strati di terra, in cui oggi crescono gli alberi. Discorso simile per il campo da motocross: ancora se ne indovina il tracciato, ora divenuto un sentiero, e ancora, di tanto in tanto, affiorano pneumatici e altre tracce di quel passato. Ma oggi sia l’una che l’altro sono luoghi che ospitano numerose specie animali, che dispongono di differenti ambienti adatti a loro. Il Bosco del Vignolo mostra un bel ripensamento del rapporto con la natura, è un piccolo ma concretissimo esempio di come cambiare il corso degli eventi per trasformare una discarica e una pista privata da motocross in un bosco pieno di vita: due brutte storie a lieto fine.

Merita inoltre una menzione Fausto Pistoja, il responsabile dell’Oasi. Grande appassionato di natura in generale e di botanica in particolare, è anche fondatore dell’associazione Tiny Forest Italia, che si occupa di forestazione seguendo il metodo Miyawaki, basata sul principio del non limitarsi a piantare alberi, ma creare piccoli ecosistemi. L’associazione, per ora, ha al suo attivo 2 Tiny Forests, di cui una è la prima piccola foresta italiana in ambito scolastico, mentre sono in corso diversi altri progetti, soprattutto in Pianura Padana, un territorio martoriato che ha particolarmente bisogno di polmoni verdi.

Come detto questo libro sostiene l’Oasi Lipu Bosco del Vignolo. Vi invitiamo ovviamente ad approfondire la bella storia di questo bosco e, se non è troppo lontano da dove abitate, di andare anche a visitarlo. Potete inoltre fare donazioni aggiuntive, dirette, al Bosco del Vignolo.

Su www.lipu.it/dona tutte le modalità per far giungere il proprio contributo, specificando nella causale “Donazione a sostegno dell’Oasi Lipu Bosco del Vignolo”.

 specificando nella causale “Donazione a sostegno dell’Oasi Lipu Bosco del Vignolo”.

In questo caso i soldi donati non passeranno da noi e saranno destinati direttamente alle attività del Bosco del Vignolo e della LIPU.

Questo libro è nato da una call for papers che abbiamo fatto circolare online. Hanno risposto autrici e autori con differenti background e interessi. Anche per questa ragione, i loro contributi offrono un approccio variegato. Alcuni hanno un taglio più accademico, altri più divulgativo. Alcuni si soffermano su specifici videogiochi, altri propongono panoramiche più ampie. Considerando la natura e la finalità del libro abbiamo volutamente deciso di non uniformare eccessivamente i differenti testi, per lasciare una traccia più evidente di questa ricchezza di voci che hanno partecipato. A questo proposito, ci teniamo a ringraziare tutte le persone che hanno voluto inviarci un contributo per quest’opera.

Sempre alla luce della finalità del libro, abbiamo deciso di non inserire qui dentro le bio di autori e autrici. Potete però trovarle tutte quante nella pagina dedicata al libro su www.francescotoniolo.com.

Nelle prossime pagine troverete racconti, memorie, e più in generale testi che serviranno a (di)mostrare quanto il mondo del gaming sia in grado di agganciarsi ai più sentiti temi d’attualità e trattare di questi ultimi con una spiccata serietà – serietà forse ancora lontana dalla concezione che tuttora grava nei confronti dell’intrattenimento, soprattutto videoludico.

Donazioni

Qui saranno indicate le donazioni effettuate.

La prima donazione è stata effettuata il 03/05/2024 durante un evento pubblico a Garlasco.

Sono stati donati 410 euro, di cui:

340 raccolti da Amazon

70 raccolti quella sera stessa

Qui sotto potete vedere la cifra venduta su Amazon:

309,66 dalle vendite del cartaceo e 28,40 dalle vendite dell’ebook, per un totale di 338,06, che ho arrotondato a 340.

Qui trovate la ricevuta di pagamento:

Ho escluso dal conteggio le vendite di Itch.io (che al momento sono circa 18 dollari), le aggiungerò alla prossima donazione che verrà effettuata.

Chiara Ambrogio, Francesco Toniolo e Fausto Pistoja

Percentuali e altre info

Dopo lunghe riflessioni, abbiamo messo il libro su Amazon KDP. Come detto in passato, i margini dell’editoria tradizionale sono troppo bassi per portare a delle donazioni tangibili.

Abbiamo chiesto diversi preventivi per stampare privatamente il libro e inviarlo, ma avrebbe avuto costi molto elevati, contando che alla stampa bisogna aggiungere la spedizione (e purtroppo il piego di libri base finisce spesso perso – per esperienza personale – per cui serve il piego di libri raccomandata).

Per questi e altri problemi, tra cui quello di dover gestire un eventuale magazzino, abbiamo infine optato per Amazon, pur con la consapevolezza che non sia comunque la miglior soluzione possibile, visto che significa lasciare una fetta a una multinazionale.

Rimane comunque la modalità con cui poter dare la parte maggiore dei proventi all’Oasi, senza incappare in un numero enorme di costi palesi o nascosti. Alla fine è stato il miglior compromesso tra accessibilità e soldi ottenuti.

I soldi saranno ricevuti da Francesco Toniolo. Amazon bonifica dopo tre mesi. La cifra ottenuta sarà donata al Bosco del Vignolo.

Per chi se lo stesse chiedendo: purtroppo non era possibile fare in modo che i soldi del libro andassero direttamente all’Oasi, operazione che avrebbe semplificato il tutto. A loro vanno però direttamente i soldi delle donazioni effettuate tramite bonifico.

Sull’ebook, Amazon trattiene il 30% del prezzo di copertina, da cui bisogna anche togliere l’iva.

Sul cartaceo, Amazon trattiene il 40%. Oltre a quello bisogna sottrarre il costo della stampa, che è di 4,16 euro, e l’iva.

Potrebbero emergere piccole disparità in caso di acquisti in altre parti del mondo. Allo stesso modo, in base alla cifra potrei togliere qualcosa per compensare le tasse che dovrò pagare sui soldi ricevuti. Sarà comunque tutto documentato.

«Everything that lives is designed to end». Une lecture écocritique de NieR : Automata

Piccola nota: il seguente articolo era stato originariamente scritto per il numero di un journal francese, verso la fine del 2021. Quel numero è stato poi completamente cancellato e non vedrà mai la luce.

Per non buttare via il contributo ho deciso di pubblicarlo qui, sul mio sito personale.

L’articolo è in francese, una lingua in cui solitamente non scrivo. Per cui è possibile che sia rimasta qualche imprecisione nel testo, che avrebbe dovuto essere poi corretta durante il processo di revisione. Processo che però, come detto, non c’è mai stato, visto l’annullamento generale della pubblicazione.

1. Ecocritique et jeux-vidéos

L’écocritique (de l’anglais ecocriticism, inventé par Rueckert[1]) peut être définie, essentiellement, « l’étude de la relation entre la littérature et l’environnement physique[2] », plus précisément finalisée à « proposer une lecture des œuvres littéraires qui puisse être véhicule d’une ‘éducation à voir’ les tensions écologiques du présent[3] ». C’est une forme d’analyse – et d’activisme – immédiatement liée au nature writing, c’est-à-dire ces textes littéraires qui s’occupent explicitement du rapport entre humains et environnement, mais d’ailleurs, comme Scott Slovic l’a mis en évidence il y a déjà des années[4], toute œuvre littéraire (et non seulement littéraire) peut être potentiellement soumise à l’analyse écocritique. L’Association for the Study of Literature and the Environment (ASLE) a effectivement étendu son champ d’investigation, arrivant à toucher un large éventail de productions médiatiques et culturelles[5]. Parmi celles-ci, il n’a pas manqué le médium jeu-vidéo, auquel l’on a dédié plusieurs lectures écocritiques, soit focalisées sur des titres individuels[6], soit de manière plus générale[7].

En prenant en compte ces précédents, le présent article propose une analyse écocritique du jeu-vidéo NieR : Automata (Platinum Games, 2017), lequel, tout en étant pas spécifiquement lié au sujet de l’environnement, apparait comme un cas emblématique pour la façon autoréflexive de présenter le conflit. NieR : Automata, c’est-à-dire, est une réflexion sur les modalités des représentations vidéoludiques[8] et offre donc la base pour la possibilité d’étendre l’étude « écologique » du thème. Ce terme est ici compris dans un sens plus large que son usage commun : il est défini, en reprenant plusieurs analyses écocritiques, comme un système de relations entre organismes et environnements.

NieR : Automata est peut-être la plus caractéristique des œuvres du japonais Yokō Tarō (connu aussi pour son choix de paraître en public toujours avec un masque), qui y a travaillé en tant que directeur et scénariste. Le jeu-vidéo est la suite du précèdent NieR (Square Enix, 2010), qui ne fut pas très bien accueilli par la critique et le public[9]. Le joueur se trouve dans un futur lointain où la planète est dominée par les « machines », des entités créées par des extraterrestres envahisseurs. Les humains survivants vivent sur la Lune, d’où ils envoient des androïdes de guerre sur la Terre. Les protagonistes du jeu sont trois androïdes, contrôlables en trois sessions différentes du jeu, qui à chaque fois ajoutent de nouveaux détails à l’histoire. Le joueur prend le contrôle, dans l’ordre, de 2B, 9S et A2[10]. Les renversements de perspective qui ont lieu avec les changements de personnage sont le point de départ de la première partie de la présente analyse, qui porte sur la synergie entre narration et gameplay, et qui engendre un message interprétable écocritiquement. Ensuite, dans la deuxième partie, nous nous attarderons sur quelques décors spécifiques du jeu-vidéo, pour voir comment ceux-ci contribuent à la création d’une certaine ambiance.

2. Renversements

Le premier tiers du jeu, où l’on prend le contrôle de 2B, suit un schéma de dévoilement traditionnel. 2B, presque toujours accompagnée par 9S, poursuit sa lutte contre les machines mais arrive à découvrir que certaines d’entre-elles ont développé une personnalité autonome et souhaitent être en paix avec les androïdes. Une machine nommée Pascal (plusieurs personnages de NieR : Automata portent le nom de penseurs et philosophes du passé) a fondé une communauté pacifiste dans la forêt, qui est plusieurs fois visitée par 2B et 9S. La solution future, l’espoir dans l’apocalypse, semble être tracée nettement, en termes à la fois relationnels et environnementales (c’est-à-dire les machines pacifistes vivant dans les arbres, qui s’opposent aux ruines d’une ville détruite par la guerre). Une perspective plutôt optimiste, surtout par rapport à d’autres apocalypses technologiques et écologiques de production japonaise[11], avec leurs liens plus ou moins directs avec l’exploitation militaire de l’énergie atomique[12]. NieR : Automatane se focalise pas sur les conséquences environnementales de l’apocalypse, mais les considérations de 2B et 9S à propos de l’espace environnant[13] permettent de se poser des questions sans utiliser une rhétorique écologiste explicite qui pourrait apparaître répulsive là où elle cherche à amener l’utilisateur à s’intéresser à ces thématiques[14].

D’une part, donc, on découvre petit à petit que les androïdes sont « comme » les humains, par leurs émotions et les désirs qu’ils éprouvent, en entendant ce rapport en termes de dérivation : il s’agit de copies qui ressemblent à l’original même au-delà de l’apparence physique. D’autre part, des machines comme Pascal aussi ressemblent à des êtres humains, par leur comportement, mais en sens différent : ce sont des entités inconnaissables, extraterrestres, qui ressemblent dans une certaine mesure à quelque chose de connu et qui pour cette raison sont à ceci comparés. Le dualisme hiérarchique et oppositif entre les deux parties, qui contient inévitablement à l’intérieur de lui l’idée d’un pôle supérieur et d’un pôle inférieur, n’est donc pas résolu[15]. La guerre aux androïdes continue à paraitre ‘juste’, parce que finalisée à rendre le monde à ses propriétaires légitimes, les humains (ici se révèle aussi la polarisation homme/nature). Les machines restent la représentation de l’altérité inconciliable et de l’ennemi, on se limite à reconnaitre à certaines – comme des exceptions – quelques similitudes avec les sentiments humains, ce qui permet de négocier, toujours en restant dans une perspective d’opposition.

2.1 La perspective des ennemis

La deuxième partie du jeu fait un pas de plus en renversant la perspective, en gardant toujours le même framework empathique. Le joueur revient sur les mêmes évènements qu’il a déjà vécu, de l’arrivée sur la planète à la défaite des machines Adam et Eve, mais cette fois en contrôlant l’androïde 9S. Celui-ci, à la différence de 2B, est capable d’intervenir sur les machines par des actions d’hacking, pour les contrôler ou les détruire. Cette capacité propre à lui n’est pas une simple variation du gameplay, mais elle lui offre aussi l’occasion de saisir les pensées et les sensations des ennemis. Ce ne sont donc plus seulement les machines pacifistes de Pascal qui ont des sentiments humains : dans une certaine mesure, toutes les machines, même quand elles ne sont pas capables de l’exprimer de façon cohérente, éprouvent de la joie et de la douleur, des peurs et des désirs. Même avant de prendre contrôle de 9S, il y a une courte partie du jeu, souvent négligée, où l’on joue pendant quelques minutes le rôle d’une machine :

Avant que le joueur ne contrôle 9S, il doit compléter une mission avec Friedrich, une petite machine qui est en train de récupérer de l’huile pour réanimer son « frère », qui est clairement irréparable. Bien que jusqu’ici le joueur ait passé son temps à tuer des machines comme Friedrich, le passage soudain du rapide et agile 2B au lent et chancelant robot permet une sympathie pour son impuissance, qui devient ensuite une frustration empathique quand, surchargé par son godet, le joueur trébuche sur un des nombreux tuyaux cachés qui parsèment le terrain[16].

Prendre le point de vue de l’« ennemi » n’est pas une nouveauté de NieR : Automata, mais l’interactivité caractéristique du medium vidéoludique[17] offre un élément en plus par rapport à d’autres formes d’expression. Nous n’observons pas simplement les actions d’un autre personnage, mais nous sommes en train d’opérer activement pour l’achèvement de ces actions. C’est le joueur même, dans le rôle de 2B, qui a détruit les centaines de machines, et il en détruira autant quand il contrôlera 9S, il n’est pas simplement un spectateur qui juge l’agir d’autrui. Même en dehors des moments de contrôle direct des « ennemis », l’interaction vidéoludique menée avec son propre avatar avec les NPC (non-player characters) peut facilement amener à une forme d’empathie avec eux[18]. C’est pour cela que la mort de NPC avec lesquels on a passé beaucoup de temps peut susciter des réactions émotionnelles très fortes[19] et, sous certaines conditions, il est possible de développer des liens empathiques forts avec ses adversaires, en se trouvant dans le paradoxe de devoir les tuer pour avancer dans le jeu sans en vouloir la mort (comme dans Shadow of the Colossus, Team Ico, 2005). L’intensité et la variété interne du sentiment émotionnel potentiellement généré par un jeu-vidéo[20] se lient très bien avec l’approche écocritique aux jeu-vidéos, parce que la cocréation narrative du joueur – qui est appelé à intervenir activement pour faire avancer l’histoire – et le contrôle d’avatar très différents de ce qu’on est (au point de contrôler des créatures non humaines) produisent des réponses émotionnelles qui peuvent être dirigées vers des finalités éducatives sur des thématiques déterminées[21].

NieR : Automata utilise par ailleurs des stratégies très spécifiques pour canaliser les émotions possibles du joueur, aussi en recourant à la mémoire, et il fait cela surtout grâce à la musique. La bande son du jeu-vidéo est composée de variations multiples sur les mêmes morceaux musicaux, qui non seulement définissent l’évolution du mood d’un certain environnement, mais tracent aussi des liens implicites entre lieux et personnages séparés, associés par un même morceau qui est reproposé en une forme différente[22]. La tension entre similitude et différence est accrue davantage dans les morceaux chantés. Ces derniers utilisent une langue inventée, crée par le mélange de structures de plusieurs langues réelles. De cette façon, les parlants de différentes langues croient reconnaitre quelques paroles, mais sans arriver à comprendre le sens des phrases. Ce sont des chansons qui apparaissent universellement familiales et universellement étrangères en même temps, ce qui renforce l’idée de liens sous-jacents communs à des cultures et des entités différentes, comme androïdes et machines.

2.2 Le conflit éternel et le sacrifice

La troisième et dernière part de NieR : Automata maintient la thématique de ce caractère commun de fond, du lien qui tient ensemble des êtres profondément différents, mais elle en modifie les bases. Jusqu’ici le jeu a proposé plus ou moins directement l’idée d’une possible paix future, fondée sur le comportement de machines pacifiques comme Pascal. Ce qui émerge maintenant, en revanche, c’est que toute créature a en commun le besoin de conflit. En réalité la totalité du jeu parle de conflit, mais jusqu’à présent nous avions encore l’idée qu’une porte de sortie était possible. Dans la troisième partie, au contraire, les dévoilements progressifs montrent une vérité différente. Les extraterrestres qui ont créé les machines ont disparu depuis longtemps, et l’humanité encore plus tôt : tout ce qui reste sur la lune, c’est un échantillon de génome humain, placé dans une structure qui reçoit et envoie de faux signaux. De plus, les machines furent créées avec la seule mission de vaincre l’ennemi, ce qui en même temps implique la présence continue d’un ennemi qui ne peut jamais être battu. Avec le temps, elles ont évolué en assimilant beaucoup d’informations sur les humains. Comme le synthétise une des notes de fin de jeu qui est écrite par un androïde : « Alors ! En résumé : depuis des centaines d’années, on a combattu contre un réseau de machines qui a en son centre le fantôme de l’humanité. On a vécu dans un p**** de monde où l’on mène une guerre qu’on  ne PEUT PAS PERDRE, tout ça à cause d’un Conseil de l’Humanité qui n’existe même plus[23] ». Même si l’on abandonne cette logique de conflit global – potentiellement éternel – pour s’attarder sur les vicissitudes des personnages, le résultat est le même. Le joueur, qui dans les précédents deux tiers du jeu avait expérimenté des points de vue différents et des potentialités non encore exprimées, voit maintenant tout ce monde s’effondrer sans qu’aucune de ses actions ne puisse avoir d’impact[24]. La station spatiale des androïdes est détruite, 2B découvre qu’elle a été infectée par un virus et demande à A2 de la tuer, suscitant en 9S une irrésistible soif de vengeance. La machine Pascal abandonne son pacifisme pour défendre les ‘enfants’ du village, en vain, parce que pendant la bataille ceux-ci se suicident en masse, terrorisés (ils avaient appris les sentiments humains comme la peur grâce à Pascal lui-même). Les histoires de plusieurs autres personnages secondaires se fondent sur le conflit ou sur un désir qui se révèle insuffisant pour donner du sens à une vie et qui, une fois réalisé, les pousse à se suicider.

Les comportements des androïdes et de machines sont les mêmes que ceux des êtres humains, du moment que les deux formes de vie synthétique sont directement ou indirectement influencées par les mémoires de l’humanité. Puisque tout ce qui font est fondé sur le conflit, et qu’ils suivent le comportement des humains, il parait possible d’affirmer que le conflit représente le noyau de l’humanité. En regardant bien, il n’est pas nécessaire d’attendre le final de NieR : Automata pour comprendre ce concept, qui est déjà rendu explicite au moment de la bataille entre la machine Adam et 2B. À ce moment-là, Adam affirme avoir compris la vérité après de longues réflexions : « Le noyau de l’humanité… est le conflit. Ils se battent. Ils tuent. Ceci est l’humanité dans sa forme la plus pure[25] ». À cette occasion 2B répond, indignée, que son adversaire ne sait rien à propos des humains, mais les évènements semblent donner raison à Adam.

NieR : Automata met donc en avant le comportement des humains, bien qu’ils n’apparaissent jamais dans le jeu. L’humanité apparait ici dans la forme de l’absence. Tout le monde dans le jeu parle de l’humanité, même en son absence. Les décors du jeu sont ‘infestés’ par cette mémoire du passé, ils en portent les traces, et d’une façon non positive. L’héritage de l’humanité est fait de débris et ruines, pollution et animaux mutants. La guerre qui suit, interminable, entre androïdes et machines n’a fait que produire des déchets ultérieures, à commencer par les corps des combattants, des coques vides abandonnées sur le champ de bataille. La conflictualité des humains s’est donc dirigée surtout vers la nature, « colonisée » en tant que pôle faible[26].NieR : Automata ne présente pas de nostalgie naturelle, pas de désir idéalisé de retour à une forme de pureté perdue, ce qui caractérise beaucoup de narrations green contemporaines. Yokō Tarō a affirmé à plusieurs occasions ne pas vouloir imposer aux joueurs une certaine vision, ou leur donner une seule réponse ; l’évolution continue des jeux-vidéos qu’il a produit rend encore plus grand le nombre d’interprétations possibles[27].

De cette manière, la question écologique peut certainement être laissée, à propos de NieR : Automata, à la libre interprétation de l’utilisateur, et sera facilement dirigée vers le déjà cité système relationnel entre les différent organismes, plutôt que dans les rapports avec l’environnement. Plusieurs jeux-vidéo plus ou moins contemporains de NieR : Automata proposent des paraboles narratives green beaucoup plus monolithiques, comme Horizon : Zero Dawn (Guerrilla Games, 2017), qui présente un retour à la nature après la destruction et la renaissance du monde, avec la création d’un futur qui en réalité est lié nostalgiquement à une sorte d’âge d’or vert, à un passé vague et indéfini. Les considérations de 2B et 9S, les paysages de NieR : Automata, ses narrations du passé, offrent au contraire des éléments de réflexion, même contradictoires, qui poussent le joueur à s’interroger.

Même le propos d’Adam, sur le conflit comme élément fondamental de l’humanité, qui semble être devenu le pilier de la troisième partie du jeu, voit la possibilité d’être encore renversé dans la fin D[28] et surtout la fin E, dans laquelle toutes les données de jeu sont effacées. Ce même mécanisme avait été utilisé dans une des fins de NieR, ce qui avait fait saluer le génie de Yokō Tarō par une partie des joueurs, pendant que d’autres le tâchaient de sadique et mégalomane[29].

La question des sauvegardes dans NieR : Automata prend une importance particulière même avant la fin, parce qu’elle est diégétisée. Car, quand on fait une sauvegarde, les androïdes effectuent un backup des données mémorisées, qui peuvent toujours être transférées dans un nouveau corps si le précèdent est détruit. Le game over fait partie de la diégèse, l’échec a vraiment causé la destruction du corps physique de l’androïde utilisé, mais un corps de remplacement est toujours prêt (au moins jusqu’à quand un facteur externe ne l’empêche, comme le virus qui infecte 2B). En outre, ce jeu présente une logique de « RPGfication » [30], c’est-à-dire qu’il contient des processus qui poussent le joueur au « complétisme », en investissant dans le jeu beaucoup plus de temps que ce qui est nécessaire (et qui est déjà exigeant) pour terminer l’histoire principale. Par exemple, il faut pas mal de temps et de ressources pour obtenir et améliorer toutes les armes disponibles, il faut faire monter de niveau son propre personnage plusieurs fois pour arriver à battre des boss cachés.

En terminant les fins C ou D, en répondant d’une certaine manière à une question, on lance une phase du jeu où il faut tirer sur les noms du générique de fin, en contrôlant une sorte de curseur triangulaire. C’est une modalité qui ressemble au phases de hacking complétées avec 9S, mais beaucoup plus difficile, parce que les ‘ennemis’ contrattaquent tout le temps. Très vite l’affrontement devient une sorte de bullet hell, très dur à terminer. Mais, au moment où le jeu demande de reconnaitre que le monde n’a aucun sens, voilà qu’apparaissent des messages d’espoir et de soutien de la part d’autres joueurs, et qu’il est possible de recevoir leur aide. On revient au bullet hell, mais cette fois on est rejoint par d’autres ‘curseurs’ : c’est ce qu’il reste des données de jeu d’autres personnes. Cette puissance de feu accrue rend plus simple la bataille contre les « auteurs » du jeu, pendant que les paroles de la chanson Weight of the World soulignent la nécessité de continuer même ce qui semble être un effort insensé.

À la fin de l’affrontement on assiste aux réflexions des Pods, les petits robots de soutien qui ont accompagné les trois androïdes au cours du long voyage. Ici, la phrase prononcée au début du jeu par 2B (« Tout ce qui vit est conçu pour finir. Nous sommes perpétuellement piégés dans une spirale de vie et de mort sans fin. Est-ce une malédiction ? Ou quelque sorte de punition ?[31] ») est reprise avec des petites modifications. C’est peut-être le moment du jeu où apparait le plus clairement l’influence de Nietzsche[32]. Les Pods réfléchissent à une situation d’éternel retour : même en recommençant à zéro, ailleurs, il est possible qu’on arrive à nouveau aux mêmes conclusions. Un éternel retour qui refuse le devenir de l’histoire et auquel on ne peut pas échapper narrativement : recommencer NieR : Automata mènera à la même fin de la dernière fois. Ce qui peut changer – c’est les Pods qui laissent ouverte la possibilité d’un changement – c’est l’approche au jeu et les considérations qu’il produit[33].

Après cette dernière vidéo l’on demande au joueur s’il souhaite effacer toutes les données de la session pour aider « quelqu’un quelque part dans le monde », de la même manière qu’il l’a été pendant le bullet hell. Celui qui recevra de l’aide, le jeu nous dit, peut être un parfait inconnu, une personne détestable, quelqu’un qui pourrait ne pas être reconnaissant. Un renversement, si l’on veut, de l’histoire Le mandarin de Eça de Queirós[34], où il est possible de tuer un mandarin chinois inconnu et d’en obtenir les richesses tout simplement en sonnant une cloche.

Cette fin, qui a suscité d’intenses et différentes réactions parmi les joueurs[35], rouvre la question sur le nihilisme réel de NieR : Automata[36]. Comme nous l’avons déjà dit, le jeu ne donne pas de réponse univoque, notamment parce que ce sont les joueurs qui font le dernier choix : ils peuvent garder leurs sauvegardes ou ‘sacrifier’ de nombreuses heures de jeu pour aider un inconnu. Dans le deuxième cas, on peut affirmer qu’il y a un avancement empathique. Précédemment, on a parlé des manières avec lesquelles NieR : Automata contribue à créer de l’empathie envers les personnages, avec qui on a été en contact pendant beaucoup de temps ; maintenant on demande à avoir de l’empathie pour des inconnus. Tout cela, d’ailleurs, ne changera concrètement rien : l’aide reçue par un joueur amènera l’inconnu au même résultat que tous ceux qui ont terminé le jeu avant lui. C’est un « don unilatéral aux inconnus[37] », sûrement moins coûteux que d’autres sur le plan matériel, mais qui a en lui un certain élément temporel : on donne donc son propre temps passé, les dizaines d’heures consacrées au jeu. C’est un choix écologique, dans le sens relationnel du terme qui a été indiqué au début, qui peut offrir, sans l’imposer, un appel à l’action, une nouvelle perspective. Ceci est le rôle que l’écocritique reconnait depuis toujours à la narration, comme soutien de la science : « la narration est essentielle à la pratique de la prédiction et elle est la voix pour des appels à l’action. Elle est capable de porter le poids de prévoir les résultats et d’inculquer des valeurs à un vaste public[38] ». De plus, la possibilité d’un choix (non seulement concernant l’interprétation) dans une narration peut accroitre la conscience des questions environnementales.

3. Trois paysages

Après avoir reconstruit le parcours empathique long et ramifié de NieR : Automata, on va par la suite laisser quelques suggestions sur quelques décors spécifiques du jeu (le désert, le village de Pascal et le royaume de la forêt), pour montrer comme le décor de ce produit ait contribué à véhiculer spécifiquement le cadre général décrit jusqu’ici.

3.1 Le désert

Le désert est un des premiers environnements que le joueur rejoint. Il s’agit d’un environnement hétérogène, composé au début d’un espace rocheux (qui confine avec les City Ruins visitées précédemment), puis d’une étendue de sable entourée d’hautes montagnes (appelée Desert Zone) et d’un complexe résidentiel abandonné (Desert Housing). C’est dans le désert que les androïdes (et le joueur avec eux) commencent pour la première fois à se poser la question de la capacité des machines d’éprouver des sentiments. Les ennemis qui sont présents, en effet, copient maladroitement les habitudes des êtres humains et semblent effrayés par l’irruption des androïdes dans leur repaire. C’est encore dans le désert que Adam et Eve naissent, deux personnages très importants dans l’économie complexive du jeu.

Le désert est depuis toujours le lieu de l’affrontement, soit dans sa traversée, soit dans les permanences initiatiques qui se passent là-bas ; c’est le lieu de la lutte contre soi-même, ainsi que de l’attente, au moment où on se pose en dehors du monde, dans un lieu où le temps parait s’être arrêté. Dans NieR : Automata il s’agit du lieu de l’épreuve au sens physique (le boss le plus puissant du jeu se trouve dans cette zone), au sens de l’espace (il est difficile de s’orienter dans les tempêtes de sable pour rejoindre l’oasis cachée) et surtout au sens de la vie intérieure : pour la première fois, le doute s’instille dans les croyances des androïdes sur leurs ennemis. Le passage dans le désert se révèle donc un moment significatif, et le lieu même, pour ses caractéristiques, contribue à renforcer implicitement un des éléments de fond du jeu, celui du temps bloqué, enroulé, qui revient tout le temps sur soi-même. Mais, en même temps, le désert contient la promesse d’un changement futur, un tournant (la paix avec les machines, leur évolution par le biais de Adam et Eve, etc.).

Le désert, lieu de l’attente et de la patience, de l’immutabilité indiscutable, essaye de s’ouvrir au devenir. C’est un espoir qui sera plusieurs fois modifié au cours de l’histoire, au point qu’il semble parfois s’évanouir, mais il sera encore présent à la fin, dans le dialogue entre les deux Pods qui précède l’effacement des données de jeu.

3.2 Le village de Pascal

Après la rencontre avec les machines du désert et ensuite avec celles de l’Amusement Park (pacifiques, mais plongées dans une sorte de fête perpétuelle, où il est difficile de comprendre s’ils sont en train de s’amuser ou seulement de mimer l’acte du divertissement), on arrive à rencontrer la communauté de Pascal, qu’on a déjà mentionné. Leur village se développe sur un système de passerelles autour du tronc d’un arbre immense. Les maisons sont minuscules, plus ou moins de la taille exacte de leurs habitants, mais d’ailleurs les machines n’ont pas vraiment besoin de ces édifices minuscules qui sont plutôt utilisés pour imiter les humains.

Le village ressemble visuellement à certaines représentations du lieu où habitent Peter Pan et les Garçons Perdus. À bien des égards, les différences sont plus nombreuses des similitudes, mais il y a un point qui mérite d’être souligné pour le rapport avec le lieu. Peter Pan apparait comme un médiateur entre nature et culture, grâce aussi à son statut hybride (il n’est pas complétement humain, mais il n’est pas non plus quelqu’un de non-humain), qui se révèle très déficitaire dans ce rôle. De même manière, pour une bonne partie du jeu, Pascal apparait comme un personnage de médiation, et son projet semble la voie meilleure pour arriver à la fin du conflit. Il est un médiateur double, entre technologie et nature et entre machines et androïdes. Mais finalement, lui aussi s’avère incapable de se proposer pour ce rôle, quand son projet échoue et la douleur l’anéantit e l’amène à s’échapper à la réalité.

3.3 Le royaume de la forêt

Le Forest Kingdom est une zone de bois placée entre les ruines d’un centre commercial et d’un château. C’est le territoire d’un groupe de machines qui se comportent comme des anciens soldats et se battent pour protéger le « roi de la forêt ».

Grace Gerrish[39] rappelle une des quêtes secondaires qui ont lieu ici comme exemple emblématique des modalités que NieR : Automata met en œuvre pour renverse les attentes du joueur.

La forêt est depuis toujours une des étapes fondamentales de nombreux voyages fantastiques et initiatiques, le long d’un voyage de découverte où l’on récupère sa propre identité perdue que la routine avait endormi.

Une machine à l’orée de la forêt propose une mission – appelée « Treasure Hunt at the Castle » dans le menu – aux deux androïdes, en leur expliquant comment trouver un trésor caché au centre du château. Il s’agit d’un type de quête secondaire très fréquent dans les jeux de rôle : on explore une zone en plus, au cours d’un détour du parcours principal, et en reçoit un trésor de quelque sorte. Dans ce cas aussi le joueur – fort de ses expériences vidéoludiques et de la valeur que le lieu détient dans les aventures de recherche – s’attend probablement à recevoir une nouvelle arme ou quelque chose du genre. Après avoir (re)parcouru la forêt et le château et avoir atteint la zone non explorée, les androïdes trouvent le personnage classique qui garde le trésor, une machine-cavalier très puissante. Après avoir battu l’ennemi, ils découvrent que le trésor qui été gardé par le cavalier est seulement le tombeau de l’ancien roi de la forêt, Ernst. Comme on le découvre par une lettre obtenue à ce moment-là, il s’agissait d’une machine pacifique qui avait construit un royaume formidable au centre de la forêt, qui distribuait ses composants électroniques aux sujets qui en avaient besoin, avec beaucoup de générosité, jusqu’à quand il avait cessé de fonctionner. Donc, la seule récompense de la quête secondaire est la certitude d’avoir tué sans une bonne raison les gardiens fidèles d’un roi juste et bon.

Cette absence de sens d’ailleurs s’étend au destin du nouveau roi de la forêt, Immanuel, une machine ‘nouveau-né’ qui a reçu les composants de Ernst, et de laquelle on attend qui grandisse pour avoir un nouveau roi juste. Mais, en tant que machine, Immanuel est destiné à rester un nourrisson pour toujours, ne pouvant pas grandir réellement. La détermination inébranlable avec laquelle les soldats du royaume son prêts à se sacrifier pour protéger Immanuel ressemble à la lutte que les androïdes poursuivent dans le nom des humains. Ceux-ci se battent pour quelque chose qui n’existe plus, tandis que les machines de la forêt luttent pour un espoir sans futur (et, à un moment donné, A2 tue Immanuel, vidant complètement de sens la lutte des soldats).

C’est à ce point là peut être que réside, comme on l’a dit, une des interprétations plus pertinentes du point de vue écocritique du message de NieR : Automata. Sa lutte et son parcours apparaissent totalement privés de sens, sans perspective future, mais même dans une situation si radicalement nihiliste il est possible de trouver une raison pour poursuivre, en gardant une ouverture empathique vers les autres.


[1] William Rueckert, « Literature and Ecology: An Experiment in Ecocriticism », Iowa Review, n° 9, 1, 1978, p. 71-86.

[2] « [T]he study of the relationship between literature and the physical environment », Cheryll Glotfelty, « Introduction: Literary Studies in an Age of Environmental Crisis », p. XV-XXXVII, in Cheryll Glotfelty, Harold Fromm (dir.), The Ecocriticism Reader. Landmarks in Literary Ecology, Athens (Georgia) – London, University of Georgia Press, 1996, p. XVII

[3] «proporre una lettura delle opere letterarie che possa essere il veicolo di una ‘educazione a vedere’ le tensioni ecologiche del presente». Serenella Iovino, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, Milano: Edizioni Ambiente, 2006, p. 16. Dans le temps on a formulé des définitions plus précises, mais en général l’écocritique se présente comme un champ d’investigation assez libre et en cours de réalisation, défini par les pratiques des chercheurs : Scott Slovic, « Ecocriticism: Containing Multitudes, Practising Doctrine », p. 160-162, in Laurence Coupe (dir.), The Green Studies Reader. From Romanticism to Ecocriticism, New York – London, Routledge, 2000, p. 161).

[4] Scott Slovic, « Ecocriticism: Containing Multitudes, Practising Doctrine », op. cit.

[5] Greg Garrard, Ecocriticism, New York – London, Routledge, 2004, p. 4.

[6] Par exemple Alenda Chang, « Back to the Virtual Farm: Gleaning the Agriculture-Management Game », Interdisciplinary Studies in Literature and Environment, n° 19, 2, 2012, p. 237-252 ; Alexander Lehner, « Videogames as Cultural Ecology: Flower and Shadow of the Colossus », Ecozon@, n° 8, 2, 2017, p. 56-71

[7] Par exemple Hans-Joachim Backe, « Within the Mainstream: An Ecocritical Framework for Digital Game History », Ecozon@, n° 8, 2, 2017, pp. 39-55 e Victor Navarro-Remesal, « Pixelated nature: ecocriticism, animals, moral consideration, and degrowth in videogames », Logos: comunicação e universidade, n° 26, 2, 2019, p. 13-26.

[8] Milan Jaćević, « This. Cannot. Continue. – Ludoethical Tension in NieR : Automata », The Philosophy of Computer Games Conference, Kraków 2017, 2017, p. 1-15.

[9] Voir Nicolas Turcev, The Strange Works of Taro Yoko: From Drakengard to NieR : Automata, Toulouse, Third Editions, 2018.

[10] Trois noms significatifs parce que la manière de les prononcer rappelle, respectivement, le « to be » shakespearien, le « non esse » latin et l’expression « et tu » que César aurait prononcé en s’adressant à Brutus et qui est utilisé par Shakespeare dans la tragédie du meme nom (acte III, scène I). Ce sont trois renvois de leur personnalité (A2, par exemple, est une traitresse, qui s’est retournée contre ses commandants).

[11] Susan Napier, Anime from Akira to Princess Mononoke. Experiencing Contemporary Japanese Animation, New York, Palgrave, 2000, pp. 193-218.

[12] Marco Pellitteri “Funghi nella foresta animata. Le esplosioni atomiche nell’animazione giapponese”, Manga academica, n° 10, 2017, pp. 163-190.

[13] Où la nature a réussi à reconquérir que partiellement les divers loca horrida du contemporain, placés non plus dans des lieux inaccessibles, mais produit par l’action m ê me des humains : Hannes Bergthaller, « Response: Hailed by the Genius of Ruins—Antiquity, the Anthropocene, and the Environmental Humanities »,  p. 61-68, in Christopher Schliephake (dir.), Ecocriticism, Ecology, and the Cultures of Antiquity, Lanham, Lexington Books, 2016, p. 66.

[14] Greg Garrard. Ecocriticism, op. cit., p. 104-107 et Greg Garrard, Teaching Ecocriticism and Green Cultural Studies, New York, Palgrave Macmillan, 2012.

[15] Serenella Iovino, Ecologia letteraria, op. cit., pp. 75-77.

[16] “Before the player controls 9S, they are given over to Friedrich, a small machine who is retrieving oil in order to revive his clearly irreparable “brother.” Despite the fact that the player has been killing machines like Friedrich until this point, the switch from the agile, lightning-fast 2B to the slow, shuffling robot fosters a sympathy for his helplessness, which deepens into an empathetic frustration when, burdened by the bucket, the player inevitably trips over one of the seemingly inconspicuous pipes that litter the ground”. Grace Gerrish, « NieR (De)Automata: Defamiliarization and the Poetic Revolution of NieR : Automata », Proceedings of Nordic DiGRA 2018, 2018, p. 1-10 (3).

[17] Lori Landay, « Interactivity », p. 173-184, in Mark J.P. Wolf, Bernard Perron (dir.), The Routledge Companion to Video Game Studies, New York, Routledge, 2014.

[18] Une empathie, par ailleurs, vers des ennemis qui sont considérés comme des objets (encore plus que les protagonistes, dont les corps sont des coques remplaçables, tant qu’ils arrivent à préserver la mémoire des boites noires), ce qui inscrit ce sentiment dans une perspective plus large. On sympathise non seulement pour ce qui n’est pas humain, mais aussi vers la matérialité même (Serpil Oppermann, “From Ecological Postmodernism to Material Ecocriticism: Creative Materiality and Narrative Agency”, p. 21-36, in Serenella Iovino, Serpil Oppermann (dir.), Material Ecocriticism, Bloomington, Indiana University Press, 2014), vers des entités qui n’apparaissent pas vraiment comme ‘vivantes’ : des machines aux poissons mécaniques qui nagent dans les lacs de pétrole, jusqu’à la planète. L’empathie s’étend donc au-delà des règnes animal et végétal.

[19] Katherine Isbister, How Games Move Us. Emotion by Design, Cambridge (Mass.), MIT Press, 2017, p. 22-23.

[20] Eugenie Shinkle, « Corporealis Ergo Sum: Affective Response in Digital Games », pp. 21-35, in Nate Garrelts (dir.), Digital Gameplay: Essays on the Nexus of Game and Gamer, Jefferson, McFarland, 2005; Steve Swink, Game Feel. A Game Designer’s Guide to Virtual Sensation, New York, Routledge, 2009.

[21] Alenda Chang, John Parham, « Green Computer and Video Games: An Introduction », Ecozon@, n° 8, 2, 2017, p. 1-17.

[22] Grace Gerrish, « NieR (De)Automata… », op. cit., p. 5.

[23] « So then! To sum up: For hundreds of years, we’ve been fighting a network of machines with the ghost of humanity at its core. We’ve been living in a stupid *****ing world where we fight an endless war that we COULDN’T POSSIBLY LOSE, all for the sake of some Council of Humanity on the moon that doesn’t even exist ». Machine Research Report. Morceau de texte dans les information archives de NieR : Automata, 2017.

[24] Milan Jaćević, « This. Cannot. Continue…», op. cit., p. 4.

[25] « The core of humanity… is conflict. They fight. Steal. Kill. THIS is humanity in its purest form ».

[26] Serenella Iovino, Ecologia letteraria, op. cit., p. 77.

[27] Archipel, « Yoko Taro, Game Creator (NieR, Drakengard series) – toco toco », YouTube, 01/04/2017, https://www.youtube.com/watch?v=L3wScHE28K8.

[28] La fin D mérite un appel de note. 9S, au moment de mourir après le duel avec A2, découvre que la tour gigantesque qui a été consruite par les machines est une arche qui sert à transporter dans l’espace lointain la mémoire des machines (et, indirectement, des humains) qui ont participé à la guerre. Adam et Eve, dont les mémoires résides dans la tour, demande à la conscience de 9S, si il veut les rejoindre, surmontant ainsi leur rivalité.

[29] Nicolas Turcev, The Strange Works of Taro Yoko, op. cit.

[30] Rob Gallagher, Videogames, Identity and Digital Subjectivity, New York – London, Routledge, 2017, p. 179.

[31] “Everything that lives is designed to end. We are perpetually trapped in a never-ending spiral of life and death. Is this a curse? Or some kind of punishment?”.

[32] Milan Jaćević, « This. Cannot. Continue…», op. cit.

[33] Grace Gerrish, « NieR (De)Automata… », op. cit., p. 7.

[34] José Maria Eça de Queirós, O Mandarim, Lisboa: Imprensa Nacional-Casa da Moeda, 1880.

[35] « Some felt a sense of loss and regret after deleting their saves; others felt liberated from the compulsion to ‘100%’ the game and collect everything; others still were moved to reflect on the game’s ‘message’, and on the terms on which we remember games »: Rob Gallagher, « Memory and Meaning in Analogue: A Hate Story and NieR : Automata », pp. 1-3, DiGRA ’18 – Abstract Proceedings of the 2018 DiGRA International Conference: The Game is the Message, 2018, p. 2.

[36] Grace Gerrish, « NieR (De)Automata… », op. cit.

[37] Gianni Gasparini, Sociologia degli interstizi. Viaggio, attesa, silenzio, sorpresa, dono, Milano, Bruno Mondadori, 1998, p. 157.

[38] « [N]arrative is essential to the practice of prediction and is the voice of calls to action. It is capable of bearing the weight of predicting outcomes and instilling values to an inclusive audience ». Heidi Scott, Chaos and Cosmos: Literary Roots of Modern Ecology in the British Nineteenth Century, University Park: Penn State University Press, 2014, p. 86.

[39] Grace Gerrish, « NieR (De)Automata… », op. cit.,

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